Emma Goldman la rossa, la donna più pericolosa degli Stati Uniti

Cultura | 16 luglio 2017
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Nacque figlia indesiderata, Emma Goldman, il 27 giugno 1869,

nell’impero russo, in una modesta famiglia ebrea. Il padre voleva un erede maschio. La donna che aveva sposato, una vedova con due figlie, non gradì la terza. Emma crebbe con le percosse dei genitori. Il padre aveva «sempre a portata di mano la frusta e lo sgabello,

simboli della mia vergogna e della mia tragedia» ricorderà nelle sue memorie (Autobiografia. Vivendo la mia vita, 4 voll., Milano 1980-1993). Per l’esperienza della sua infanzia, non volle avere figli.

Si sposò più volte, ebbe vari amanti, ai quali si

unì con passione, ma subordinò sempre l’amore

personale all’amore universale per l’umanità reietta,

asservita alle classi dominanti. Dedicò tutta

la sua esistenza (morì in Canada il 14 maggio

1940) alla lotta per la liberazione del proletariato,

per l’emancipazione della donna, per una società

senza classi dominanti. Ma osteggiò il fanatismo,

disprezzò il conformismo, condannò il terrorismo,

anche quando avevano abiti rivoluzionari.

Fu una anarchica molto speciale.

Aveva dodici anni quando la famiglia si trasferì

a San Pietroburgo. Il padre ostacolò la passione

di Emma per lo studio, perché sosteneva

che la donna doveva solo servire il marito e dargli

figli. Ma un altro modello di donna fu rivelato

all’adolescente Emma dal romanzo Che fare?

del populista Nikolaj Cernyševskij, dove la protagonista

si ribella al matrimonio imposto dalla

famiglia, e sposa un giovane rivoluzionario,

per votarsi con lui alla liberazione del popolo.

Nello stesso periodo, il romanzo di Cernyševskij

impressionò profondamente Vladimir

Il’ic Ul’janov, di un anno più giovane di Emma,

l’adolescente figlio di un «nobile ereditiero

». Nel 1902, con lo pseudonimo di Lenin, Vladimir

intitolò Che fare? un opuscolo dove

esponeva la concezione, remotissima dall’anarchia,

di partito di avanguardia, formato da rivoluzionari

di professione, totalmente dediti alla

causa della rivoluzione proletaria.

Se singolare fu la comune suggestione del

romanzo su un giovane «nobile ereditiero» e

su una derelitta fanciulla ebrea, ancora più

singolare fu la simultaneità della loro iniziazione

alla militanza rivoluzionaria.

Per Vladimir, cresciuto in una famiglia agiata

e devota allo zar, con genitori severi ma amorevoli,

studente modello per disciplina e brillanti

successi scolastici, la scelta rivoluzionaria avvenne

inattesa e improvvisa alla fine del 1887, a

diciassette anni, dopo l’impiccagione del fratello

Alessandro perché aveva organizzato un attentato

alla vita dello zar. Per Emma, angariata

dai genitori, senza adeguata istruzione, cresciuta

in un ambiente antisemita, a quindici anni

operaia in fabbrica, la vocazione rivoluzionaria

avvenne in seguito alla impiccagione di cinque

anarchici a Chicago nel novembre 1887.

Dopo aver lavorato in fabbrica a San Pietroburgo,

nel gennaio 1886 Emma raggiunse una

sorella emigrata negli Stati Uniti. Lavorava come

operaia, quando, in quello stesso anno, furono

condannati a morte giovani anarchici, accusati

di aver assassinato alcuni poliziotti durante

una dimostrazione. La diciassettenne

operaia seguì appassionatamente il processo,

che definirà «la più gigantesca macchinazione

di tutta la storia degli Stati Uniti». Il 15 agosto

1889, si trasferì a New York. Qui avvenne l’incontro

con un diciottenne anarchico russo,

Aleksandr Berkaman, e con il quarantenne tedesco

Johann Most, uno dei maggiori esponenti

dell’anarchismo negli Stati Uniti. Fu, scriverà

Emma, la sua «vera data di nascita». A vent’ anni

divenne rivoluzionaria nel movimento anarchico

internazionalista.

Dotata di talento oratorio, iniziò a viaggiare

per gli Stati Uniti per fare comizi e conferenze.

Cominciò a scrivere articoli su periodici anarchici.

Fu arrestata nel 1893 per incitamento alla

sommossa, ma gettò un bicchiere d’acqua in

faccia al poliziotto che le prometteva la libertà

in cambio di informazioni sugli anarchici.

Si immerse nello studio del pensiero anarchico,

del socialismo, della filosofia, dell’economia,

della questione sociale, della condizione della

donna. Dal 1895 fu in Europa, dove incontrò i patriarchi

e le matriarche dell’anarchismo, come

Pëtr Kropotkin, Errico Malatesta e la comunarda

Louise Michel. A Vienna scoprì il pensiero di

Nietszche, che divenne una sua passione intellettuale,

e seguì le lezioni di Sigmund Freud sulla

repressione sessuale. Dopo aver preso il diploma

di levatrice e di infermiera, tornò in America,

e riprese l’attività di militante anarchica e femminista.

Fu schedata dalla polizia come «la donna

più pericolosa degli Stati Uniti».

Nel 1917 plaudì alla rivoluzione bolscevica.

Espulsa dagli Stati Uniti, nel 1920 era in Russia. Incontrò

Lenin e per qualche tempo collaborò con

lui, pur diffidando dell’ostilità dei bolscevichi verso

gli anarchici e deplorando i metodi terroristici

della dittatura leninista. Come ha osservato il suo

più recente biografo Max Leroy, Emma «non può

non nascondere una certa stima nei confronti del

volontarismo leninista», pensando che, «malgrado

le carenze, il pugno di ferro e lo statalismo

centralizzato il bolscevismo resta un regime rivoluzionario

e proletario». Ma alla fine del 1921, disgustata

dal regime di terrore, dall’oppressione

degli operai, dai privilegi dell’oligarchia bolscevica,

lasciò la Russia. In due libri raccontò la sua «disillusione

dalla Russia», accusando il regime bolscevico

di aver tradito la rivoluzione della libertà e

dell’eguaglianza. Dopo aver vissuto in vari Paesi

europei, nel 1926 si trasferì in Canada. Negli anni

successivi, traversò più volte l’Atlantico per lottare

in Europa contro il capitalismo, il fascismo, lo

stalinismo, avversando però allo stesso modo il

culto dei capi e il culto delle masse.

Più appassionante di romanzo fu la vita di

Emma. La biografia di Leroy, senza pretese di

originalità, è un buon avvio per conoscere

questa donna straordinaria, che volle liberare

l’umanità proclamando che «l’individuo è la

vera realtà della vita, un universo in sé». (Il Sole 24 Ore)



Max Leroy, Emma la rossa. La vita, le

battaglie, la gioia di vivere e le disillusioni

di Emma Goldman, la “donna più

pericolosa d’America, prefazione di

Normand Baillargeon, trad. di Carlo

Milani, Elèuthera, Milano, pagg.223, € 16

 di Emilio Gentile

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