Calano le entrate dei partiti, ora pagano solo pochi eletti

Politica | 31 luglio 2018
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Tra gli obiettivi delle riforme che si sono succedute negli ultimi anni c’era quello di limitare la dipendenza dei partiti dai fondi pubblici e di incentivare le donazioni private. Openpolis ha analizzato i bilanci dei partiti politici lungo la scorsa legislatura, dal 2013 al 2017. Le riforme degli ultimi anni da un lato hanno ridotto il finanziamento pubblico (eliminando i rimborsi elettorali e introducendo il 2x1000 volontario) e dall'altro hanno cercato di incentivare il finanziamento privato. Oltre a rimodulare il sistema di finanziamento, obiettivo delle riforme era quello di intervenire sulla regolamentazione e sulla trasparenza dei partiti. I due interventi normativi principali di questo periodo sono stati la legge 96/2012 e il decreto legge 149/2013, poi convertito con legge 13/2014. Il primo, durante il governo Monti, ha dimezzato i rimborsi elettorali da circa 180 a 91 milioni di euro, ha introdotto il cofinanziamento (50 centesimi statali per ogni euro donato da un privato a una forza politica) e ha inserito dei controlli più stringenti sui bilanci dei partiti politici. Ad esempio lobbligo di avvalersi di una società di revisione indipendente e la verifica dei bilanci da parte di una commissione terza composta da magistrati. Successivamente, il governo Letta è intervenuto con il decreto 149/2013. Questa norma ha eliminato progressivamente i rimborsi elettorali ai partiti politici: dal 2017 questa forma di finanziamento pubblico alla politica non esiste più. È stata sostituita da meccanismi diversi, rimessi alla scelta volontaria del contribuente in sede di dichiarazione dei redditi, il 2x1000, o allincentivo fiscale delle donazioni private verso i partiti (detrazione del 26% sulle erogazioni liberali). In sintesi un sistema basato sul finanziamento pubblico diretto è stato sostituito da uno basato sul finanziamento indiretto.

Il vero limite di questi interventi- secondo la lettura fornita da Openpolis- è stato la mancanza di coordinamento tra le diverse norme che disciplinano il sistema. In assenza di una legge che regolamenti in modo organico il sistema dei partiti -e in generale delle strutture ad essi collegate, direttamente o indirettamente, come le fondazioni politiche- ciascun intervento legislativo ha in parte ridefinito singoli aspetti, senza affrontare complessivamente la questione di come si organizza la politica in Italia, attraverso quali canali, con quali finanziamenti e con quale livello di trasparenza. I gruppi parlamentari sono obbligati a rendicontare le entrate e le uscite. Per quanto riguarda gli obblighi di pubblicazione, i rendiconti dei gruppi sono allegati al conto consuntivo di Camera e Senato. Al Senato devono dotarsi anche di un sito Internet su cui pubblicare il rendiconto annuale. In base alla legge 515/1993 (art. 7) e alla legge 441/1982 (art. 2) i singoli candidati al parlamento devono dichiarare le spese sostenute e le obbligazioni assunte per la propaganda elettorale e allegare le dichiarazioni riguardanti i contributi ricevuti. Questa dichiarazione va trasmessa alla camera di appartenenza entro 3 mesi, nonché al collegio regionale di garanzia elettorale, che ne cura la pubblicità. Contestualmente, sempre secondo la stessa norma (legge 515/1993, art. 12), anche i rappresentanti di partiti, movimenti, liste elettorali, gruppi di candidati al parlamento devono presentare alla Corte dei conti, entro 45 giorni dall'insediamento delle rispettive camere, il consuntivo relativo alle spese per la campagna elettorale e alle relative fonti di finanziamento.

La riduzione delle entrate dei partiti, tuttavia, non va addebitata unicamente al taglio del finanziamento pubblico. Anche le donazioni da privati sono diminuite nel periodo preso in esame, nonostante uno degli obiettivi fosse proprio quello di incoraggiarle. Il decreto Letta, infatti, ha previsto una detrazione (Irpef e Ires) del 26% su quanto donato alle forze politiche iscritte nel registro dei partiti, per cifre comprese tra 30 e 30mila euro. Per questa misura la stessa legge aveva quantificato minori entrate pari a 27,4 milioni nel 2015 e a 15,65 milioni dal 2016, prevedendo quindi donazioni annue molto superiori.

Le forze politiche, contrariamente alle aspettative, stanno ricevendo molto meno di quanto previsto. La contribuzione dai privati ai partiti politici è passata dagli oltre 40 milioni di euro del 2013 a circa 16 milioni nel 2017. Diminuiscono altresì le donazioni private ai partiti. Il 2013 è stato l'anno record nel periodo esaminato (oltre 40 milioni di euro di donazioni complessive); negli anni successivi la tendenza è stata discendente, in particolare sulle donazioni da persone giuridiche. Al contrario per le erogazioni da persone fisiche, dopo anni di calo, dal 2017 si registra una prima inversione di tendenza. I maggiori finanziatori dei partiti sono gli eletti. Venuti meno i rimborsi elettorali, molte delle principali forze politiche in questi anni hanno cercato massimizzare questo tipo di entrate. Sono le stesse relazioni allegate ai bilanci dei partiti a renderlo noto. Raccogliere i contributi dagli eletti diventa una via necessaria per finanziare la propria attività politica. Lo stesso M5S, dalla XVIII legislatura, ha scelto di far versare ai propri parlamentari una quota dell'indennità (300 euro al mese) per il funzionamento dell'associazione Rousseau e della relativa piattaforma. Questo meccanismo di finanziamento pubblico tuttavia rischia di generare delle pesanti distorsioni nella competizione politica. Favorisce a dismisura le forze che hanno già una ampia presenza nelle istituzioni, mentre penalizza quelle con meno eletti. Nella stessa direzione si muove il sistema di finanziamento dei gruppi parlamentari, che viene erogato in parte in quota fissa e in parte in proporzione alla numerosità del gruppo. Mentre il finanziamento pubblico ai partiti veniva ridotto drasticamente, quello ai gruppi parlamentari è rimasto abbastanza stabile. Il riferimento è ai contributi che i due rami del parlamento versano ai gruppi per le loro attività istituzionali. Si tratta di 32 milioni di euro alla camera e di 21 milioni di euro al senato. Con la fine dei rimborsi elettorali, queste cifre hanno dato una nuova centralità ai gruppi parlamentari a discapito dei partiti politici.

Per tutte le maggiori forze politiche, ad eccezione della Lega Nord, il finanziamento pubblico incassato dai gruppi è stato superiore a quello ricevuto dai rispettivi partiti. Una tendenza che nei prossimi anni potrebbe consolidarsi, data l'eliminazione dei rimborsi e i limiti finora riscontrati nella raccolta del 2x1000. I gruppi parlamentari si sono trovati così ad acquisire sempre più importanza negli equilibri del sistema politico. Tra le altre cose, hanno finito per farsi carico anche di attività che tradizionalmente spettavano alle strutture di partito.

I partiti censiti tra il 2013 e il 2017 hanno ridotto le loro spese del 75%, passando complessivamente da 129 a 31 milioni di euro. Una delle voci di spesa più importanti tra quelle tagliate è stata quella per il personale, grosso modo dimezzata nel periodo considerato. Presi insieme, i partiti spendevano circa 20 milioni per pagare i propri dipendenti, oggi questa voce di spesa ne vale meno di 10. Gli interventi normativi di questi anni hanno cercato di facilitare la ristrutturazione degli apparati partitici, anche attraverso incentivi come la cassa integrazione e i contratti di solidarietà. Negli stessi anni in cui la spesa per il personale dei partiti veniva ridimensionata, quella dei gruppi ha registrato una sensibile crescita. Hanno, ad esempio, aumentato le spese per la comunicazione da 2,9 a 5,4 milioni di euro tra il 2014 e il 2016.

 di Melania Federico

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