Come funziona e quanto vale il reddito d'inclusione per i poveri
La riunione del Consiglio dei ministri dello scorso 9 giugno si è conclusa con due novità sul terreno della lotta alla povertà e degli interventi a favore dello sviluppo del Mezzogiorno, messe tuttavia in ombra dal fatto che l’attenzione si è concentrata sulla rottura tra le principali forze politiche che nelle stesse ore si consumava alla Camera dei Deputati sul disegno di legge elettorale. In sede di esame preliminare è stato approvato uno dei decreti legislativi di attuazione della legge n.33/2017 sul contrasto alla povertà che introduce a partire dal 1 gennaio 2018 il Reddito di inclusione (REI) come misura nazionale a vocazione universale di sostegno alla povertà.
Lungamente sollecitata dall’Alleanza per la povertà, la misura, che è rivolta combattere la povertà assoluta, nella prima fase di applicazione coprirà circa 600.000 nuclei familiari pari a poco più di due milioni di persone e avrà una disponibilità finanziaria annua di poco inferiore ai due miliardi di euro. Secondo alcune stime, in Sicilia saranno coinvolte 120 mila famiglie indigenti. Delle caratteristiche del REI abbiamo già parlato in passato; qui vale la pena di sottolineare alcuni punti fermi introdotti nel decreto. La misura è destinata al nucleo familiare, condizionata alla prova dei mezzi e consisterà in un beneficio monetario ( da circa 190 per una persona sola fino a quasi 490 euro per un nucleo con 5 o più componenti), associato ad una serie di servizi - in esito alla valutazione dei bisogni del nucleo familiare- finalizzati a dar vita ad un “progetto personalizzato” che indicherà gli obiettivi generali ed i risultati specifici da raggiungere. Il Rei sarà concesso per un periodo continuativo fino a 18 mesi e dovranno trascorrere almeno sei mesi dall’ultima erogazione prima di poterlo richiedere nuovamente. Ad esso si accederà attraverso una dichiarazione ISEE precompilata che, per il nucleo familiare del richiedente, dovrà essere non superiore a 6.000 euro con un valore del patrimonio immobiliare diverso dalla prima casa non superiore a 20.000 euro.
Poiché il numero delle domande è previsto superiore alla attuali disponibilità finanziarie, in prima applicazione saranno prioritariamente ammessi i nuclei con figli minorenni e disabili, donne in stato di gravidanza o disoccupati ultracinquantenni. Secondo i dati Istat, al maggio 2017 le famiglie in povertà assoluta assommavano a 1.582.000 pari a 4.598.000 persone: il limite del provvedimento è la mancata definizione dei tempi e delle modalità di ampliamento delle risorse destinate alla lotta alla povertà assoluta che rendono la REI ben lontana dall’essere uno strumento realmente universale. Occorre perciò agire su due fronti: da un lato mettere subito a regime la strumentazione approvata nel decreto per far sì che essa sia concretamente operativa a partire dal gennaio del prossimo anno; dall’altro attivare forme di iniziativa e di mobilitazione tese a garantire che l’intero universo della povertà assoluta possa essere coinvolto. A tal fine sarà fondamentale il rapido insediamento del Comitato di lotta contro la povertà e dell’Osservatorio della povertà. All’insufficienza delle risorse si potrà in parte ovviare con le norme regionali di intervento a sostegno della povertà assoluta che esistono in diverse regioni.
Com’è noto, il fenomeno della povertà assoluta è maggiormente diffuso nel Sud, il 7,8% di famiglie contro la media italiana del 5% ed il circa 3% del Centro-Nord. Con la disperata sensazione di parlare ai sordi, ripropongo l’assoluta necessità che l’ARS approvi entro la fine della legislatura un provvedimento contro la povertà assoluta che ampli la platea dei destinatari del REI. Ricordo che il disegno di legge di iniziativa popolare presentato da una vasta rete di associazioni coordinata dal Centro Studi Pio La Torre giace da ormai quasi due anni in Assemblea. E’ una vergogna che il presidente della Regione abbia dimenticato gli impegni solennemente assunti e che nessun parlamentare regionale dia segno di interessarsi ai problemi della parte più disagiata della popolazione siciliana. Tornando al 9 giugno, non previsto nell’ordine del giorno del Consiglio, è stato approvato- dopo mesi di assenza assoluta della questione dall’orizzonte del governo -un decreto legge per “interventi urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno”. In sostanza il decreto si articola sui seguenti provvedimenti: “Resto al Sud” si propone di sostenere la nuova imprenditorialità per i giovani meridionali attraverso una dotazione di 40.000 euro, di cui il 35% a fondo perduto ed il resto a tasso zero , a copertura di investimenti nell’ambito della produzione di beni nei settori dell’agricoltura, dell’artigianato e dell’industria, escluse le spese per la progettazione e per il personale.
L’altra misure del decreto riguarda le zone economiche speciali (ZES), concentrate nelle aree portuali, allo scopo di sperimentare nuove forme di governo economico di aree concentrate ” nelle quali le procedure amministrative e di accesso alle infrastrutture per le imprese ...siano coordinate da un (unico) soggetto gestore”. Esse saranno dotate di agevolazioni fiscali aggiuntive, in particolare saranno eleggibili per il credito di imposta finanziati fino a 50 milioni di euro che, per la loro dimensione, dovrebbero attrarre players internazionali ed attivate su richiesta delle regioni meridionali. Viene così ad essere normato uno strumento richiesto da tempo dalla Svimez ed in tempi più recenti da altri soggetti, per esempio Cgil-Cisl-Uil e Confindustria che lo inserirono nel documento-piattaforma presentato al governo Renzi l’anno scorso. Vedremo concretamente cosa conterrà il decreto e se le nuove zone avranno realmente la prevista funzione di attrazione di investimenti soprattutto esteri nelle aree portuali e retro-portuali meridionali. La discussione merita di essere approfondita. Infine il decreto Sud contiene la velocizzazione delle procedure dei patti per lo sviluppo che stentano a partire, in particolare quello siciliano ancora sostanzialmente fermo al palo. Se mi è consentito un giudizio veramente sintetico: provvedimenti utili, ma niente di veramente innovativo.
Il dibattito sul Mezzogiorno dopo la grande recessione stenta a ripartire : l’attuale ministro è una persona seria che si sta impegnando per spendere le risorse che ha a disposizione ma continua a latitare un’idea generale del ruolo del che un’area geografica abitata da oltre un terzo dei cittadini italiani e nella quale si concentrano le maggiori contraddizioni economiche e sociali (basti pensare alle tendenze demografiche ed ai tassi altissimi di disoccupazione giovanile) dovrà giocare nella ricostruzione economica e sociale del Paese.
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