Il prete migrante non assolve i politici
Se solo Donald Trump sapesse leggere (ma è difficile con «un vocabolario di settantasette parole», copyright Philip Roth) o perfino se sapessero farlo certi suoi epigoni italiani ed europei, lui e gli altri sobbalzerebbero dinanzi a un breviario di solidarietà, che trasuda dolore e speranza e che si deve all’incontro fra un sacerdote e un giornalista. È una splendida testimonianza, piena di storie di accoglienza e riscatto, quella tradotta in un libro da don Mussie Zerai e Giuseppe Carrisi, “Padre Mosè” (224 pagine, 16 euro), un volume pubblicato dall’editore Giunti. Don Mussie Zerai – candidato al Nobel per la Pace negli ultimi anni – è stato prima di tutto un migrante, fuggito dalle violenze del regime di Menghistu in Eritrea e arrivato in Italia nel 1992: da allora ha svolto mille umili lavori, prima di diventare prete, nel 2010, e continuare a non pensare soltanto alle… anime.
Prima di consacrarsi alla vita religiosa allestisce dormitori per senzatetto, fonda un’associazione, passa molto tempo in strada con gli ultimi. E negli ultimi anni ha iniziato a salvarli anche a distanza. Da quando, infatti, nel 2004 ha risposto a una telefonata nel pieno della notte che gli segnalava un barcone in balia delle onde nel canale di Sicilia, salvata grazie a una sua tempestiva segnalazione alla Guardia Costiera, la sua vita è dedicata quasi interamente a chi fugge in cerca di una terra promessa. Il suo numero di telefono, grazie a un passaparola globale con i metodi più disparati, è un vessillo di speranza in terre dilaniate da guerre e regimi autoritari, fa capolino su muri e t-shirt, fra campi profughi e prigioni.
La sua è una battaglia quotidiana e anche mediatica. L‘idea di fondo di don Mosè? Non è possibile rassegnarsi al fatto che il mar Mediterraneo sia un enorme cimitero, troppi muri e pochi ponti dividano l’Europa dalla gente che fugge da terre dove i diritti sono violati, e le principali istituzioni ormai si preoccupano di chiudere accordi bilaterali con Stati che fermano o rallentano i flussi migratori senza andare troppo per il sottile, cioè senza badare ai diritti minimi (a cominciare dalla Libia di Gheddafi, per di più foraggiata dal governo Berlusconi). Servono piuttosto corridoi umanitari e chance di vita dignitosa per tutti. Padre Mosè non fa sconti a nessuno, a politici di ogni parte che si sono succeduti nei ruoli di maggiore responsabilità e che nulla o troppo poco hanno fatto, possibilmente dopo tante parole.
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