Giufà produttore cinematografico che divide Catania

Cultura | 2 settembre 2017
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Una dissacrante satira del mondo del cinema muto catanese, che tra la fine del 1913 e il 1916 vede sbocciare nel capoluogo etneo ben quattro case di produzione cinematografica (la grandiosa «Etna Film» e le più modeste «Katana Film», «Jonio Film» e «Sicula Film», la cosiddetta «Hollywood sul Simeto»), appronta il vulcanico Nino Martoglio con la commedia in tre atti di «L’arte di Giufà» (1916, ripubblicata da Giannotta nel 1928), frutto della cocente delusione e del vero e proprio disprezzo dello scrittore-regista di Belpasso maturato nei confronti dell’«arte muta».

 L’opera mette in scena uno spericolato e improbabile ingaggio del personaggio di Giufà, bizzaro finto tonto siciliano, assoldato dalla «Sicula Film», dietro cui in realtà il drammaturgo nasconde l’«Etna Film» fondata dal magnate catanese di origini spagnole Alfredo Alonzo (Catania 1858-1920), ricchissimo «re dello zolfo» siciliano, con il quale aveva avuto contatti per ottenere la direzione artistica della grandiosa casa cinematografica etnea (i cui locali, riattati, esistono ancora a Cibali), trattative finite rapidamente in malo modo. Nella commedia al vetriolo scritta dall’intrepido «moschettiere» si ritrovano infatti, malcelati ma facilmente riconoscibili, alcuni dei protagonisti degli anni d’oro del cinema catanese, a cui ovviamente Martoglio affibbia epiteti esilaranti (il conte Smiciaciato, la signorina Sparapaoli, attrice famosa carica di ori, Caciotta, il Direttore, l’Avvocato… ) insieme ad incontrovertibili riferimenti alla produzione (si accenna a un kolossal di prossima realizzazione, chiaramente La Sfinge dello Jonio), quindi agli spropositati compensi riservati ai «divi», agli inutili sprechi di denaro, all’immoralità dilagante nel mondo del cinema, alla mancanza di professionalità, all’incompetenza, all’improvvisazione imprenditoriale.

 Burla finale del velenoso sarcasmo di Martoglio sarà la trasformazione di Giufà- Pepè in produttore cinematografico, che decidendo di fare per conto suo fonda la «Moscardino Film», «coinvolgendo nella folle impresa suocera, cognato e pudibonda consorte». Martoglio non trascura di accennare anche alle difficoltà in cui si dibatte il cinema, aprendo il terzo e ultimo atto con il licenziamento da parte del direttore della «Sicula» della «diva» Sparapaoli, che viene convocata e informata delle modifiche della tipologia di film da produrre decise dal c.d.a., a causa della crisi che ha cominciato a mordere con estrema durezza. Questo il discorso di commiato del direttore alla diva: «Cara signorina, non è mancanza di fiducia nella sua arte, sempre grande, né mancanza di volontà. Il suo contratto scade, tutti i mercati ora sono chiusi, il lungometraggio drammatico ora non va più; la gente, troppo preoccupata per conto suo, non vuole affliggersi ancora di più con i drammi, vuole ridere e svagarsi con le commedie brillanti. Il consiglio d’amministrazione ha deciso di limitare la sua produzione alle commedie e alle farse di Giufà… Quando riprenderemo il lavoro in grande stile, lei sarà la prima ad essere richiamata. Per adesso…»

 La commedia martogliana incappa però, come altre, nell’infinita vexata questio dei plagi letterari, che a quel tempo provoca furibondi contenziosi tra i pochi uomini di penna siciliani, emersi dall’anonimato. Passato sotto silenzio ma non per questo incruento, il contenzioso scoppia improvvisamente tra l’impetuoso Martoglio e il versatile avvocato-regista-scrittore Raffaele Cosentino (Catania,1884 - Acireale, 1957), regista della «Katana Film» oggi sprofondato nel più nero oblio, di cui nessuno (al di fuori degli studiosi della materia) ricorda gli spiritosi testi teatrali o le regie cinematografiche dei suoi film, andati tutti scriteriatamente smarriti o distrutti. Quest’ultimo accusa l’autore de «L’arte di Giufà» d’averne ricavato il testo dalla sua commedia «Cinematografando» ambientata nel mondo del cinema e rappresentata nel 1916, che a sua volta Musco porta in scena con il titolo «Giufà in cinematografia». 

Fulmini e saette sfavillano per po’ sul cielo etneo ma, come spesso accade per l’oggettiva difficoltà di dimostrare il plagio, la disputa cessa dopo anni di liti infuocate vergando uno scialbo zero a zero (Cfr. C. Lo Presti, Sicilia teatro, Editrice «I Centauri», Firenze, 1969). Della «Katana» - fondata dai fratelli Scalia Zappalà e Giuseppe Coniglione nel febbraio del 1915, con sede in via Lincon (oggi via Di Sangiuliano), operatore il catanese Gaetano Ventimiglia (Catania 1888 - Roma 1974, che tra il 1925-26 passa tra gli altri nientemeno con il maestro del brivido e della suspance, l’Hitchcock del periodo inglese, che gli affibbia l’epiteto di «barone») - Raffaele Cosentino dirige cinque film (in massima parte solo a circuitazione regionale), dei quali, come tutti i film prodotti e girati a Catania, non è rimasta traccia alcuna, ove si escludano i pochi flani pubblicitari e le foto apparse sulle riviste del tempo.(La Sicilia)

 di Franco La Magna

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