Corrotti e corruttori, ecco la Repubblica di Tangentopoli
Il 17 febbraio 1992, esattamente venticinque anni or sono, l'arresto in flagranza di reato (mentre intascava una tangente di sette milioni dall'imprenditore Luca Magni) a Milano di Mario Chiesa socialista e presidente del Pio Albergo Trivulzio scatenò la “grande slavina” che avrebbe condotto in appena due anni alla fine della prima repubblica ed all'avvio di una lunghissima fase di transizione del sistema politico-istituzionale italiano che non può dirsi ancora conclusa.
Il leit motiv di un fortunato film del comico barese Checco Zalone ha riportato al ricordo degli italiani quegli anni come una sorta di bengodi con “i quarantenni pensionati che volavano sui prati ...e gli uscieri paraplegici saltavano e i bidelli sordomuti cantavano ….ed i debiti (pubblici) s'ammucchiavano come i conigli, tanto poi eran c.... dei nostri figli...” Furono davvero così i quasi quarantanni che vanno dalla vittoria della repubblica al referendum istituzionale del 2 giugno 1946 alle monetine lanciate contro Bettino Craxi davanti all'hotel Raphael di Roma il 30 aprile del 1993? Certamente no; essi rappresentano un periodo importante e complesso della storia del nostro paese che, tuttavia, si concluse in maniera drammatica.
La metafora della slavina che “si ingrossa scendendo a valle velocizzata ed arricchita dallo smottamento della vicina grande montagna” è di Luciano Cafagna, acuto storico di formazione socialista che già nell'omonimo libro scritto nel 1993 collegò la vicenda italiana italiana al grande mutamento internazionale determinato dalla caduta del muro di Berlino. “Poteva essere una svolta”, affermò lo storico,”invece fu una deriva.” vennero improvvisamente a galla le tre crisi latenti del paese: la crisi fiscale, la crisi morale, la crisi istituzionale.” Le radici di quanto avvenne nel 92-93 vanno cercate indietro nel tempo almeno fino a quel 1978 che, con il rapimento e l'assassinio di Aldo Moro, segnò la fine dell'ipotesi politica di allargare le basi di consenso della democrazia italiana, includendo il PCI nell'area di governo.
La fine tragica di quel progetto politico condurrà alla progressiva divaricazione di strategie all'interno della sinistra italiana, fino alla contrapposizione frontale tra i due partiti della sinistra ed alla deriva che condusse il Psi dall'alternativa socialista proposta al congresso di Torino dell'aprile del 1978 al CAF, l'alleanza con il centro democristiano rappresentato da Andreotti e Fanfani che ne segnò la stagione del tramonto politico. Quando nel febbraio 1992 cominciarono le inchieste di Tangentopoli il sistema politico italiano era già roso da tempo dal tarlo della crisi di rappresentatività, dall'ossessione del controllo dei flussi di finanziamento pubblici, dalla diffusione capillare dei meccanismi corruttivi che coinvolgevano non solo i politici ma il sistema dell'impresa sia pubblica che privata, dal presidente dell'Eni Gabriele Cagliari a Raoul Gardini capo della Ferruzzi- Montedison, per citare due protagonisti del grande affare connesso al riassetto della chimica italiana che conclusero entrambi tragicamente la loro esistenza. Non è questa la sede per un giudizio su Tangentopoli, ma vorrei ricordare che quella vicenda si intrecciò con l'attacco terroristico della mafia che il 23 maggio del 1992 perpetrò la strage di Capaci e il successivo 19 luglio uccise Paolo Borsellino e la sua scorta.
Ci sono aspetti ancora da chiarire nella storia di quei mesi, nella concatenazione degli eventi e nell'intreccio tra vicenda giudiziaria, evoluzione drammatica della crisi del sistema politico, con la scomparsa della DC e del Psi, ed attacco mafioso. Aspetti oscuri che pesano ancor oggi in modo drammatico sulla vicenda italiana. Come si trasformò il sistema politico dopo Tangentopoli? Cosa ha rappresentato l'irruzione di Silvio Berlusconi nella vicenda politica del paese? Un'analisi richiederebbe tempo e forze ben più robuste di quelle di cui dispongo. Cito soltanto, da un bel giallo di Roberto Costantini (Tu sei il male, Milano 2011) la storia di un sindaco democristiano dell'Abruzzo e del suo sottosegretario di riferimento che si accordano, seduti intorno al camino, che uno andrà con il centrodestra e l'altro con il centrosinistra. Un romanzo, certo, ma nella realtà non si trattò di un caso raro nel ceto politico di quegli anni. La corruzione è ancora fenomeno presente e diffuso tra chi esercita pubbliche funzioni. Il presidente dell'ANM Piercamillo Davigo, tra i magistrati protagonisti di quegli avvenimenti, scrive nel suo libro Il sistema della corruzione (Bari 2017) che gli indici di percezione della corruzione elaborati da Trasparency International collocano l'Italia dietro molti paesi africani ed asiatici mentre “si può ipotizzare che la presenza massiccia della criminalità organizzata e della sottocultura che ne costituisce la matrice ideologica, ostacoli (nelle regioni del Sud del paese) l'emersione della criminalità legata al malaffare politico-amministrativo”.
Quanto alla differenza tra l'epoca delle inchieste di Milano e l'oggi, il magistrato sostiene che l'area della corruzione politica accentrata sembra aver subito duri colpi mentre la corruzione politica decentrata e la corruzione dei burocrati sembrano aver superato con facilità le attività di contrasto investigativo e giudiziario. Allo stesso tempo si sono modificate le modalità corruttive: non più denaro contanti ma consulenze o pagamenti estero su estero. Si tratta di tendenze che risultano confermate dalla inchiesta condotta dalla fondazione RES e coordinata dal professor Rocco Sciarrone. Secondo i dati presentati a Palermo lo scorso dicembre erano 400 in totale i reati contestati ai politici tra il 1980 e il 1994, valore poi sceso a 317 tra il 1995 e il 2004. Tra il 2005 e il 2015 si è invece assistito ad un'impennata che ha portato i reali totali commessi da politici a 517. La regione con il maggior numero in assoluto di reati legati alla corruzione politica è la Campania, seguita dalla Lombardia e dalla Sicilia.
Se prima i vantaggi della corruzione erano diretti prevalentemente verso i partiti, adesso appaiono più frequenti i casi di vantaggi personali. Nonostante il quarto di secolo trascorso da tangentopoli, la corruzione resta, insieme alla presenza della criminalità organizzata e mafiosa, il principale ostacolo alla crescita economica e civile del paese.
Franco Garufi
La corruzione in Italia, 25 anni dopo l’inchiesta di Mani Pulite:
l’opinione dei cittadini nel sondaggio dell’Istituto Demopolis
25 anni fa, il 17 febbraio 1992, con l’arresto di Mario Chiesa, iniziava a Milano l’inchiesta “Mani Pulite”. Che cosa è cambiato oggi rispetto agli anni di Tangentopoli?
Secondo i dati del sondaggio condotto per Otto e Mezzo dall’Istituto Demopolis, il 90% degli italiani ritiene che poco sia cambiato: per il 48% la corruzione si è addirittura aggravata, per il 42% resta diffusa come prima. "Appena un intervistato su 10 - afferma il direttore di Demopolis Pietro Vento - è convinto che il fenomeno sia oggi in Italia meno grave rispetto ai giorni di Mani Pulite".
Se ne parlerà nel corso della puntata di sabato sera del programma de LA7 a cura di Lilli Gruber e Paolo Pagliaro.
Nota informativa - L’indagine è stata condotta dal 15 al 16 febbraio 2017 dall’Istituto Demopolis, diretto da Pietro Vento, per il programma Otto e Mezzo (LA7) su un campione stratificato di 1.000 intervistati, rappresentativo dell’universo della popolazione italiana maggiorenne. Approfondimenti e metodologia su www.demopolis.it
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