In ricordo di Vincenzo Giambrone, edile di Caltavuturo
30 gennaio 2014
A Vincenzo Gianbrone (1943/1978) è stata intitolata la Camera del lavoro di Caltavuturo nell’occasione della campagna per il XVII Congresso CGIL nazionale. La Camera del lavoro di Caltavuturo oggi è diretta dal figlio di Vincenzo (buon sangue non mente!).
Vincenzo morì prematuramente a soli 34 anni lasciando la moglie e due figli piccoli. Aveva dedicato gli ultimi 14 anni della sua breve ma intensa vita al sindacato. Fu segretario della Camera del lavoro e degli edili del suo paese dal 1964 al 1972.
Dal 1972 al 1974 assunse la responsabilità della CGIL delle Madonie e si trasferì a Petralia Sottana. Nel 1975 rientrò a Caltavuturo, sempre come responsabile della Camera del lavoro. Nel 1977 fu eletto Consigliere comunale nelle liste del PCI.
Perché ne parliamo? Perché fu uno dei protagonisti delle intense lotte sindacali e popolari che fra la metà degli anni ’60 e gli anni ’70 furono promosse dal sindacato e dalla sinistra nelle Madonie nel quadro della ricerca di un nuovo modello di sviluppo dopo l’epica lotta per la terra del dopoguerra, macchiata del sangue dei Li Puma e degli altri caduti.
La riforma agraria aveva avuto il merito storico di cancellare gli ultimi residui feudali e del potere baronale ma subì una lacerante sconfitta ad opera del moderno sviluppo dualistico capitalista – industrializzazione al Nord, agricoltura al Sud – non sostenuta ma assistita, e fornitrice di manodopera a buon prezzo per il Nord Italia e per l’ Europa.
Le politiche meridionalistiche avviate con la Cassa del Mezzogiorno e poi accentuate dal Centro Sinistra, portarono all’insediamento dei Poli di sviluppo industriale in Sicilia e alla realizzazione delle aree industriali come quella di Termini Imerese dove l’insediamento della centrale elettrica e della FIAT poi fecero sperare in una politica di crescita industriale.
In quegli anni la realizzazione di infrastrutture come l’autostrada Palermo – Catania, in funzione della modernizzazione, crearono – aldilà delle distorsioni clientelari – un grande cantiere di lavoro nel quale migliaia di giovani braccianti e contadini, ancora non emigrati, si organizzarono nel sindacato , soprattutto la CGIL, e molti altri ancora entrarono nelle file del PCI.
Compagni come Carmelo D’Agostino, Giuseppe Giambrone, Vincenzo Renna e tanti altri di Termini e delle Madonie (da Polizzi a Petralia, da Ganci a Castelbuono) furono sostenitori delle lotte e del sindacato. Questa intensa campagna sociale era appoggiata dai partiti della sinistra, con la mobilitazione di giovani e meno giovani dirigenti locali. Dai prof. Pasquale Lo Re e Giulio Falcone di Caltavuturo al gruppo di Polizzi guidato da Francesco Paolo Barrancotto, a quello di Castellana del quale facevano parte Mimmo Carapezza, comunista, e a sua volta Mascellino, a quello di Petralia Sottana guidato allora dal prof. Leto, da Arturo Neglia e dai fratelli Brucato, accompagnarono la crescita di un folto gruppo di giovanissimi dal quale poi crebbero diversi dirigenti, come l’attuale sindaco di Petralia Sottana o Domenico Giannopolo
Io ho conosciuto Vincenzo proprio in quegli anni, perché ero allora responsabile della zona Termini – Madonie per il PCI, su mediazione di Pio La Torre, diventato segretario della Federazione dopo l’allontanamento dalla segreteria regionale a seguito del moderato arretramento elettorale del PCI nelle regionali del 1967. Successivamente nella qualità di Segretario provinciale della Federbraccianti dal 1970 al 1972, ebbi modo di lavorare intensamente anche nelle Madonie e poi da responsabile dell’organizzazione della Provincia alla segreteria provinciale del PCI, Achille Occhetto segretario, dal 1972 al 1974.
La conoscenza e la militanza comune ci fecero diventare amici anche per il carattere buono e genuino di Vincenzo che della sua compagna Giuseppina che lo seguì a Petralia Sottana, affrontando ogni genere di disagio.
Le lotte per il riconoscimento dei diritti contrattuali degli edili di solito negati dalle grandi imprese che realizzarono l’autostrada, la FIAT e le altre infrastrutture, invece molto generose verso i gruppi mafiosi di Caccamo, Termini, Cerda furono intense e a volte aspre. Ma ebbero il merito, grazie al sindacato e alle sinistre, oltre all’impegno fondamentale dei sindaci, molti dei quali allora della Democrazia Cristiana, di saldarsi alle esigenze di sviluppo del territorio madonita. Furono possibili momenti di mobilitazione popolare perché venisse realizzato lo svincolo autostradale di Tremonzelli, allora non previsto, per collegare le Madonie all’autostrada.
Le “Lotte di popolo delle Madonie”, così vennero chiamate, crearono i presupposti perché si aprisse una negoziazione alla luce del sole con il governo regionale, presieduto in quegli anni da Mario Fasino e poi da Angelo Bonfiglio. Con quest’ultimo, assessore all’agricoltura, fu stipulato un vero e proprio impegno per l’avvio del rimboschimento delle Madonie e poi, diventato Presidente della Regione, un piano infrastrutturale all’interno del quale – ricordo – era prevista anche la sistemazione delle trazzere San Mauro Castelverde – Gangi, realizzate (malamente) decenni dopo.
Quelle lotte rinnovarono l’impegno anche per i piani di zona di sviluppo dell’ESA che avrebbe dovuto completare la Riforma Agraria e organizzare un’agricoltura moderna e competitiva. Furono anni che videro crescere un sindacato a vocazione unitaria che tutelava i diritti dei lavoratori cementandoli con quelli generali dello sviluppo e della crescita civile e sociale di intere popolazioni.
Furono gli anni della prima grave crisi petrolifera mondiale che mise in discussione il modello di crescita infinita. Tutto ciò non avveniva in modo lineare. I contraccolpi furono pesanti. Lo sguardo di una parte della grande borghesia agraria e urbana si voltò a destra – gli anni 70-71 furono gli anni dell’impetuosa crescita missina – mentre la crisi delle spinte riformiste del primo Centro Sinistra produceva lo spostamento a sinistra, ma anche le controspinte a destra. Furono gli anni che portarono alle vittorie nel referendum sul divorzio, alle lotte per la pace contro la guerra in Vietnam. Anni nei quali il sindacato forgiava la sua moderna identità unitaria, sostenuto anche da una sinistra (comunista, socialista, cattolica, laica) all’interno della quale il PCI vantava il primato del primo grande partito comunista di massa dell’Occidente.
L’obbiettivo era, ed è ancora, la piena attuazione della Costituzione della Repubblica nata dalla Resistenza antifascista e dalla Liberazione.
Vincenzo e i tanti giovani di allora assieme ai compagni, militanti fin dal dopoguerra, furono protagonisti consapevoli di questo processo di costruzione di una democrazia moderna. Riviverne la memoria serve ai giovani e agli anziani di oggi ricordare come essi furono capaci di far uscire il paese dalla crisi di quegli anni. Può essere un’utile lezione per poterlo fare ancora in questa nuova drammatica crisi politica, istituzionale, sociale.
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