Fondi europei: l'Italia frena la spesa, la Sicilia è bloccata

Economia | 17 aprile 2018
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Si ripresenta puntuale all'approssimarsi dela meta' del ciclo di programmazione il problema dei ritardi italiani nella spesa dei fondi struturali e di investimento europei. Un pacchetto di oltre 42 miliardi di euro in sette anni (ma ancora spendibile fino al 2023) che potrebbe avere un' importante funzione di volano in questa fase di faticosa ripresa della economia italiana dopo la.lunghissima recessione durata quasi un decennio. La media italiana di spesa è pari appena al 4,57% a fronte del 9, 7% della media europea per quanti riguarda il fondo europeo di sviluppo regionale che è il più dotato dal punto di vista finanziario .

 Per quanto riguarda il fondo sociale europeo le cose vanno appena un po' meglioma neanche tanto: il 7% contro il 12 medio dell'Unione. Ancora una volta le regioni virtuose sono quelle del Centro Nord in particolare l'Emilia Romagna che si attesta al 17% dello speso sul.festa e al 20% sul Fse. Le sole regioni meridionali che si distaccano dalla parte bassa della classifica sono la Calabria che ha speso il 6% del fesr e la Puglia al 4%. Anche alcuni programmi nazionali sono in forte ritardo in particolare il programma per la legalità e quello di governance finalizzato al miglioramento delle prestazioni della pubblica amministrazione. 

I dati siciliani sono noti e non val la pena di tornarci su, se non per ricordare che il dato si ripete costane da almeno quindici anni indipendentemente dal colore politico delle amministrazioni regionali pro-tempore e dalla presenza o meno di dirigenti esterni. Perfino quando si fece arrivare un professorone da Oxford le cose rimasero sostanzialmente immutate.  

Più interessante è invece il confronto con gli altri paesi europei, specie con i cosiddetti new comers, i paesi che hanno aderito più di recente all'UE in genere dell'Est Europa. La Polonia per esempio può contare su 80 miliardi di euro che diventano 100 se si aggiungono i fondi per l'agricoltura ed ha già certificato la spesa del 13% delle risorse disponibili. La Polonia è anche il paese che nell"Unione ha lanciato -insieme all'Irlanda - le zone economiche speciali. Ne ha ben 14 attive sin dal 1994 che costituiscono le aree di attrazione di investimenti soprattutto esteri. I rilevanti vantaggi fiscali per le imprese che vi si collocano, presentano un'entità di sostegno pubblico che varia a seconda dele zone dal 15% al 50%. Ricordiamo che l'esperienza delle Zes sta partendo anche nel nostro paese grazie all'attività del ministro della coesione De Vincenti, anche se nel caso italiano si sta puntando sulle aree retroportuali nella prospettiva di un rilancio delle attività legate alla logistica si cui l'Italia ha interesse a puntare per la sua centralità nel Mediterraneo.

 La Sicilia, tanto per cambiare, appare in forte ritardo nell'elaborazione progettuale e nella definizione dei piani territoriali ed industriali delle aree che vi saranno ricomprese. La nostra convinzione è che il nodo da sciogliere per realizzare un salto di qualità nell'utilizzo dei fondi strutturali e di investimento europei è la qualità della pubblica amministrazione. Fin quando non si metterà mano alla riforma del modo di lavorare della mano pubblica rendendola capace di dare efficienza ed efficacia agli investimenti, il caso italiano continuerà ad essere definibile solo in termini di occasioni perdute.

 di Franco Garufi

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