Contro l'arroganza della 'ndrangheta in Calabria "Siamo tutti sbirri"

Politica | 21 marzo 2017
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Il giorno dopo la visita del Capo dello Stato a Locri (Rc) e quello che ha preceduto la giornata della memoria per le vittime di mafia che oggi richiamerà manifestazioni e convegni in tutta Italia, i sistemi criminali che regolano il cronometro della società e dell’economia calabrese son tornati a colpire. La risposta vigliacca ha preso forma in una serie di scritte (poi rimosse) apparse nella notte sulle mura di cinta del Vescovado di Locri, di alcune scuole e per le strade della cittadina, contro don Lugi Ciotti e il sindaco di Locri Giovanni Calabrese, appellati come “sbirri” e attraverso slogan che richiamano la necessità di più lavoro, meno Stato e meno forze dell’ordine. «Le scritte rientrano nella strategia della ’ndrangheta che dice meno sbirri e più lavoro - ha commentato il capo della Procura di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho - ma è quella che fa fuggire le imprese che il lavoro lo danno. Proprio una settimana fa un’impresa non calabrese che lavorava all’archivio della Corte d’appello, ha abbandonato tutto ed è fuggita per le intimidazioni. Allora smettiamola di raccontare storie e cominciamo a denunciare per far sì che la ’ndrangheta smetta di ostacolare lo sviluppo in maniera ignorante». 

Un cliché già visto: la mafia dàlavoro, loStato e la Chiesa no. Lo scontro con Chiesa e Istituzioni da parte della ’ndrangheta - che ha avuto la necessità di rincorrere la visibilità mediatica come non accadeva da tempo - non è casuale e testimonia, al tempo stesso, l’ennesima sfida e la paura di perdere un omertoso consenso. Non è solo Libera di Don Ciotti - che ieri ha incassato la solidarietà, tra gli altri, del premier Paolo Gentiloni e dello stesso Mattarella - a opporsi quotidianamente allo strapotere della ’ndrangheta e a formare coscienze libere. È l’intera Chiesa che negli ultimi tempi ha accelerato per cercare il consenso della gente nel nome della cristianità, della trasparenza e della legalità. Un percorso che spaventa i sistemi criminali. Dieci giorni fa monsignor Francesco Oliva, dal 5 maggio 2014 Vescovo della diocesi Locri-Gerace, ha scritto sul manifesto di avvicinamento alla XXII giornata della memoria che «la ‘ndrangheta è morte per la nostra terra, la causa principale del nostro sottosviluppo. Chi uccide non è uomo di onore, ma un vero disonore per la nostra terra. Ogni uomo e donna di buona volontà dica per sempre no ad ogni forma di illegalità e criminalità. Facciamo obiezione di coscienza di fronte a qualunque progetto di morte ed alla mentalità mafiosa, prepotente ed arrogante». Il 28 gennaio monsignor Oliva aveva sostituito, dopo 20 anni, don Giuseppe Strangio, Rettore del Santuario di Polsi che, parole del Vescovo, è «grembo di una Madre che nel corso dei secoli ha accolto e rigenerato tanti suoi figli, ma che ha anche sofferto per le profanazioni subite a causa di fatti e misfatti, di complicità e sangue versato da gente senza scrupoli, in nome spesso di una religiosità deviata e non vera». 

Don Strangio è indagato dalla Dda di Reggio Calabria per concorso esterno in associazione mafiosa e violazione della legge Anselmi, che dall’82 mette al bando le associazioni segrete. Ed è proprio sull’area grigia occulta e invisibile - richiamata nelle parole del Capo dello Stato Sergio Mattarella - che la Procura di Reggio Calabria guidata da Cafiero De Raho sta indagando da anni. Con un punto di svolta rappresentato dal processo Gotha che, oltre a riunire una serie di indagini della Dda dipanate negli ultimi tempi, vede il rinvio a giudizio di parlamentari, ex parlamentari, avvocati, commercialisti, imprenditori, uomini di Chiesa, ex giudici, dirigenti pubblici e presunti ’ndranghetisti. Tutti - secondo l’accusa - insieme e a vario titolo per governare o condividere le leve del potere marcio, al riparo di una cupola massonicomafiosa deviata. Stato e Chiesa danno fastidio come mai prima. Ancor più quando - per contrastare i disvalori mafiosi - si alleano con le Istituzioni locali. Ieri il sindaco di Locri - davanti all’ingresso di un centro di aggregazione giovanile, in cui erano apparse le scritte - con la giunta e il consiglio comunale ha esposto un cartello sul quale si legge: «Orgogliosamente sbirri per il cambiamento ». Piccole-grandi cose che, da queste parti, contribuiscono a smuovere le coscienze e a non isolare chi si espone. Anzi: a farlo percepire come il protagonista di un gioco di squadra contro le mafie visibili e, a maggior ragione, contro quelle invisibili.(IL SOLE 24 ORE)

 di Roberto Galullo

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