Da Riina ai Casalesi, il business delle cosche a tavola
Il volume d’affari complessivo annuale delle agromafie è salito a 21,8 miliardi di euro, con un balzo del 30% nell’ultimo anno. E’ quanto è emerso dal Rapporto #Agromafie2017 elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. E la stima - osservano i curatori del rapporto - «rimane, con tutta probabilità, ancora largamente approssimativa per difetto, perché restano inevitabilmente fuori i proventi derivanti da operazioni condotte 'estero su esterò dalle organizzazioni criminali, gli investimenti effettuati in diverse parti del mondo, le attività speculative attraverso la creazione di fondi di investimento operanti nelle diverse piazze finanziarie, il trasferimento formalmente legale di fondi attraverso i money transfer».
Tra tutti i settori «agromafiosi» - continua la Coldiretti -, «quello della ristorazione è forse il comparto più tradizionale. In alcuni casi le mafie possiedono addirittura franchising e catene di ristoranti. Il business dei profitti criminali reinvestiti nella ristorazione coinvolgerebbe oltre 5.000 locali, con una più capillare presenza a Roma, Milano e nelle grandi città». «Sul fronte della filiera agroalimentare - spiega la Coldiretti -, le mafie, dopo aver ceduto in appalto ai manovali l'onere di organizzare e gestire il caporalato e altre numerose forme di sfruttamento, condizionano il mercato stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati». «Nel 2016 - aggiunge l’organizzazione agricola - si è registrata un’impennata di fenomeni criminali nel settore agricolo. Quasi quotidianamente ci sono furti di trattori, falciatrici e altri mezzi agricoli, gasolio, rame, prodotti e animali, con un ritorno prepotente dell’abigeato.
Raid capaci di mettere in ginocchio un’azienda, specie se di dimensioni medie o piccole, con furti di interi carichi di olio o frutta, depositi di vino o altri prodotti come alveari, mandrie o trattori». Da Riina ai Casalesi, le cosche a tavola Dalle infiltrazioni nel settore ortofrutticolo del clan Piromalli all’olio extra vergine di oliva di Matteo Messina Denaro, fino alle imposizioni della vendita di mozzarelle di bufala del figlio di 'Sandokan' dei Casalesi e al controllo del commercio ortofrutticolo della famiglia di Totò Riina: i più noti clan della criminalità si dividono il business della tavola mettendo le mani sui prodotti simbolo del Made in Italy.
E’ quanto afferma la Coldiretti che, in occasione della presentazione del rapporto #Agromafie2017, elaborato assieme ad Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, ha allestito una «tavola delle cosche" con i prodotti frutto dei business dei clan criminali. A febbraio scorso - ricorda Coldiretti - i Carabinieri del Ros hanno smascherato le attività criminali in Calabria della cosca di 'ndrangheta Piromalli, che controllava la produzione e le esportazioni di agrumi verso gli Stati Uniti. Nello stesso mese hanno confiscato quattro società siciliane operanti nel settore dell’olivicoltura riconducibili a Matteo Messina Denaro e alla famiglia mafiosa di Campobello. Sempre agli inizi di febbraio è stato arrestato Walter Schiavone, figlio del capoclan dei Casalesi Francesco «Sandokan" Schiavone, per aver imposto la fornitura di mozzarella di bufala Dop prodotta da un caseificio di Casal di Principe.
A novembre scorso la Dia aveva inoltre sequestrato i beni di un imprenditore siciliano considerato lo snodo degli affari che il clan dei Casalesi conduce assieme al fratello di Totò Riina, Gaetano, per monopolizzare il trasporto di frutta e verdura. Il rapporto sottolinea inoltre che nella top ten delle province italiane interessate dall’agromafia, ci sono realtà del Nord come Genova e Verona, rispettivamente al secondo ed al terzo posto dopo Reggio Calabria. Il Sud è comunque protagonista nella top ten, con due province in Calabria (Catanzaro oltre alla leader Reggio Calabria), tre in Sicilia (Palermo, Caltanissetta e Catania), due in Campania (Caserta e Napoli) e Bari.
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