Due vedovi a Holt, contro i pregiudizi della gente

Cultura | 10 aprile 2017
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 Abbiamo imparato o ci hanno insegnato che i classici americani non si contano certo sulle dita di una mano, abbiamo imparato o ci hanno insegnato che tra loro ci sono anche Carver, Vonnegut, Cheever, Gurganus, Malamud (su come si possa averlo dimenticato, anche per un istante, ci sarebbe molto da riflettere…), J. Williams, H. Roth, Salter, Yates. Non bisogna necessariamente essere morti per rientrare nella schiera dei classici americani che hanno fatto fatica alle nostre latitudini. Ci sono anche Ozick, Oates e Ford, per citare qualche vivente, oltre ai “monumenti” che per una volta omettiamo. Da qualche anno, poi, ci hanno fatto notare – la casa editrice NN e il traduttore Fabio Cremonesi – l’esistenza di Kent Haruf. Felicissima intuizione, preziosa riscoperta (aveva iniziato a pubblicarlo Rizzoli), conferma che spesso ripescare è più utile che pubblicare inediti.

“Le nostre anime di notte” (166 pagine, 17 euro), ultimo romanzo di Haruf, consegnato poco prima della morte e da poco pubblicato in Italia, sta un gradino sotto la “Trilogia della pianura” – è un’ottima introduzione al mondo dei tre romanzi precedenti, ambientati nell’immaginaria cittadina di Holt – con cui ha conquistato ammirazione e lettori fedeli. E, tuttavia, questo romanzo (pur con qualche imperfezione dovuta alle contingenze dell’esistenza dell’autore, come si spiega nella postfazione; e forse con qualche nota metaletteraria e rimando autoreferenziale di troppo) ha una misura e un’essenzialità rare, che lo hanno trasformato in un piccolo fenomeno editoriale: pagine di grazia e sensibilità, in uno stile rarefatto e per certi versi disarmante, splendido commiato alla vita dell’autore.

È una storia tutt’altro che consolatoria, spoglia di retorica e amarissima, quella de “Le nostre anime di notte”, che diventerà un film con Robert Redford e Jane Fonda. Due anziani vedovi, vicini di casa, Louis Waters e Addie Moore, vogliono allontanare la solitudine e riappropriarsi di intimità e libertà, anche esibirle “scandalosamente”, ma c’è chi non glielo perdona: fanno i conti con i pregiudizi di ottusi benpensanti e i pettegolezzi di una piccola comunità del Colorado, quella di Holt, e la contrarietà assoluta del figlio di Addie, Gene, che fa leva su Jamie, nipote di Addie per costringerla a fare ciò che non vorrebbe. I due protagonisti sono settantenni che trascorrono assieme le notti, per parlare – leccandosi le ferite del passato o del presente, lei che non ha dimenticato la morte della figlia, lui che ha tradito la moglie – o solo per sentire accanto la mano o il fiato di qualcuno. Va da sé che quello che sembra solo un rapporto d’amicizia si trasforma in una storia d’amor senile, con un enorme vantaggio: è molto difficile, a quell’età, commettere errori e la semplicità del loro rapporto è perfetta. I loro dialoghi (più che negli altri romanzi di Haruf, dove dominano i silenzi), le loro notti, i loro sommessi imbarazzi e rimorsi, le loro affinità sono lo scheletro della storia, che bruscamente andrà in una certa direzione, il destino inesorabile farà il suo corso.

 di Salvatore Lo Iacono

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