Il Sud frena: un siciliano su quattro a rischio povertà
«Oltre un terzo dei meridionali è a rischio povertà». A dirlo è il vicedirettore di Svimez, Giuseppe Provenzano, illustrando le anticipazioni del rapporto 2017 in cui si legge che nel 2016 «circa 10 meridionali su 100 sono in condizione di povertà assoluta, contro poco più di 6 nel Centro- Nord».
Nelle regioni meridionali il rischio di povertà «è triplo rispetto al resto del Paese: Sicilia (39,9%), Campania (39,1%), Calabria (33,5%)», continua Svimez spiegando che la povertà deprime la ripresa dei consumi, e, in questo contesto, «le politiche di austerità hanno determinato il deterioramento delle capacità del welfare pubblico a controbilanciare le crescenti diseguaglianze indotte dal mercato, in presenza di un welfare privato del tutto insufficiente al Sud»
Nella media del 2016 «gli occupati aumentano rispetto al 2015 al Sud di 101 mila unità, pari a +1,7%, ma restano comunque di circa 380 mila al di sotto del livello del 2008», afferma la Svimez nelle anticipazioni del rapporto 2017 specificando che l’aumento dei dipendenti a tempo indeterminato in termini relativi è più accentuato nel Mezzogiorno, grazie al prolungamento della decontribuzione.
L’incremento degli occupati anziani e del part time però "contribuisce a determinare una preoccupante ridefinizione della struttura e qualità dell’occupazione».
Per Svimez, il dato più eclatante è il formarsi e consolidarsi di un drammatico dualismo generazionale: «in Italia rispetto al 2008 sono ancora un milione 900 mila i giovani occupati in meno. Per quel che riguarda i settori, nel 2016, aumenta l’occupazione nell’industria (+2,4%), mentre diminuisce nelle costruzioni (-3,9%). Significativo incremento nel turismo (+2,6%)».
Un ventennio a crescita zero, spiragli solo dopo il 2028
Tuttavia, se il Mezzogiorno proseguirà con gli attuali ritmi di crescita, «recupererà i livelli pre crisi nel 2028, 10 anni dopo il Centro-Nord», continua la Svimez nelle anticipazioni del rapporto 2017 aggiungendo che si configurerebbe così un ventennio di «crescita zero», che farebbe seguito «alla stagnazione dei primi anni duemila, con conseguenze nefaste sul piano economico, sociale e demografico». Se la ripresa indica elementi postivi nell’economia meridionale, che ne mostrano la resilienza alla crisi - secondo Svimez - «un biennio in cui lo sviluppo delle regioni del Mezzogiorno è risultato superiore di quello del resto del Paese non è sicuramente sufficiente a disancorare il Sud da una spirale in cui si rincorrono bassi salari, bassa produttività (il prodotto per addetto è calato cumulativamente nel periodo 2008-2016 del -6% nel Mezzogiorno, del -4,6% nel resto del Paese), bassa competitività, ridotta accumulazione e in definitiva minor benessere».
Il nodo vero, secondo l’associazione, «è ancora una volta lo sviluppo economico nazionale», per il quale il Mezzogiorno «deve essere un’opportunità, calibrando l’intensità e la natura degli interventi per il Sud».
Nella fase più recente il Governo è intervenuto in maniera "più decisa a favore delle imprese meridionali, mettendo in campo una batteria di strumenti per agevolare la crescita del Mezzogiorno, dopo che la lunga fase di crisi tra il 2008 e il 2015 ha ampliato ulteriormente il divario tra le due macro aree del Paese». Nello specifico, Svimez si riferisce al prolungamento degli esoneri contributivi per le nuove assunzioni, al credito d’imposta per gli investimenti e ai Contratti di Sviluppo gestiti da Invitalia per conto del ministero per lo Sviluppo Economico. Rientrano sempre nell'ambito di questa batteria di strumenti agevolativi il Masterplan e i Patti per il Sud. Da ultimi, poi, i due Decreti Mezzogiorno, il secondo in corso di conversione in Parlamento nel quale sono previste le Zone Economiche Speciale (ZES) per le sole aree meridionali.
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