Deserti veri e interiori con 42 chili di felicità, caos e rovello

Cultura | 1 febbraio 2017
Condividi su WhatsApp Twitter

Lo scrittore palermitano Giorgio Vasta è autore di alcuni dei libri più stimolanti in circolazione e non solo nel panorama nazionale. È un guardiano della letteratura, specie in via d‘estinzione, il custode di un linguaggio che va in direzione opposta rispetto a quanto è in auge: tutt’altro che sciatto e preconfezionato, non omologato, lucidissimo eppure inebriante. L’editore Minimum Fax attende dal 2011 il suo secondo romanzo dopo il felice “Il tempo materiale”: un’esperienza evidentemente lunga e complessa, non ancora compiuta. Frattanto, però, Vasta ha dato alle stampe “Absolutely nothing. Storie e sparizioni nei deserti americani” (291 pagine, 22,50 euro), edito da Quodlibet Humboldt, a doppia firma con Ramak Fazel, fotografo americano d’origini iraniane e autore delle immagini in bianco e nero e a colori che corredano le pagine. Cercate bene questo libro, se sta nascosto in qualche angolo specializzato delle librerie, ne varrà la pena.

È un cacciatore di fantasmi nei deserti fisici e mentali, Vasta, in un “pellegrinaggio” a stelle e strisce colleziona biografie di catastrofi, pezzi di inesistenza e non luoghi (il “cimitero” delle insegne dismesse dei casinò, o quello degli aeroplani, un museo degli Ufo, un ippodromo-astronave costruito nel bel mezzo del nulla, un lago fossile) e quasi a metà del volume – che non segue un ordine cronologico, il cui titolo è ispirato da una surreale insegna stradale – spiega tanto, chiarendo quanta fiction ci sia in quello che sembra un reportage di viaggio: «Il nostro viaggio americano è stato irripetibile perché ha cancellato le sue stesse tracce. Non potendo ricordarlo, lo raccontiamo. Il racconto serve a cancellarne le tracce».

È un racconto, una specie di guida verso il nulla, in cui l’immaginazione prende il sopravvento, in cui i compagni di viaggio (Fazel e l’editore Giovanna Silva, due anime opposte, ma egualmente grottesche) fanno in fretta a trasformarsi in personaggi, e nel quale – mai come questa volta – Vasta si mette a nudo: forse doveva viaggiare a bordo di una jeep tra le costole più sabbiose e disabitate degli Stati Uniti, per scrivere il suo libro più personale, la cronaca di uno svuotamento («absolutely nothing è in realtà absolutely nobody»; «l’oggetto di queste pagine è la sparizione di una persona»), l’addio a una città, il forzato rientro in quella d’origine, la fine di una storia d’amore con una donna, Lucia («Quarantadue chili che sono stati felicità, nodo, epicentro, dilemma, rovello, cavillo, caos, smarrimento, infelicità»), il deserto interiore che scorre parallelo a quelli esteriori (dalla California alla Louisiana, dal New Mexico al Nevada, all’Arizona), punteggiati qua e là da fast food, motel, minimarket, e trasfigurati da ricordi legati al cinema, alla letteratura, ai fumetti: gli Usa come nessuno li ha mai visti.

 di Salvatore Lo Iacono

Ultimi articoli

« Articoli precedenti