Emma Goldman la rossa, la donna più pericolosa degli Stati Uniti
Nacque figlia indesiderata, Emma Goldman, il 27 giugno 1869,
nell’impero russo, in una modesta famiglia ebrea. Il padre voleva un erede maschio. La donna che aveva sposato, una vedova con due figlie, non gradì la terza. Emma crebbe con le percosse dei genitori. Il padre aveva «sempre a portata di mano la frusta e lo sgabello,
simboli della mia vergogna e della mia tragedia» ricorderà nelle sue memorie (Autobiografia. Vivendo la mia vita, 4 voll., Milano 1980-1993). Per l’esperienza della sua infanzia, non volle avere figli.
Si sposò più volte, ebbe vari amanti, ai quali si
unì con passione, ma subordinò sempre l’amore
personale all’amore universale per l’umanità reietta,
asservita alle classi dominanti. Dedicò tutta
la sua esistenza (morì in Canada il 14 maggio
1940) alla lotta per la liberazione del proletariato,
per l’emancipazione della donna, per una società
senza classi dominanti. Ma osteggiò il fanatismo,
disprezzò il conformismo, condannò il terrorismo,
anche quando avevano abiti rivoluzionari.
Fu una anarchica molto speciale.
Aveva dodici anni quando la famiglia si trasferì
a San Pietroburgo. Il padre ostacolò la passione
di Emma per lo studio, perché sosteneva
che la donna doveva solo servire il marito e dargli
figli. Ma un altro modello di donna fu rivelato
all’adolescente Emma dal romanzo Che fare?
del populista Nikolaj Cernyševskij, dove la protagonista
si ribella al matrimonio imposto dalla
famiglia, e sposa un giovane rivoluzionario,
per votarsi con lui alla liberazione del popolo.
Nello stesso periodo, il romanzo di Cernyševskij
impressionò profondamente Vladimir
Il’ic Ul’janov, di un anno più giovane di Emma,
l’adolescente figlio di un «nobile ereditiero
». Nel 1902, con lo pseudonimo di Lenin, Vladimir
intitolò Che fare? un opuscolo dove
esponeva la concezione, remotissima dall’anarchia,
di partito di avanguardia, formato da rivoluzionari
di professione, totalmente dediti alla
causa della rivoluzione proletaria.
Se singolare fu la comune suggestione del
romanzo su un giovane «nobile ereditiero» e
su una derelitta fanciulla ebrea, ancora più
singolare fu la simultaneità della loro iniziazione
alla militanza rivoluzionaria.
Per Vladimir, cresciuto in una famiglia agiata
e devota allo zar, con genitori severi ma amorevoli,
studente modello per disciplina e brillanti
successi scolastici, la scelta rivoluzionaria avvenne
inattesa e improvvisa alla fine del 1887, a
diciassette anni, dopo l’impiccagione del fratello
Alessandro perché aveva organizzato un attentato
alla vita dello zar. Per Emma, angariata
dai genitori, senza adeguata istruzione, cresciuta
in un ambiente antisemita, a quindici anni
operaia in fabbrica, la vocazione rivoluzionaria
avvenne in seguito alla impiccagione di cinque
anarchici a Chicago nel novembre 1887.
Dopo aver lavorato in fabbrica a San Pietroburgo,
nel gennaio 1886 Emma raggiunse una
sorella emigrata negli Stati Uniti. Lavorava come
operaia, quando, in quello stesso anno, furono
condannati a morte giovani anarchici, accusati
di aver assassinato alcuni poliziotti durante
una dimostrazione. La diciassettenne
operaia seguì appassionatamente il processo,
che definirà «la più gigantesca macchinazione
di tutta la storia degli Stati Uniti». Il 15 agosto
1889, si trasferì a New York. Qui avvenne l’incontro
con un diciottenne anarchico russo,
Aleksandr Berkaman, e con il quarantenne tedesco
Johann Most, uno dei maggiori esponenti
dell’anarchismo negli Stati Uniti. Fu, scriverà
Emma, la sua «vera data di nascita». A vent’ anni
divenne rivoluzionaria nel movimento anarchico
internazionalista.
Dotata di talento oratorio, iniziò a viaggiare
per gli Stati Uniti per fare comizi e conferenze.
Cominciò a scrivere articoli su periodici anarchici.
Fu arrestata nel 1893 per incitamento alla
sommossa, ma gettò un bicchiere d’acqua in
faccia al poliziotto che le prometteva la libertà
in cambio di informazioni sugli anarchici.
Si immerse nello studio del pensiero anarchico,
del socialismo, della filosofia, dell’economia,
della questione sociale, della condizione della
donna. Dal 1895 fu in Europa, dove incontrò i patriarchi
e le matriarche dell’anarchismo, come
Pëtr Kropotkin, Errico Malatesta e la comunarda
Louise Michel. A Vienna scoprì il pensiero di
Nietszche, che divenne una sua passione intellettuale,
e seguì le lezioni di Sigmund Freud sulla
repressione sessuale. Dopo aver preso il diploma
di levatrice e di infermiera, tornò in America,
e riprese l’attività di militante anarchica e femminista.
Fu schedata dalla polizia come «la donna
più pericolosa degli Stati Uniti».
Nel 1917 plaudì alla rivoluzione bolscevica.
Espulsa dagli Stati Uniti, nel 1920 era in Russia. Incontrò
Lenin e per qualche tempo collaborò con
lui, pur diffidando dell’ostilità dei bolscevichi verso
gli anarchici e deplorando i metodi terroristici
della dittatura leninista. Come ha osservato il suo
più recente biografo Max Leroy, Emma «non può
non nascondere una certa stima nei confronti del
volontarismo leninista», pensando che, «malgrado
le carenze, il pugno di ferro e lo statalismo
centralizzato il bolscevismo resta un regime rivoluzionario
e proletario». Ma alla fine del 1921, disgustata
dal regime di terrore, dall’oppressione
degli operai, dai privilegi dell’oligarchia bolscevica,
lasciò la Russia. In due libri raccontò la sua «disillusione
dalla Russia», accusando il regime bolscevico
di aver tradito la rivoluzione della libertà e
dell’eguaglianza. Dopo aver vissuto in vari Paesi
europei, nel 1926 si trasferì in Canada. Negli anni
successivi, traversò più volte l’Atlantico per lottare
in Europa contro il capitalismo, il fascismo, lo
stalinismo, avversando però allo stesso modo il
culto dei capi e il culto delle masse.
Più appassionante di romanzo fu la vita di
Emma. La biografia di Leroy, senza pretese di
originalità, è un buon avvio per conoscere
questa donna straordinaria, che volle liberare
l’umanità proclamando che «l’individuo è la
vera realtà della vita, un universo in sé». (Il Sole 24 Ore)
Max Leroy, Emma la rossa. La vita, le
battaglie, la gioia di vivere e le disillusioni
di Emma Goldman, la “donna più
pericolosa d’America, prefazione di
Normand Baillargeon, trad. di Carlo
Milani, Elèuthera, Milano, pagg.223, € 16
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