Il braccio di ferro tra Stato e Regione sulle entrate fiscali
La chiave interpretativa del DEFR approvato dalla Giunta regionale lo scorso 13 febbraio sta nella conclusione: “l'intrapresa azione di rinegoziazione degli accordi con lo Stato del 2014, 2016, 2017 risulterà indispensabile al fine di garantire l'equilibrio di bilancio” (pag.82). Tradotto in linguaggio corrente significa che il governo Musumeci rimette in discussione le intese firmate nel corso della precedente legislatura e che avevano chiuso un antico contenzioso con Roma consentendo a Crocetta e Baccei di affermare che era stato raggiunto l'equilibrio di bilancio. Accordi che il nuovo Documento definisce “remissivi” scaricando sul precedente governo l'accusa di aver mantenuto un atteggiamento rinunciatario nei confronti dello Stato. Condotta che ora sarebbe mutata, al punto che la stessa Giunta ha deciso di impugnare il bilancio dello Stato del 2018 per la parte in cui introduce oneri finanziari a carico della Regione e delle ex province.
L'obiettivo è ancora più chiaramente evidenziato quando (pag.81) si individuano i 15 punti da rinegoziare con lo Stato, e si chiede la riapertura dei lavori dell Commissione paritetica Stato-Regione che ha concluso lo scorso anno i suoi lavori. Tra quei punti segnalo in particolare il primo che riguarda la rinegoziazione dell'accordo del 2016 sulle entrate, in particolare quelle derivanti dall'IRPEF e l'11.2 sul finanziamento del fondo sanitario regionale che avrebbe lo scopo di ottenere la “retrocessione delle accise ex art.1 c.832 della legge 27/12/2006 n. 296”. Si tratta della proposta, assai cara in passato ai governi Cuffaro e Lombardo, di ottenere per intero dallo Stato le accise fiscali prodotte in Sicilia in cambio della rinuncia al cofinanziamento statale della sanità attualmente (pari attualmente al 50,89%). A tal fine si richiede (pag.53) “il superamento dell'attuale sistema di finanziamento della spesa sanitaria allo scopo di renderlo uniforme a quello già adottato da altre regioni ..anche attraverso l'attribuzione di maggiori entrate da parte dello Stato (corsivo dell'autore). Altro punto dirimente riguarda la possibilità che la Regione introduca norme fiscali per agevolare gli investimenti (n.14) attraverso l'incremento degli spazi per gli interventi di fiscalità di vantaggio sul modello del Portogallo, la definizione degli aiuti statali su base regionale, la fiscalità di vantaggio regionale, l'estensione delle ZES.
In mancanza di più dettagliate spiegazioni, è da supporre si intenda riferirsi alla portoghese IRC (imposto sobra o rendimiento das pessoas colectivas) la cui aliquota ammonta al 21% sia per i contribuenti residenti che per quelli non residenti, con eccezione dei primi 15.000 euro che sono tassati al 17%, oppure al regime di esenzione dell'imposizione sulle plusvalenze da trasmissione a titolo oneroso di valori mobiliari (sito Unioncamere consultato il 28/2/2018 alle ore 16.42). Fin qui basterebbe solo ricordare che la Sicilia è una regione a statuto speciale e non uno stato indipendente; perciò non può di sua iniziativa applicare simili regimi fiscali la cui attuazione compete alla Repubblica italiana. Può darsi però ci si riferisca semplicemente alla zona franca di Madera (ZFM) ed al relativo Centro Internazionale d'Affari (IBC) istituito all'inizio degli anni '80 per rispondere alle esigenze di recupero dell'arretratezza delle zone ultraperiferiche dell'Europa (aliquota unica a regime del 5% a fronte della realizzazione di un investimento minimo di 75.000 euro e dell'assunzione di un lavoratore. Attendiamo di capire, anche alla luce della dichiarata volontà di rendere più efficaci le zone economiche di sviluppo recentemente introdotte da una legge nazionale (che viene criticata) e per le quali non è dato conoscere cosa intenda fare la Regione siciliana. Non si tratta della sola fuga in avanti: si propone, per esempio,l'introduzione della moneta complementare (certificati di credito fiscale) “ per alimentare la spesa e ridurre il costo del lavoro “mobilitando imprese, anche, sindacati e trainare produzione, assunzioni, investimenti” (pag.7).
Per giustificare un simile impianto era necessario drammatizzare la situazione esistente, anche se per quanto riguarda la crescita del PIL le cifre sono sostanzialmente corrispondenti a quelle stimate da Baccei: 1,2 nel 2017, l'1% nel 2018 e lo 0'6% in ciascuno dei due anni successivi. Ecco allora la paginetta di cifre tragiche, spesso decontestualizzate e qualche volta sbagliate, utili però per fare i titoli dei giornali. Due soli esempi: a pagina 5 si afferma che i 1.370.000 occupati in Sicilia sono comprensivi del lavoro sommerso, che secondo le stime di Istat e Banca d'Italia in Sicilia supera il 20%. Sarebbe una scoperta devastante se non fosse smentita alla successiva pagina 21 dove quello stesso numero viene attribuito correttamente all'occupazione regolare. Così come si è voluto ribadire che la spesa dei fondi strutturali europei è ferma all'1% ,dato che si riferisce invece al solo FESR, mentre il fondo sociale e il programma di sviluppo rurale hanno tassi di avanzamento significativamente più alti; ne fanno fede anche le tabelle pubblicate qualche giorno fa sul Sole 24 Ore. Le risorse europee e quelle nazionali per lo sviluppo costituiscono il principale, se non unico, flusso destinato ad alimentare la spesa per investimenti. Il DEFR le quantifica in 8miliardi 135 milioni nel triennio e prevede una spesa di 3,299 miliardi per l'anno in corso. Ad essi vanno aggiunti nel triennio 1,460 miliardi di euro provenienti dal Fondo sviluppo e coesione e destinati al credito d'imposta per le imprese operanti in Sicilia. Come si tradurranno tali risorse in investimenti e spesa produttiva? Con quali interventi di rimodulazione dei programmi? Con quali modelli di riorganizzazione dell'arrugginita macchina regionale? Tutto sembra restare nel generico, tranne il “rilancio dell'industria di trasformazione delle acciughe e delle sardine sotto sale” che ha dato a qualche quotidiano il destro di un bel titolo. Colpisce negativamente inoltre che, nonostante la denuncia a tinte forti della povertà, manchi qualsiasi intervento aggiuntivo al REI nazionale. Secondo i dati INPS, in Sicilia le domande già presentate per il reddito di inclusione sono oltre 50.000 già nel primo mese di applicazione della norma.
Le risorse potrebbero non bastare per tutti i richiedenti ed è gravissimo che sia stata del tutto abbandonata l'ipotesi di un intervento integrativo regionale. Nel frattempo però l'ineffabile Vittorio Sgarbi, sollevatosi dalla tazza del cesso, propone la costruzione dell'aeroporto di Agrigento. Evvia, uno scalo aereo non si nega a nessuno! Va chiarito, in buona sostanza che una cosa è l'apertura che il governo Gentiloni ha giustamente fatto a revisioni limitate degli accordi sulla base della mutata situazione, ben altro è il tentativo di ribaltare gli accordi conclusi con lo Stato. Rivolgiamo a Musumeci e Armao i migliori auguri: hanno diritto di tentare nella speranza che dopo il 4 marzo si insedi a Roma un governo a trazione forzo-leghista, ma da qui ad introdurre simili previsioni in un documento di programmazione economico- finanziaria ne corre. La radicale messa in discussione di tutte le azioni del governo precedente segna l'impianto dell'intero DEFR, fino alle forzature statistiche dell'Introduzione, che si configura come un vero e proprio manifesto politico. Rispetto alle previsioni di merito del DEFR 2017-2019, che sarebbe utile rileggere, bisognava alzare il tiro e drammatizzare la situazione, presentando la situazione siciliana come un disastro pressoché irrimediabile, a meno dell'intervento salvifico del neo-regionalismo di cui l'attuale assessore all'Economia è notoriamente un teorico. Insomma si continua all'insegna del “non immaginate cosa abbiamo trovato”. Musumeci e la sua Giunta hanno continuato con questa solfa per cento giorni: non sarebbe ora di finirla?
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