I corpi intermedi necessari o l'essenza della democrazia

Politica | 23 gennaio 2018
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Il XX rapporto “Gli italiani e lo stato” elaborato  da Demos ( la società di statistica diretta da Ilvo Diamanti) segnala – tra gli altri- un dato che mi pare degno di attenzione: la fiducia degli intervistati nei confronti del sindacato è tornata a crescere con una punta massima del +8% verso la Cgil e del 6% verso Cisl ed Uil (per la verità anche le organizzazioni imprenditoriali salgono di due punti), mentre i partiti restano ancorati al fondo della classifica e scendono in un anno dal 6% al 5%. La buona notizia è che dopo anni che per anni è stata diffusa l'idea della società liquida, dell'individualismo esasperato e della inutilità dei corpi intermedi della società, il campione di italiani coinvolti nelle interviste segnala con forza il ruolo dei soggetti collettivi della difesa del mondo del lavoro.

 Il dato diventa ancor più interessante alla vigilia delle elezioni politiche generali. Nei programmi di tutte le forze politiche, anche di quelle che propongono l'abrogazione dei provvedimenti di leggi che negli ultimi anni hanno indebolito le lavoratrici ed i lavoratori, manca una riflessione sulla funzione che il lavoro ha nel paese, sulle drammatiche trasformazioni che lo stanno investendo, sulla configurazione generazionale che ha assunto in Italia il tema della disoccupazione. Manca al tempo stesso un'indicazione non propagandistica di come si ricolloca il lavoro al centro di un'idea di ricostruzione del sistema produttivo italiano e di nuova collocazione dell'Italia nella catena mondiale del valore. 

Leggendo i programmi elettorali sembra di vivere in un altro mondo: le affermazioni sono generiche e confuse, le proposte non vanno aldilà delle dichiarazioni di buone intenzioni. Quando non sono sbagliate, come hanno fatto rilevare la Cgil e la Cisl rispetto alla proposta del PD di introdurre il salario minimo per legge in un paese che ha una grande tradizione di contratti nazionali di categoria, con il rischio di determinare l'effetto contrario a quello sperato, a danno dei lavoratori che, invece, hanno bisogno soprattutto di recuperare livelli salariali decenti dal momento che, sia nel pubblico che nel privato, i nostri sono tra i più bassi esistenti in Europa. Tuttavia, alle considerazioni sul terreno della cronaca se ne possono aggiungere altre con un respiro più lungo sulla definitiva trasformazione del rapporto tra partiti e sindacati. 

Sia nella tradizione socialdemocratica che in quella comunista il sindacato era considerato il soggetto delle rivendicazioni economiche della classe, restando ferma in capo al partito la titolarità della battaglia per il cambiamento del sistema politico. Pur partendo da altre premesse ideologiche, anche il sindacalismo cattolico nel nostro paese è stato legato per molti anni ad un partito di riferimento, la DC. Non a caso il patto di Roma del giugno del 1944 che diede vita alla Cgil unitaria fu firmato dai rappresentanti delle correnti sindacali dei partiti e la scissione dei cattolici e dei socialdemocratici nel 1948 fu provocata dal mutamento degli equilibri politici nazionali ed internazionali. La “cinghia di trasmissione”, così era definito il rapporto tra i partiti ed il sindacato si interruppe con l'avvio delle grandi lotte operaie della fine degli anni sessanta del secolo scorso e trovò – per quanto riguarda la Cgil- il culmine con la decisione di Bruno Trentin allora segretario generale di procedere allo scioglimento della corrente comunista costringendo le altre componenti a fare altrettanto. 

Nei suoi diari del settembre 1990 così Trentin definisce il percorso individuato: “la sfida è quella di costruire una nuova maggioranza della Cgil fondata su un patto di programma e su nuove regole della democrazia”. Quest'intuizione, nel pieno della tempesta che stava investendo il PCI dopo la caduta del muro di Berlino e due anni prima che scoppiasse Tangentopoli, è con ogni probabilità quella che consentì al più grande sindacato italiano di affrontare e superare le prove della fine della prima Repubblica e della scomparsa dei grandi partiti identitari del Novecento. 

Ora siamo ad un nuovo momento di svolta: il sistema politico ed istituzionale italiano sembra come bloccato, non riesce a ridefinire le modalità della rappresentanza politica, e si rassegna a partiti deboli e privi di respiro programmatico e valori forti. Le persone percepiscono questa estrema difficoltà della politica: il 49% degli intervistati da Demos afferma che la democrazia può funzionare anche senza i partiti, ma il dato supera il 60% negli elettori tra i 25 e i 44 anni. In tale situazione ' la scommessa nuova che sta di fronte al sindacato è come ripristinare e aggiornare la rete dei diritti individuali e collettivi, come ampliare la propria rappresentanza ai settori nuovi e meno protetti del mondo del lavoro, come farsi portatore di istanze generali -e per ciò stesso politiche- del mondo del lavoro e dei pensionati in una società che la crisi ha lasciato più ingiusta e diseguale. Il tradizionale concetto di autonomia, che è stato per trenta e più anni il cardine del rapporto tra il sindacato ed i partiti abbisogna di un'attualizzazione che prenda anche atto della sostanziale scomparsa della rappresentanza del lavoro nelle forze politiche. Ciò tuttavia senza mettere in discussione l'originalità del modello del sindacalismo confederale italiano, la sua capacità di essere al tempo stesso soggetto negoziale e portatore di interessi generali di riforma della società. Temi assai complessi e sui quali si confrontano sensibilità diverse, ma che rappresentano, assai più delle indiscrezioni giornalistiche sulla scelta del/la nuovo/a segretario/a generale,l'essenza delle sfide che attendono il prossimo congresso della Cgil, il XVII della sua lunga storia.

 di Franco Garufi

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