Il mondo va in scena alle giornate del cinema muto di Pordenone

Cultura | 25 settembre 2017
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Appassionati studiosi dei silent movies e cinephiles provenienti da ogni parte del pianeta non esitano a definirlo “il festival più bello del mondo”. Nate nel 1982 (quando venne proiettata, ad un pubblico composto da poche decine di spettatori, una collezione di film di Max Linder) e dirette fino all’89 dallo storico Davide Turconi (dal 2016, dopo il ventennio dell’inglese David Robinson, la direzione artistica è stata affidata al critico di “Variety Jay Weissberg), le “Giornate del Cinema Muto di Pordenone” - giunte al traguardo della 36.a edizione (30 settembre-7 ottobre) - confermano ogni anno di più la capitale importanza assunta per la conoscenza del cinema muto mondiale. E anche quest’anno un programma sontuoso non deluderà le attese degli aficionados, spaziando dai sette film della prima parte di una retrospettiva scandinava (opere svedesi, danesi, finlandesi e norvegesi), sulla scia di Victor Sjostrom e Mauritz Stiller (titolo di punta “La fidanzata di Glomdal”, 1926, di Carl Theodor Dreyer) alla Cineteca Italiana (7 film, tra cui “Il Fiacre n.13”, 1917, di Alberto Capozzi e Gero Zambuto); quindi dai Documentari sovietici (8) al Giappone (2), dalla Grande Guerra (15 opere, in prevalenza francesi) alle Origini del Western (13, quasi tutti francesi, diretti da Jean Durand). Tre saranno, poi, le opere scelte interpretate dalla polacca Barbara Apolonia Chałupiec (in arte Pola Negri), stella di prima grandezza del firmamento hollywoodiano, mentre del grande regista-documentarista e produttore cinematografico milanese Luca Comerio le “Giornate” proietteranno ben 17 documentari. Cinque programmi presenta la sezione “Nasty women”, le irrefrenabili signore spregiudicate della commedia americana degli anni 10, Léontine, Rosalie, Cunégonde, Lea, Bridgete… Spiccano in “Canone rivisitato/The canon revisited” (8) due film di “matrice siciliana”, “L’emigrante” (1915) e “Il fauno” (1917), quest’ultimo a cent’anni dalla realizzazione, entrambi dell’eclettico regista-sceneggiatore e soggettista messinese, di famiglia aristocratica, Alfredo Giovanni Leopoldo Rodriguez (in arte Febo Mari). Mari vanta il primato d’essere stato il solo metteur en scène a dirigere Eleonora Duse in “Cenere” (1916), unica interpretazione cinematografica della grande attrice teatrale italiana, mentre emergono tra le sue più note apparizioni cinematografiche “Il fuoco” (1915, suo il soggetto e la sceneggiatura, che godè d’uno strepitoso successo di pubblico e fece assurgere la siciliana Pina Menichelli nell’empireo delle grandi dive) e “Tigre reale” (1916), tratto dall’omonimo romanzo di Giovanni Verga, ambedue diretti Giovanni Pastrone, regista del celeberrimo “Cabiria”, l’opera più nota di tutto il cinema muto italiano). Nella stessa sezione ancora il celebre “The Crow” (“La folla”, 1928), capolavoro di King Vidor, proposto altresì dalle “Giornate” come evento di apertura/opening night/special events il 30 settembre, con esecuzione dal vivo dell’Orchestra San Marco di Pordenone, diretta da Carl Davis. Ma, altresì, di grande interesse appaiono l’americano “A fool there was” (1915) di Frank Powel, protagonista la vamp Theda Bara, la donna-vampiro (da cui deriva il termine “vamp”) e il fantascientifico russo “Aelita, regina di Marte” (1924) regia di Jacov Protazanov. Dunque, donne e ancora donne, senza esclusione delle italiane Anna Fougez, la sciantosa per antonomasia, Leda Gys, Gigetta Morano… “Cinema delle origini/Early Cinema”, con i programmi “Victorian Cinema” e “Tableaux Vivants” e l’attesissima sezione “Riscoperte e restauri” - dove si proietteranno, tra gli altri, circa venti minuti dell’americano, ritrovato al Narodni Filmovy Archiv di Praga, “Now we are in the air” (1927) di Frank R. Stayer, protagonista Louise Brooks (una delle dive più amate e icona del cinema muto, allora all’apice della carriera) - concludono il programma 2017 che il 7 ottobre proporrà come evento di chiusura “The student price in old Heidelberg” (“Il principe studente”, 1927) di Ernest Lubitsch, esecuzione dal vivo dell’Orchestra San Marco di Pordenone diretta Mark Fitz-Gerard. Previsto un omaggio a Buster Keaton con il film “The busche boy” (1917). Le “Giornate” sono organizzate dalla Cineteca del Friuli (diretta da Livio Jacob) che quest’anno festeggia i quarant’anni di attività (è stata inaugurata il 26 febbraio 1977) ed oggi vanta un patrimonio di circa 18mila titoli in pellicola, conservati nell’Archivio Cinema di Gemona, oltre a 30mila titoli in vari formati, ed una biblioteca specializzata ricca di oltre 25mila volumi e centinaia di riviste. Durante le “Giornate” verrà consegnato il premio “Jean Mitry” (assegnato a personalità o istituzioni che si siano distinte per l’opera di recupero e valorizzazione del patrimonio cinematografico muto). Master Class musicale, “Collegium” (dialoghi in senso platonico di esperti e studiosi con i collegians, giovani che vogliono avvicinarsi al cinema muto, i quali alla fine scriveranno un breve saggio, il migliore dei quali riceverà un premio mentre gli altri saranno pubblicati sul sito delle “Giornate”) e come sempre la possibilità di visitare lo spazio del Festival (“FilmFair”) “dove si possono trovare memorabilia, dvd, libri e gadget sul cinema e anche il merchandising ufficiale delle Giornate” al secondo piano del Teatro Verdi di Pordenone (dove si svolge il Festival), costituiscono ancora un non trascurabile surplus di “attrattive” offerto ai partecipanti, il cui numero cresce di anno in anno. Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo-Direzione Generale per il Cinema, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Comune e Provincia di Pordenone, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Pordenone, Fondazione Friuli (Enti promotori), vari sostegni, sponsor privati e collaborazioni, per quanto numerosi (ma in calo) risultano tuttavia drammaticamente insufficienti a reggere finanziariamente un Festival che ha visto progressivamente e pericolosamente ridurre i contributi (nel clima di generale riflusso della cultura in Italia), al punto da metterne a rischio perfino la sopravvivenza.

 di Franco La Magna

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