L'Antimafia denuncia l’allarmante decadimento della classe politica
È sempre più evidente l’“allarmante” decadimento della classe politica, di cui sono sintomatici l’aumento dei comuni sciolti per mafia, le inchieste che vedono coinvolti i politici, i casi di clientelismo e il voto di scambio su cui si “impongono una seria riflessione sulla moralità del sistema e sulla tenuta del principio di rappresentanza”. Ecco perché occorre “integrare e correggere la legge Severino” e le altre leggi che disciplinano le candidature. È quanto certificato nella relazione finale della Commissione antimafia, presentata ieri al Senato. Diverse le proposte di modifica della Commissione guidata da Rosy Bindi, come quelle del Testo Unico degli enti locali in tema di scioglimento dei comuni per infiltrazione e condizionamento mafioso e di incandidabilità e ineleggibilità, dal momento che la pulizia delle liste “non si esaurisce certamente con l’esibizione di certificati penali privi di evidenze giudiziarie”. Un invito rivolto alla futura commissione antimafia, alla quale si chiede anche di fare piena luce sulle stragi e sui delitti di carattere politico-mafioso, una luce senza la quale la Costituzione repubblicana “non potrà dirsi pienamente attuata nei suoi valori fondanti di democrazia e libertà”. La verità storica delle stragi del ’92 va cercata nella “politica”. “Si tratta di un percorso complesso – si legge nella relazione - in cui sarebbe auspicabile anche che i protagonisti, diretti o indiretti, o soltanto testimoni del perseguimento di quegli interessi terzi, finalmente contribuissero a far luce sulle pagine buie della storia italiana. È un impegno morale che la politica non può più eludere e che la commissione rimette al nuovo Parlamento. Ciò che è accaduto allora resta una tragica ferita nella coscienza e nella dignità del paese. È un debito di verità che è tempo di consegnare riscattato agli italiani di oggi e di domani. Rimane il dubbio che una lunga scia di sangue unisca politicamente via Fani a via D’Amelio, passando per la Sicilia e lungo la penisola”.
La relazione di palazzo San Macuto, nel delineare la situazione delle mafie in Italia, sottolinea come queste continuano a fare affari nel traffico dei rifiuti, nel settore della sanità, ma anche nelle truffe sui finanziamenti pubblici, con il contrabbando di gasolio e con le scommesse illegali. Ma è sulla presenza delle mafie nelle regioni del Nord che la Relazione lancia un allarme, soprattutto in Lombardia dove vi è la “presenza pervasiva dei clan nel tessuto produttivo delle aree più dinamiche e ricche del Paese”. L’espansione in queste aree è stata agevolata “da diffusi atteggiamenti di sottovalutazione e rimozione”, nonostante gli appelli di magistratura ed esponenti della società civile. Tra le organizzazioni criminali, oggi è la ‘Ndrangheta quella “più ricca, agguerrita e potente", divenuta “leader mondiale del traffico di stupefacenti". Essa è in grado di "condizionare l'economia locale grazie non solo al ricorso alla violenza e all'intimidazione, ma soprattutto alla convergenza di interessi con imprenditori senza scrupoli e alla rete di complicità con il mondo delle professioni e della politica locale". Anche la Camorra, "forte e dinamica", ha uno "stretto rapporto con la politica e le istituzioni di alcune aree". E Cosa nostra, dopo la morte di Riina, “mostra una straordinaria capacità di rigenerazione". Anzi, paradossalmente, la fine del potere del boss di Corleone costituisce “un ulteriore elemento attuale di forza”. L’organizzazione mafiosa siciliana, infatti, “è libera di ridarsi un organismo decisionale centrale, e quindi una strategia comune, finora ostacolata dall’esistenza di un capo che, in carcere a vita al 41-bis, né poteva comandare né poteva essere sostituito. Andrà perciò attentamente monitorata la fase di transizione che si è formalmente aperta e che probabilmente subirà un’accelerazione a breve”.
Proprio in tema di 41 bis, definito “un insostituibile perno della legislazione antimafia, la relazione denuncia che “in molti istituti è di fatto possibile la comunicazione tra soggetti di eterogenei gruppi di socialità” nonostante il regime del carcere duro previsto dalla legge. Dei 730 mafiosi rinchiusi al 41 bis, "circa 640, sono ospitati in strutture penitenziarie che non rispondono ai requisiti di legge". Solo il nuovo penitenziario di Sassari, alla luce del monitoraggio realizzato dalla commissione antimafia, risulta "idoneo ad ostacolare le comunicazioni interne tra detenuti".
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