Colera o coronavirus, l'attualità di Martoglio in scena a Catania

Cultura | 11 agosto 2020
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Ora e sempre resilienza. Sembra echeggiare un vecchio slogan politico l’eroica resistenza del teatro al tempo maledetto del Covid 19, che apparentemente sembra averne fiaccato la vitalità in realtà viva e pronta a risorgere come Idra dalle sue ceneri. E in questo affaticato risorgimento la storica capitale siciliana di Thalia e Melpomene, Catania, ne tiene viva l’ormai ultra secolare tradizione con iniziative sparse a macchia di leopardo nei suoi tanti luoghi deputati o perfino inventando nuovi spazi allestendo spettacoli estivi in strade, piazze cittadine e ascosi cortiletti ombreggiati e rinfrescati da vetuste piante sempreverdi. E’ questo il caso di “Fabbricateatro” diretto da Elio Gimbo, una realtà aggiuntasi da anni al già corposo humus teatrale della città etnea, che nei mesi estivi nel piccolo spazio esterno non convenzionale dedicato a Giuseppe Fava (il giornalista-scrittore assassinato dalla mafia) di via Caronda 82 è solito portare in scena spettacoli teatrali permettendo anche, come si esprime lo stesso Gimbo, “che sul nostro peschereccio salissero nuovi marinai a completare l’equipaggio”. 

In quest’ottica “Fabbricateatro” ha riacceso i riflettori sull’eclettica figura di Nino Martoglio, autore molto amato dal pubblico etneo, la cui non indifferente produzione teatrale costituisce terreno favorevole a lavori di rilettura critica ed altresì storica ed ideologica. Sicché, ad iniziare già dagli ultimi giorni di luglio e per tutto agosto (con la sola eccezione della settimana di Ferragosto) e fino al 6 settembre, “Fabbricateatro” continuerà a mettere in scena uno dei lavori più noti del “moschettiere” di Belpasso, ovvero “U contra” scritto nel 1918 e avente per oggetto l’epidemia di colera del 1887, divenuto in chiave di scrittura contemporanea “U vaccinu”, seguendo (sempre parole di Gimbo che ne cura con estro la regia) “il canone stilistico del ‘realismo dialettico’ da noi applicato a Martoglio, traslando l’epoca, lasciando immutati i riferimenti di classe”. Protagonista assoluto è infatti lo schiamazzante e ignorante sottoproletariato contemporaneo catanese che continua a credere, contro ogni evidenza scientifica, ad una diffusione del virus ad opera di odierni monatti cinesi, teoria cui si oppone con scarso successo , utilizzando una fraseologia comicamente storpiata, lo “scientifico” don Procopio, sempre verbalmente aggredito e smentito da una pattuglia di volgari “baccanti” (perlopiù altrettanto volgarmente abbigliate), alla fine ritenuto in possesso d’un miracoloso rimedio contro il male, in realtà un semplice farmaco anti diarrea fornitogli dal farmacista. 

Un impianto corale dove, pur facendo necessariamente emergere taluni personaggi principali, la regia (che non trascura di manipolare il testo originario per adattarlo all’attualità) sembra puntare ad una valorizzazione anche delle figure minori, necessarie a dare ad un’opera che interpreta in chiave comica una tragedia collettiva la dovuta unità estetica, sostenuta da un numeroso e affiatato team attoriale. In scena Cinzia Caminiti, Savì Manna, Carmelo Zuccaro, Sabrina Tellico, Daniele Scalia, Marco Cambiano, Alessandro Chiaramonte, Paola Collorafi, Francesca Coppolino, Carmelo Incardona, William Signorelli, Marilena Spartà.

 di Franco La Magna

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