Addio a Claudio Lolli, esploratore del mal di vivere
Se
n’è andato anche Claudio Lolli, cantautore di talento che non è
mai sceso a compromessi per inseguire il successo. Uno che è sempre
rimasto “dalla stessa parte”: rigoroso, onesto, vero, forse
aspro, sempre sul filo della malinconia, esploratore del mal di
vivere.
Bolognese, era nato nel 1950. All’Osteria delle dame
conosce Guccini, che lo porta alla Emi. Giovanissimo, nel ‘72
incide il primo album: “Aspettando Godot”. Diventa popolare
soprattutto fra i giovani di sinistra.
“Canzoni di rabbia” è
del ‘75, ma il capolavoro arriva l’anno dopo, s’intitola “Ho
visto anche degli zingari felici”. Prezzo politico: 3500 lire.
Parla di emarginati, di femminismo, di attentati, interpreta
magistralmente le ansie di una generazione – la sua – che dopo le
utopie rivoluzionarie si stava perdendo, o rischiava di perdersi, fra
eroina e terrorismo. L’album successivo, “Disoccupate le strade
dai sogni”, esce per l’etichetta indipendente “L’ultima
spiaggia”: è una dichiarazione di intenti sin dal titolo,
suggestioni jazz e azzardi coraggiosi. Lo segue solo chi lo ama
veramente.
Dopo anni di alti e bassi, durante i quali non lascia
mai l’insegnamento, nel 2000 esce “Dalla parte del torto“:
sembra che Lolli ritrovi l’antica e felice ispirazione. Seguono “La
scoperta dell’America” (2009), “Lovesongs”, lo scorso anno
“Il grande freddo”, Targa Tenco 2017.
Quando uscì
“Lovesongs”, in occasione di un concerto a Trieste, lo
intervistammo per l’ultima volta.
Lolli,
dal sociale all’amore. Cos’è successo?
«Io
le canzoni d’amore le ho sempre scritte. Ma mi davano sempre queste
etichette: il cantautore del suicidio, della rabbia, persino il
fiancheggiatore delle Brigate Rosse…».
Addirittura.
Ma dica la verità: le sue canzoni d’amore erano poche…
«Questo
è vero. Erano “infilate” nei dischi, fra un brano impegnato e
l’altro. Ed è per questo che ho deciso di riprenderle e
riproporle. Con i miei collaboratori le abbiamo ascoltate tutte
assieme, trovandole belle, omogenee, quasi “sorelle” l’una
dell’altra. Insomma, sembravano episodi minori ma non lo erano».
Canzoni
di epoche diverse.
«Sì,
direi fra il ’70 e il ’97. Ne abbiamo selezionate sedici, fra le
quali abbiamo scelto le otto che sono inserite nel disco. Con Nicola
Alesini e Paolo Capodacqua sapevamo di non poter riproporre gli
arrangiamenti originali, né fare un disco pop. Dunque è prevalsa la
scelta di puntare sul jazz, sul lirismo dell’improvvisazione».
E
le canzoni politiche?
«Se
la politica avesse ancora un ruolo, anche la canzone politica ne
avrebbe uno. Ma oggi non c’è più politica, solo parole in
libertà. Contano il potere per il potere, il denaro con cui si crede
di poter acquistare tutto».
I
giovani?
«Per
un ragazzo oggi è difficile capire, intervenire, credere di poter
cambiare le cose. Sembra tutto immodificabile. Sono pochi i giovani
attenti al sociale: si trovano a cozzare contro questa società
finta, costruita in studio. E poi manca una collettività giovanile a
cui fare riferimento».
Lei
insegna sempre?
«Certo.
Italiano, latino e storia antica al Liceo Da Vinci di Bologna. Ormai
sono vicino alla pensione: dovrò farmi fare i calcoli…».
I
suoi studenti come reagiscono?
«Quando
ho una classe nuova, di solito ci vogliono un paio di settimane
perchè scoprano che sono “il cantautore”. Vanno su internet,
chiedono ai genitori, trovano i dischi… La loro reazione è buona.
In fondo è un po’ spiazzante, per loro, scoprire che il prof è
uno che fa dischi, concerti…».
Recentemente
i suoi “Zingari felici” sono stati rifatti sia dal Parto delle
Nuvole Pesanti che da Luca Carboni. Quale versione
preferisce?
«Quella
con il Parto l’abbiamo fatta assieme, una versione molto balcanica,
quasi zingaresca. Luca ha scelto da solo, ne ha fatto una versione
molto dolce, delicata, togliendo aggressività all’originale. Mi ha
fatto molto piacere, anche perchè lui arriva a un pubblico diverso
dal mio».
Nel
video c’è anche quel vostro incontro in Piazza Maggiore…
«Sì,
una cosa carina. Quasi un passaggio del testimone, hanno detto. Anche
se nemmeno lui, in fondo, è giovanissimo. Gli anni passano per
tutti…».
Lolli,
negli anni Settanta sembrava tutto possibile. Oggi…
«Ci
eravamo immaginati che la storia andasse sempre avanti, in una
direzione sola. E invece la storia va avanti e indietro, ha le sue
fasi, ora va un po’ come un gambero. Aspettiamo che passi…». (articolo21.org)
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