“Dieci storie proprio così”, ma in fondo al palco c’è una luce
"Salvatore è perfetto”. Il suggerimento di Giulia Minoli è spontaneo, entusiasta. Giulia è l’anima del “Palcoscenico della legalità ”, un’esperienza artistica e sociale che dal Piccolo Teatro sta conquistando la Milano dell’antimafia, tutto esaurito per una settimana. E Salvatore è il migliore attore napoletano che si possa desiderare. Storia, accento, ironia, freschezza. Fa parte di questo progetto dal 2011: Dieci storie proprio così, a significare che la violenza mafiosa come pure la lotta alle mafie passa attraverso le vicende più incredibili, un intreccio di drammi e di speranze che può essere capito solo mettendoli tutti insieme.
SALVATORE è una di queste storie. Nel senso che ne è protagonista in teatro ma ne è stato (e ne è) protagonista anche nella vita. Suo padre venne ucciso per errore. A Napoli, nel quartiere di San Giovanni in Teduccio, un posto dove il primo che passa “ha voglia di comandare, di dare ordini agli altri”, anche fra coinquilini. È da anni che la sua storia viene raccontata in questo spettacolo. Solo che l’ha sempre fatto qualcun altro. Lui l’ha sempre evitato, per non essere “l’attore a cui hanno ucciso il p ad r e”. Ora ha compiuto il passo. E la storia la racconta direttamente, riuscendo anche a far ridere un pubblico ignaro. Era, dice, un ragazzo dai destini incerti, a scuola non ne parliamo. Ma la madre se lo tenne accanto con amore, facendo di tutto perché non finisse nelle cattive compagnie. Lo portò da un’associazione, “Figli in famiglia”, un laboratorio teatrale del suo quartiere, immaginato per i ragazzi a rischio. “E dovevo sembrare così a rischio che mi hanno preso subito” scherza recitando, con una gestualità trascinante. Da lì, da quello che era in fondo “un gioco per non stare in strada” è nata una scelta di vita, il suo mestiere di oggi. Perché il “palcoscenico della legalità” non è l’unica esperienza teatrale di Salvatore Presutto, ventottenne napoletano. Ha recitato anche con Marco Tullio Giordana e in serie tv di camorra. E a breve farà una tournée con Mario Martone per un rifacimento del Sindaco del rione Sanità “del grande Eduardo”. È in Dieci storie proprio così però che Salvatore ritrova ogni sera, passando per le grandi città italiane, le sue radici di sofferenza e liberazione. San Giovanni Teduccio: da lì non se ne è mai andato, anzi quel quartiere ha cercato e sta cercando di cambiarlo. Ci è diventato lui stesso educatore.
DI RAGAZZINI con retroterra sociali simili ai suoi. “Le storie più traumatiche con cui ho avuto a che fare sono quelle di separazione; dei genitori o dai genitori. Ma c’è una cosa che bisogna fare assolutamente, è una specie di segreto dell’educatore. Bisogna riportarli alla loro età, sono sempre più piccoli di quel che la vita li ha fatti diventare. A undici, dodici anni hanno già atteggiamenti da adulti”. Lo dice e viene subito in mente il diario del primo e più famoso dei maestri di strada napoletani, Marco Rossi Doria. Le ragazzine pre-adolescenti con trucco e abiti provocanti, i ragazzini che fanno i duri. “Riportarli alla loro età”. Salvatore lo dice come fosse la nostra missione, un dovere di tutti. Capisci che un’intera umanità gli è rimasta inchiodata dentro, anche quando affettando un accento lombardo che fa sorridere i compagni di scena interpreta la storia di Ivano Perego, il costruttore brianzolo che fece entrare la ’ndrangheta nella sua impresa e dopo le prime promesse di rilancio e affari se la vide sfilare dai signori con la pistola, con i dipendenti che nemmeno capivano che cosa stesse accadendo, chi fossero quegli estranei che comandavano in ditta. Più verace e scoppiettante dev’essere l’accento che esibisce tra un viaggio e l’altro al Nest Napoli Est Teatro, il luogo delle radici.
Dopo la prima milanese ci si trova a cena. Per una pizza napoletana, ci mancherebbe. Salvatore racconta la sua vita. Alcuni colpi d’ala, mentre in cerchio Lorenzo, Vincenzo, Dario, Diego, Tania, Tommaso e Paolo, Giulia ed Emanuela, la regista, fanno le loro ordinazioni. Si brinda a birra a Vincenzo che si accinge a diventare padre, gioia più alta della vita. Forse per questo Salvatore, per non guastare la festa, sussurra piano quel che ha invece lui nella mente. “Oggi sono tre mesi dalla morte di mia madre”. E in chi gli siede vicino si forma senza che l’abbia mai vista l’immagine di una giovane donna di nome Lia che prende sotto di sé il suo ragazzo per non cederne il futuro ai nemici di Napoli. “Mi accettate Salvatore a fare teatro?”. Il gesto d’amore che gli spianò la strada. (Il Fatto Quotidiano)
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