A Piazza Armerina plana l’asino che vola di Emanuele Pecheux
Concetto Prestifilippo e Fausto Carmelo Nigrelli hanno presentato a Piazza Armerina il libro che raccoglie un'antologia di scritti del politologo piemontese. Ecco l'introduzione di Nigrelli. Prestifilippo è un ottimo affabulatore ma per farlo scrivere bisogna arrivare alle minacce e noi aborriamo la violenza.
Pierre Bayard, giornalista e professore di letteratura in Francia, ha pubblicato qualche anno fa un libro che è diventato un best seller internazionale: “Come parlare di un libro senza averlo mai letto“ e un ben più importante letterato, Oscar Wilde, diceva che non leggeva mai i libri da recensire per non restarne influenzato.
A me qualche volta (non più di un paio, a dire il vero) è capitato di dovere parlare di un libro senza avere avuto il tempo di leggerlo per intero. Ma questa è un’altra storia.
Per farlo – per parlare di un libro senza averlo letto – occorre avere un quadro completo del contesto nel quale si colloca l’opera sia essa un testo di letteratura che un saggio scientifico.
Il libro di cui chiacchieriamo questa sera forse avrei potuto non leggerlo o non leggerlo per intero sia perché e facilmente contestualizzabile dal momento che si occupa di politica del periodo più recente (2008-2016), sia perché conosco abbastanza il pensiero politico di Emanuele Pecheux, il suo autore. E invece ho letto tutte le sue 320 pagine di testo, quasi sempre con curiosità, spinto sempre a leggerne qualcuna in più prima di richiudere il volume.
Di cosa si tratta.
Pecheux ha voluto raccogliere, in un’antologia che ha il valore di una testimonianza, i suoi scritti pubblicati in varie testate cartacee e online in un periodo di grande trasformazione dell’Italia e della politica italiana. Si tratta di articoli di diversa natura, a volte più lunghi e argomentati, a volte corsivi pungenti se non feroci.
Il titolo.
“L’asino che vola”, ce lo dice egli stesso con il titolo di un articolo del 28 febbraio 2013 (p. 153), è l’asino socialista che, dopo il quinquennio di esclusione dal parlamento (2008-13) rientra a Montecitorio e a Palazzo Madama con una pattuglia di parlamentari.
L’asino che vola socialista è, dunque, il fatto, ai più incredibile, di una persistenza di idee nate nel XIX secolo ancora nel XXI sec. un fenomeno che, ai più, sembra assurdo, stravagante e Pecheux, invece, ne ribalta il significato attribuendo al volo dell’asino una presa di coscienza della realtà dopo anni di infatuazione per chiavi di lettura “leggere” della società contemporanea.
Per me questo è stato un libro di viaggio. Si, di viaggio nel senso di trasferimento in una realtà diversa da quella dalla quale sono partito. Anzi di viaggi. Perché sono più d’uno. Proverò a spiegare questa mia lettura.
Primo viaggio.
La lettura degli articoli di Pecheux in molti casi è una scoperta. Una scoperta di quante cose abbiamo dimenticato del nostro recente passato, di quante cose sono passate sotto i ponti in un lasso di tempo tutto sommato breve, ma nel quale sono accaduti innumerevoli fatti che hanno stravolto la società italiana.
In parte questa sensazione deriva da quello che gli studiosi della mente chiamano “sovraccarico cognitivo”, cioè l’accumularsi di troppe informazioni che rende difficile sia prendere una decisione, sia focalizzare l'attenzione su qualcosa che si ritiene davvero importante, stabilire priorità. In buona parte questo sovraccarico è dato dalla pervasività e dalla potenza dei new media e dei social media in particolare.
In parte, però, deriva dallo sfilacciamento della società e della società politica italiana che dopo quarant’anni di grandissima staticità (quando il sistema elettorale era proporzionale), con la conversione al maggioritario ha metabolizzato partiti, movimenti, simboli, leader, con l’unica eccezione, forse, di Berlusconi, con una velocità parossistica. Così, leggendo i commenti più legati all’attualità del momento, vengono fuori sigle di partiti che avevamo completamente dimenticato come “Futuro e libertà” e perfino che avevano avuto un improvviso successo come “Italia dei valori” di cui non ricordiamo neppure il simbolo; o nomi di politici – a volte spuntati dal nulla – che hanno occupato il proscenio per qualche anno e poi sono scomparsi, da Vendola a Boselli a Di Pietro a Monti.
E questo tourbillon di posizioni politiche, di organizzazione e di leader, specchio di un pensiero molto più che debole, è causa ed effetto a un tempo del sempre più evidente sfilacciamento della società italiana, nazionale e locale, del suo incattivimento, della perdita cioè del senso del con-vivere, del vivere insieme condividendo il passato e il presente per costruire il futuro. Effetto perché la società politica è espressione della società civile; causa perché non è costituita dai migliori che sanno prendersi le responsabilità di guidare la loro comunità oltre “le colonne d’Ercole”, ma è prona rispetto agli appetiti vocianti del popolo.
In questo viaggio nel recente passato Pecheux ci accompagna non in modo neutrale, ma da partigiano, da “testardo socialista” come riporta il sottotitolo del volume (su questo tornerò dopo). “Irriverente e politicamente scorretto (meglio che ipocrita, comunque)”.
E da partigiano ha avversari (a volte nemici) e alleati. Tra i primi Berlusconi (cumenda debordante ed esagerato, p. 24), i leghisti, ma soprattutto gli esponenti della sinistra non socialista togliattan-berlingueriana, spesso li chiama): Veltroni, prima di tutto, creatore del partito aidentitario, dell’Ircocervo (Pd,) responsabile della fuorisucita dei socialisti dal parlamento nel quinquennio 2008-2013, verso il quale si sprecano le frasi sprezzanti (tra le tante, “eretico alla camomilla”, p, 151), e l’altro “dioscuro” D’Alema (l’uomo per tutte le stagioni che ha determinato tutte le sconfitte della sinistra, p. 115), ma anche Rosi Bindi (“suffragetta da sacrestia”, p. 65) e grandi della sinistra (almeno della mia) come Enrico Berlinguer, Pietro Ingrao e Stefano Rodotà. Ma anche socialisti dissenzienti come Bobo Craxi, la chiesa conservatrice che copre la pedofilia e, soprattutto, i rappresentanti del giustizialismo e del populismo televisivi come Travaglio e Santoro, sacerdoti della demokratura televisiva (p. 33) e responsabili dell’”erosione portata dai media al sistema della politica” e del lancio dei grillini. Infine i rappresentanti del gruppo Repubblica-L’Espresso Debenedetti e, soprattutto, Eugenio Scalfari che contende a Veltroni il titolo di personaggio più colpito da Pecheux.
Gli amici non socialisti sono pochissimi: Giorgio Napolitano quasi esclusivamente.
Il secondo viaggio per me è quello in un campo politico e culturale che non mi è appartenuto anzi, che, specularmente, ho ritenuto e al quale sono stato ostile. Quello del socialismo degli anni Ottanta, del craxismo che rimane per Pecheux, la matrice più moderna e, per questo, stroncata dai cattivi comunisti, della socialdemocrazia. La partigianeria mi piace (partigiano lo sono anche io), ma a volte esagera come quando tra le 4 grandi date della storia del socialismo italiano colloca nell’ordine: 21 gennaio 1921, scissione nel Psi e nascita del Pci; 11 gennaio 1947 scissione nel Psi e nascita del Psdi; 12 gennaio 1964, scissione e nascita del Psiup; 19 gennaio 2000, morte di Bettino Craxi, in Tunisia.
Ora a chiunque non sia craxiano questa sembra davvero un’esagerazione. Così come appaiono legittimamente esagerati l’importanza e il peso dato a questioni interne di un partito dalla lunga storia, ma oggi oggettivamente rappresentativo di una piccola minoranza dell’elettorato italiano.
Ma per me il viaggio è un altro: al di là del fastidio che mi hanno dato alcuni giudizi tranchants in particolare su Berlinguer, ma anche su Ingrao, e della santificazione di Craxi di cui io non ho un ricordo politico così splendente (per me fu un finissimo politico, ma anche uno dei responsabili dell’asservimento della politica ai poteri forti dell’economia, Berlusconi per primo, e della deriva tangentizia della politica italiana), leggere gli scritti di Emanuele Pecheux mi ha introdotto a un pensiero forte, quello socialista erede della tradizione italiana, di cui oggi si sente la mancanza. Di cui il partito più che aidentitario di Renzi (sul quale ultimo mi sembra ci sia qualche reticenza) non è né può essere l’erede. Un pensiero socialista e riformista che, a mio parere, dovrebbe smettere lo scontro che ricorda i duellanti di Conrad e cercare di fondersi con quella parte importante e democratica dei pensieri di sinistra democratica compresa quella comunista (perché il pensiero comunista non è stato solo sovietico o togliattiano, ma anche profondamente democratico).
Ma il tema attuale è: oggi la domanda di questo pensiero evoluto di impianto socialista c’è? La lettura di questi appunti e spunti sembra darne conferma, ma temo, con preoccupazione, quasi con angoscia, che il brand non funzioni più; che la parola (non i valori e le idee) sia desueta.
E d’altra parte la situazione non è diversa nell’intero mondo occidentale (il crollo in Francia e, prima, in Gran Bretagna, in Olanda e in Grecia). All’inizio del millennio 12 paesi su quindici della UE erano governati da partiti socialdemocratici o di sinistra, oggi i socialisti, quando governano, sono all’interno di grandi coalizioni (Germania e Austria), o supportano governi di centro destra (Spagna) o governano grazia a partiti di centro destra (Italia).
Forse è in crisi l’aspetto fondante dell’ideale socialista, quella visione del futuro (il sole dell’avvenire) che metteva in fila le azioni, che operava sul presente per costruire un domani più equo. La presentificazione tra le tante vittime illustri, ha forse ucciso quell’idea di socialismo che aveva attraversato tutto il XX sec..
Ma la domanda di una società più equa, di una solidarietà internazionale che aiuti i paesi più poveri a svilupparsi in modo corretto, di una solidarietà intergenerazionale che non faccia pagare ai giovani gli errori e gli egoismi delle generazioni precedenti, c’è e, in questi anni, trova risposta solo nel populismo, nell’orizzontalismo internettiano, nel disprezzo per le competenze.
Una risposta pericolosissima, involutiva, sostanzialmente antidemocratica, al contrario di ciò che si pensa.
Per questo occorre trovare una via d’uscita e per farlo occorre che gli ideali e i valori socialisti, insieme a quelli di altra origine che ad essi sono integrabili, cerchino e trovino di nuovo la presa diretta con la società.
E se non ci si riuscirà, tutti continueremo a rimanere orfani e la società del domani sarò peggiore di quella di oggi.
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