Irriverente e dissacrante, Ippolito stroncato da Afrodite

Cultura | 19 agosto 2018
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Gioiosamente irriverente, irriguardoso, dissacrante al limite della blasfemia, l’occhialuto “Ippolito” - tale divenuto nella moderna trasposizione (l’America degli anni ’50) curata dall’ “irrispettosa” regia di Nicola Alberto Orofino - della classicità della celeberrima e fortunata tragedia greca, scritta da Euripide, nulla (o quasi) conserva nell’essenziale e severa ambientazione, sciogliendo al ritmo di hit degli anni ’30 e ’40 italiani, brani musicali dell’America contro della contestazione, gospels (quasi a dimostrazione d’una atemporalità) il dramma sentimentale dell’affatturata Fedra e quello del verginale figliastro in una sorta di musical stile Broodway degli anni d’oro, mostrando senza veli il coraggio d’una scelta di rottura. Introdotta da un danseur senza posa ai ritmi fox-jazz intonati dal Trio Lescano, l’instancabile e gigionesco Silvio Laviano (in funzione di “coro”) - che intrattiene il pubblico, volteggiando con le signore o fingendosi ubriaco, fino ad esaurimento posti in sala (la suggestiva corte del Castello Ursino di Catania) - ecco apparire improvvisamente, senza soluzione di continuità, un’Afrodite ballerina (una carnalissima Luana Toscano), rigorosamente abbigliata in lungo drappo rosso fuoco e guepiere, rivelandosi più dea della perdizione che dell’amore, mortalmente offesa dalla purezza del giovane e per questo votata alla vendetta. Sicché nello scambio serrato di battute esplicitanti tra la dea e il testimone-coro (tutte più o meno pronunciate su passi di danza) la prefigurazione della tragedia prende corpo: colpita da maledizione Fedra, moglie di Teseo e matrigna dell’incorrotto Ippolito, cadrà in preda a delirio erotico follemente innamorata del figliastro che sdegnosamente la respingerà, ricorrendo a sua volta all’altrettanto esaltata venerazione di Artemide. Accentuata dal moralistico bigottismo sociale l’irrisolvibile contraddizione di Fedra (pencolante tra accettazione e trasgressione delle rigide e ipocrite regole collettive) si risolverà nel suicidio per impiccagione, non prima tuttavia (al culmine della vergogna) d’aver lasciato la donna al marito Teseo un messaggio in cui mentendo si dirà stuprata da Ippolito. Teseo, figlio di Poseidone, scaccerà il figlio dal suo regno invocando la vendetta del padre, che puntualmente si compie: un mostro marino, emerso improvvisamente dalle acque, ucciderà il giovane. Le libertà che il regista Orofino si attribuisce modificando la fine non sono irrilevanti, sicché Teseo non otterrà (come nel testo originario il perdono dal figlio morente) e la colpa di non avere creduto all’innocenza di Ippolito graverà per tutto il resto dei suoi giorni sulla sua vita straziata dall’incolmabile doppia perdita, mentre sulle crasse e sguaiate risate delle due dee Artemide e Afrodite, indifferenti alle sofferenze umane, si spengono mestamente le luci di scena. 

 Uno spettacolo moderno, retto da una regia sicura delle proprie scelte che pur non stravolgendo il testo classico di Euripide non può non configurarsi come vero e proprio “adattamento” (ovviamente non soltanto temporale) spingendosi coraggiosamente fino ai territori della diversità. Ottimamente fuso il poker degli attori: dal mobilissimo “danseur-coro” Silvio Laviano (nell’ultima parte chiamato ad interpretare un sofferto e cupo Teseo, infine stroncato dal rimorso), alla ria, altezzosa e provocante Laura Toscano-Afrodite dal volto oscurato e poi svelato (anche nei panni della nutrice di colore, dalla tipica e ridicola parlata della “bovera negra”), fino alla sofferta e assatanata Egle Doria-Fedra, in perfetto equilibrio nel difficile passaggio recitativo tra l’esaltazione dell’insana passione d’amore e l’esecrazione per l’aborrito sentimento (anch’ella chiamata, infine, ad incarnarsi nella dea Artemide pronta a deridere, in una sorta di urlato proclama di freddo distacco dai tormenti degli uomini, la rigidità esistenziale del suo protetto); Gianmarco Arcadipane, dimesso, misurato, ma inflessibile e sessualmente apassionale Ippolito, innocente (e forse proprio per questo) destinato a scontare colpe non commesse.

Ippolito” di Euripide

Con: Egle Doria, Silvio Laviano, Luana Toscano e GianMarco Arcadipane 

 Regia: di Nicola Alberto Orofino 

 Scene e costumi: Vincenzo la Mendola; 

Assistente alla regia: Gabriella Caltabiano 

Progetto Grafico: Maria Grazia Marano; 

Comunicazione e media: Stefania Bonanno; 

Sartoria: Grazia Cassetti Produzione: Madè Associazione culturale

 di Franco La Magna

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