L’impegno di Pio La Torre per Monreale
Dal 1964 al 1968, La Torre, segretario regionale del Pci siciliano, partecipò attivamente alle sedute del Consiglio comunale, guidando l’opposizione a una Dc, monolite, che dal dopoguerra guidava la vita amministrativa.
Perché La Torre, che era stato consigliere comunale a Palermo, era deputato regionale e segretario regionale del suo partito sceglieva Monreale dove una sinistra minoritaria, e a volte settaria, si scontrava con una Dc forte di un granitico consenso elettorale, dell’appoggio della locale curia e di uno stretto connubio con la potente mafia monrealese?
Spezzare questo complesso sistema politico era l’obiettivo che il Pci siciliano, in continuità con la linea nazionale, si poneva all’alba dell’esperienza del centrosinistra organico a Roma. La Sicilia, dopo la rottura della Dc alla fine degli anni cinquanta per merito di Silvio Milazzo, aveva tenuto a battesimo nel governo regionale il primo centrosinistra organico, cioè formato dalla Dc, dal Psi, dal Psdi, dal Pri, anticipando il primo governo Moro. A Palermo e Monreale era l’epoca del triumvirato Gioia, Lima, Ciancimino, che aveva gestito il “Sacco e di Palermo” e l’espansione edilizia verso le borgate e i comuni limitrofi come Monreale, zona di confine tra la città e l’entroterra delle valli dello Iato, del Belìce e della Piana di Partinico. Furono gli anni della prima guerra di mafia, della strage di Ciaculli, del primo grande processo di mafia del dopoguerra conclusosi con la quasi totale assoluzione per insufficienza di prove dei gregari e dei capimafia della città e della provincia. Mancava quello strumento giuridico, l’associazione di stampo mafioso, che fu introdotto quasi vent’anni dopo con la legge La Torre-Rognoni. Nel contesto di quegli anni, Monreale, città dove storicamente era attecchita una stretta relazione tra gerarchia arcivescovile, potere politico locale e potere mafioso, era oggettivamente un campo dove tentare di sperimentare un confronto tra comunisti e cattolici , auspicato dalla politica di Togliatti dalla svolta di Salerno in poi e rilanciato dopo l’elezione al soglio pontificio di Papa Roncalli.
L’arcivescovado di Monreale era noto, sin dall’ottocento, di aver tollerato la presenza di mafiosi a guardia delle sue vaste proprietà fondiarie. Nel secondo dopoguerra, i libri di storia narrano del vescovo Filippi (1925-1951) che fece suonare le campane a stormo e cantare il Te Deum per Vanni Sacco, capomafia di Camporeale che accompagnava nel 1946, su auto scoperta, il rientro del giovane prete locale il quale aveva osato opporsi alla sua violenza ed era dovuto scappare dopo alcune fucilate contro la sua dimora. Ma Ernesto Eugenio Filippi passa alla storia per aver chiuso gli occhi sull’ospitalità che qualche convento della sua diocesi offriva al bandito Salvatore Giuliano, con la protezione della mafia di Monreale, per aver accettato le generose offerte di denaro di Giuliano, per aver custodito i suoi risparmi frutto delle rapine e sequestri, misteriosamente scomparsi dopo la sua uccisione. Per amore di verità occorre evidenziare che l’arcivescovado ha avuto grandi vescovi il cui impegno religioso, culturale, sociale e antimafioso è stato di ben altro segno e di alto livello ispirato al Concilio vaticano secondo. Francesco Carpino (1951-1961), Cataldo Naro (2002-2006), Salvatore Di Cristina (2006-2013), l’attuale Michele Pennisi hanno fatto dimenticare le frequentazioni con i Cassina di Cassisa e il suo segretario il cui numero di telefono clonato era usato dal latitante Leoluca Bagarella.
L’attività consiliare di La Torre, documentata dai giovani archivisti, la cui ricerca spero sia completata e degnamente pubblicata, inizia con l’insediamento della Giunta del sindaco Li Calsi e il dibattito sulle sue dichiarazioni programmatiche sulle quali Pio interviene con tale ricchezza di proposte per lo sviluppo della città e del suo territorio che mostrano il suo profondo legame con Monreale.
Monreale allora era un’area con un’agricoltura ricca e di pregio, contadina e frammentata in giardini di agrumi e frutta che veniva investita dalla speculazione edilizia a vantaggio di pochi, governata dal sistema politico mafioso che si era consolidato con la ricostruzione post-bellica, sovrapponendosi al sistema preesistente basato sul controllo delle acque, del commercio e delle attività artigianali, del mercato ortofrutticolo, dell’export.
Il Comune era senza Piano regolatore, sarà redatto e approvato nel 1977, dopo la rottura storica della Dc per opera dello stesso Li Calsi, appartenente al cattolicesimo democratico.
Su questi temi avanzò le proposte del Pci con un ampio respiro strategico fornendo alla sinistra locale argomenti d’iniziativa politica e sociale: difesa del patrimonio storico edilizio, infrastrutture moderne per le borgate, decentramento e trasparenza amministrativa, Piano Regolatore. In quegli anni fu avviata la lottizzazione di S. Martino delle Scale contestata nella sua illusione di creare un’area mare-monti che avrebbe dovuto portare tanta ricchezza oltre tanto cemento. Illusione che si continua a pagare ancora oggi, dopo ogni incendio stagionale.
Pio chiuse la sua esperienza consiliare nel 1968, per andare a lavorare alla Direzione nazionale del Pci, in coincidenza con i fatti di Avola (2 dicembre 1968) dove durante una manifestazione dei braccianti per il contratto la polizia ne uccise due e ferito quarantadue. quella tragedia attivò una risposta anche del movimento studentesco nazionale che così si legò alle lotte per il lavoro e per un nuovo modello di sviluppo.
La rilettura di quell’esperienza tenuta davanti agli studenti medi di Monreale può consentire loro (e agli adulti presenti) di comprendere meglio la società presente e la crisi della sua democrazia. L’analisi della struttura sociale, l’individuazione delle forze in campo- sociali, politiche, religiose, culturali, mafiose- servirono ai tanti La Torre di allora a collegarsi con le esigenze della gente e a farla partecipare alla politica. Ci riuscirono? In parte sì. Con il loro lavoro politico e il loro esempio sono cresciute la democrazia e la coscienza critica civica e antimafiosa. Una lezione, dunque, da non dimenticare.
Vito Lo Monaco
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