I danni nascosti della lunga crisi che ha devastato il Paese
Quando si parla della crisi economica che ha colpito il nostro paese si fa spesso riferimento alle famiglie, ed in particolare alla riduzione del loro potere di acquisto, oppure alle imprese che riducono o cessano la loro attività. Raramente si spinge l’analisi oltre. Eppure ci sono altri effetti da considerare sia per le famiglie, sia per le imprese, sia per lo Stato.
Per le famiglie sono da considerare, oltre ai licenziamenti ed alle minori assunzioni dei componenti di esse, i mancati aumenti salariali o le mancate promozioni che spesso seguono le crisi, i mancati guadagni per lavori straordinari che in tempi normali i datori di lavoro richiedono, i maggiori oneri per la riduzione delle opportunità di lavoro per i figli , la moglie, ecc., la perdita di valore delle case di abitazione possedute in conseguenza della minore domanda di beni d’investimento., le perdite sui titoli eventualmente posseduti, le minori opportunità di affitto degli immobili eventualmente destinati alla locazione ed i minori ricavi conseguenti.
Per i professionisti e per le imprese, ed in particolare le banche, sono da considerare non solo le perdite di cui si è detto connesse alla appartenenza dei titolari ad una famiglia ma anche il calo del loro fatturato per la diminuzione della domanda , il calo dei loro profitti unitari in conseguenza di sconti ed abbuoni concessi, l’aumento delle perdite su crediti , la riduzione della liquidità per effetto delle maggiori dilazioni nei pagamenti e delle restrizioni del credito bancario.
Per le banche , oltre l’aumento delle perdite sui crediti e dei crediti deteriorati determinato dalla crisi delle famiglie e delle imprese , sono da considerare le cospicue svalutazioni di beni immobili e di titoli in portafoglio , tutti elementi questi che in taluni casi, anche per l’incidenza di gestioni non sempre corrette, hanno determinato il loro commissariamento e/o l’intervento dello Stato, a volte anche con “sacrifici” dei risparmiatori che hanno perso in tutto o i parte i loro risparmi.
Per lo Stato, oltre al menzionato intervento sulle banche ed alle minori entrate tributarie conseguenti alla riduzione dei contributi sociali, dell’iva, dell’irpef, dell’imposta sulle società, sono da considerare i maggiori oneri connessi alle accresciute indennità di disoccupazione, al maggiore ricorso alla cassa integrazione, ai contributi di sostegno alle famiglie ed alle imprese. per combattere la recessione e favorire la ripresa.
Come si vede, come si è detto, sono tanti a ben riflettere gli effetti negativi della crisi e sono incisivi anche quelli subiti dallo Stato il quale, per altro, non considerando i vincoli derivanti dal nostro enorme debito pubblico, è stato spesso accusato di essere stato inerte e di avere in questo modo favorito il loro protrarsi.
Ora il periodo peggiore è passato ma è opportuno segnalare che fino a quando non si rimuovono i nodi strutturali che da sempre limitano le possibilità di sviluppo del nostro paese non possiamo aspettarci molto sia in termini di pil , sia in termini di occupazione.
Per dare slancio alla nostra economia, oltre ad un maggiore integrazione a livello europeo , occorrono governi forti, coesi e stabili che affrontino il problema del debito ed avviino una nuova politica tendente allo sviluppo delle imprese ed a quello dell’occupazione.
Bisogna considerare a tal fine che:
a) il debito pubblico si deve pagare anche perché ci costa troppo: se non paghiamo quelli della nostra generazione, come pare, lo pagheranno i nostri figli;
b) non possiamo distribuire ricchezza senza prima produrla; né possiamo indefinitivamente ricorrere al debito perché per collocare i titoli ci vogliono gli acquirenti;
c) gli acquirenti di titoli comprano, o non vendono, se hanno fiducia nel governo del paese;
d) per pagare il debito , ridurre le tasse, realizzare pienamente programmi come il reddito di cittadinanza non basta, come molti ripetono, solo la riduzione degli emolumenti di deputati e senatori, la lotta alla corruzione ed all’evasione fiscale .
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