Così la 'ndrangheta si espande al Nord con i clan siciliani

Società | 21 agosto 2017
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Negli ultimi dodici mesi, la D.I.A. ha concluso 32 operazioni di polizia giudiziaria, con il sequestro penale di beni per un valore di oltre 210 milioni di euro e la confisca di patrimoni per 6 milioni.

Centocinquantadue i soggetti colpiti da provvedimenti restrittivi della libertà personale, di cui 47 'ndranghetisti, 33 camorristi, 24 riconducibili alla criminalità organizzata pugliese, 23 appartenenti a Cosa nostra e 25 collegati ad organizzazioni di altra matrice mafiosa. Da queste indagini e dalle analisi condotte dalla D.I.A. nell’ambito della «Relazione Semestrale» recentemente pubblicata, emerge poi un dato significativo: le «giovani leve» di Cosa nostra, della 'ndrangheta, della camorra e della criminalità organizzata pugliese tendono ad affiancarsi, se non addirittura a sostituirsi, alla generazione criminale precedente, investendo capitali verso aree d’impresa innovative e ad alto contenuto tecnologico; settori sino ad oggi apparentemente esclusi dalla sfera d’interesse delle mafie.

«Questi dati - sottolinea la Dia in una nota - evidenziano l'incisiva azione giudiziaria condotta dalla Direzione Investigativa Antimafia attraverso le 'indagini collegatè, ossia tutte quelle investigazioni che si prefiggono obiettivi complessi e che, come tali, richiedono una preventiva condivisione delle informazioni a vantaggio dell’azione inquirente della Magistratura.


Si rafforza, inoltre, il patto tra mafia e 'ndrangheta. «Quelli che venivano indicati come segnali, per quanto qualificati, di una presenza delle cosche in Abruzzo e in Molise, grazie alle evidenze investigative raccolte con l’operazione 'Isola Felicè, sono diventati importanti tessere del mosaico espansionistico della 'ndrangheta verso regioni solo all’apparenza meno 'appetibilì», si legge nella relazione della Direzione investigativa antimafia (Dia) al Parlamento relativa all’attività svolta nel secondo semestre 2016.

Nell’inchiesta 'Isola felicè, condotta dai carabinieri con l'esecuzione di 25 misure cautelari, si è fatta «piena luce sull'operatività del gruppo Ferrazzo di Mesoraca (Crotone) in Abruzzo e in Molise». «Il capo 'ndrina - si legge ancora nella relazione - non solo aveva scelto di stabilire ufficialmente la propria residenza in San Giacomo degli Schiavoni (Campobasso), ma si era di fatto reso promotore di una associazione criminale composta sia da calabresi che da siciliani (famiglia Marchese di Messina) che operava tra San Salvo (Chieti), Campomarino (Campobasso) e Termoli (Campobasso)».

Nel corso dell’indagine sono state documentate le cerimonie di affiliazione che prevedevano giuramenti su 'santinì ed altre immagini sacre, insieme ad altri rituali. Dalla relazione della Dia emerge anche un altro particolare: l’ascesa del clan Ferrazzo in Abruzzo e Molise è stata in qualche modo favorita dalla 'cadutà del clan campano Cozzolino, «precedentemente egemone nello stesso territorio e fortemente ridimensionato a seguito dell’operazione 'Adriaticò della Procura Distrettuale dell’Aquila».


I boss calabresi sono radicati fortemente anche nel Nordovest partendo dalla riviera ligure. Sono quattro le 'localì che la 'ndrangheta calabrese ha radicato in Liguria, 'ndrangheta che ha costituito tra l’altro una sorta di 'macroareà estesa al basso Piemonte e alla Lombardia retta da una struttura chiamata proprio 'Ligurià. Le quattro 'localì - che fanno tutte riferimento alle 'ndrine calabresi specialmente del reggino - sono state individuate a Lavagna, Genova, Ventimiglia e Sarzana. «Indagini importanti - è stato detto durante la presentazione della relazione - hanno provato l’esistenza di nuclei anche nel savonese collegati direttamente alle 'ndrine calabresi e a famiglie radicate nel Lazio».


Potenziati i servizi di controllo anti riciclaggio e “le attività investigative finalizzate ad anticipare i rischi di infiltrazioni mafiose", si si legge in una nota della Dia, che "negli ultimi dodici mesi, sul fronte della prevenzione antiriciclaggio, è riuscita ad analizzare tutte le oltre 110.000 'segnalazioni di operazioni sospettè (s.o.s.) pervenute dall’Unità di Informazione Finanziaria (U.I.F.) della Banca d’Italia. A tali segnalazioni corrispondono 486.952 operazioni finanziarie, di cui oltre 100.000 sono contraddistinte dal 'ricorso al contantè, riferibili ad un importo pari a 9 miliardi di euro. Sono 40 le categorie di soggetti destinatari degli obblighi di segnalazione. Tuttavia, gli 'intermediari finanziarì (banche ed altro) segnalano di più (88% del totale), mentre con una stima di poco superiore al 4% si collocano i 'professionistì. Delle oltre 110.000 segnalazioni analizzate dalla D.I.A. più di 23.000 sono state trasmesse alla Procura Nazionale Antimafia, perchè potenzialmente attinenti alla criminalità organizzata. Di queste ultime, circa 4.000 (riferibili ad oltre 25.000 transazioni) sono confluite direttamente, su impulso della P.N.A., in investigazioni penali in corso, per un volume finanziario che supera i 6 miliardi di euro".

"La dimensione complessiva del fenomeno - scrive ancora la Dia - è percepibile dai dati diffusi dall’U.I.F. nel suo ultimo rapporto annuale, dove viene stimato, per il 2016, come l’importo totale delle transazioni effettivamente eseguite riguardanti le s.o.s. superi gli 88 miliardi di euro, che sfiorano i 155 miliardi qualora si considerino anche le operazioni tentate. Significativa, infine, appare la ripartizione geografica relativa all’effettuazione di tali operazioni, che evidenziano una concentrazione maggiore nel nord Italia (46%), cui seguono il Sud (23%), il Centro (20%) e le Isole (7%). Sempre negli ultimi dodici mesi la Direzione Investigativa Antimafia ha sottratto alle principali consorterie criminali patrimoni per oltre 600 milioni di euro, frutto dell’azione propositiva dell’Autorità Giudiziaria e del potere d’iniziativa del Direttore della D.I.A.".

 di Angelo Meli

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