Un bilancio normale e rivoluzionario
La normalità, questa era forse la sfida più difficile nella gestione dei conti pubblici regionali. Chi mi conosce sa che mi è estranea ogni forma di retorica, però non posso nascondere che, nella notte tra martedì e mercoledì scorsi, quando l’ARS approvava la manovra finanziaria per il 2014, ho pensato che davvero si trattasse di un risultato storico. Dovrebbe essere la normalità, ma era la prima volta, dal 2005, che la Sicilia non andava in esercizio provvisorio.
Lo avevo capito dall’inizio. Questo obiettivo di “normalità”, o almeno il tentativo credibile di perseguirlo, andava conquistato a fatica. E, lasciatelo che lo ricordi, non era scontato che così avvenisse, nemmeno con la leale collaborazione dell’intera ARS. Perché il punto che non deve sfuggire è che non partivamo affatto da una condizione di normalità. Partivamo da una situazione dei conti drammatica, allarmante. Dal mio osservatorio della SVIMEZ, nell’estate che precedette le elezioni del 2012, seguivamo con apprensione le notizie di rischio di imminente default. Le notizie erano forse un po’ esagerate, ma la gravità della situazione economico-finanziaria era e sarebbe stata confermata da diversi documenti ufficiali, dalla Corte dei Conti in giù.
Per parlare di questa manovra bisognerebbe allora davvero ricordare l’autunno 2012. Non è questa la sede, ma mi piacerebbe raccontare i passaggi, le tappe, in questi 14 mesi (appena 14 mesi), di questo percorso – che non è certo finito – di risanamento delle finanze regionali. Il contributo di fondo, comunque, che spero di aver dato in questi mesi di azione amministrativa, è di aver dimostrato che è possibile una gestione dei conti pubblici razionale, che non si limiti a cercare alibi all’esterno della Regione, ma che affronti le esigenze di riforma al suo interno. È quella “difficile normalità”, appunto, o almeno un grado accettabile di essa, fatta di buona amministrazione, di lotta agli sprechi, di standard comuni tra i vari rami dell’amministrazione e del settore pubblico allargato, di leale rapporto di collaborazione con lo Stato.
I numeri, a volte, parlano più delle parole. Due cifre descrivono la portata del lavoro che abbiamo portato avanti. In appena due manovre finanziarie, a distanza di otto mesi l’una dall’altra, ci siamo fatti carico dell’eredità – non certo gradita – di 1 miliardo di “buco” delle gestione 2012, e per il 2013 abbiamo operato una manovra, che tenendo conto del disavanzo 2012, valeva oltre 2 miliardi di euro. Mentre quest’anno – nonostante i conti in ordine del 2013, ma per il calo delle entrate tributarie dovute all’aggravarsi della congiuntura – la manovra non è stata affatto più semplice, ed è valsa un miliardo e mezzo.
Fa bene il Presidente della Regione a rivendicare di non aver fatto “macelleria sociale”. Perché coniugare l’obiettivo del risanamento economico-finanziario, in mancanza di decise politiche di sviluppo, che devono necessariamente avere una portata europea e nazionale, garantendo la tenuta sociale, non era affatto scontato. Le stesse garanzie sui precari regionali non erano un obbiettivo semplice da raggiungere. Insomma, per dirla con un battuta, eravamo come in Grecia, ma non abbiamo fatto come la Grecia.
A dicembre, abbiamo presentato documenti finanziari che non erano solo delle bozze (come gli altri anni in cui si presentavano ad ottobre, ma poi non arrivavano in porto), pronte solo a diventare l’ennesima pezza d’appoggio per l’esercizio provvisorio. Bilancio e Legge di Stabilità per il 2014 avevano bisogno della costruzione di alcune basi solide, veri e propri pilastri senza i quali non avrebbe retto l’impalcatura finanziaria. In autunno, accanto al lavoro sui conti per il 2014, abbiamo lavorato essenzialmente a quattro di questi “pilastri”: la ridefinizione del Patto di Stabilità, dopo una serrata trattativa con Il Ministero dell’Economia; la definitiva rimodulazione del FSC, un percorso difficile, ma senza il quale si sarebbero creati problemi molto seri sulla tenuta dei conti nel 2013; il ddl per i pagamenti dei debiti delle pubbliche amministrazioni, che finalmente ha ricevuto il via libera in Commissione e confido che venga esitato nei tempi più brevi dall’ASR (ricordo che abbiamo ricevuto una norma ad hoc dallo Stato che ci consente un regime “speciale” rispetto ad altre regioni); e infine, il ddl sui precari che, al di là dell’alto valore sociale, era propedeutico per la definizione degli equilibri di bilancio.
Questo lavoro “propedeutico” al bilancio e alla Finanziaria rendeva fin dall’inizio i documenti credibili e forti. Ma devo ringraziare l’ARS per essere stata capace di raccogliere la sfida e la volontà politica, a fronte delle esigenze della Sicilia, di approvare un bilancio vero; e per un lavoro parlamentare che ha consolidato la tenuta dell’impalcatura economico-finanziaria. Ora, e questo più che normalità è un auspicio, anche l’Assemblea ha di fronte a sé un anno intero per iniziative legislative e di riforma nell’interesse dei siciliani. E la prima, lasciatemelo dire, è proprio il decreto pagamento dei debiti della P.A., che ha effetti importantissimi sull’economia e sulle finanze regionali, e che per me è un po’ la ciliegina sulla torta che è mancata in questa finanziaria.
Per il 2014, siamo riusciti a produrre un risparmio di spesa corrente (oltre 300 milioni) di euro. Anche qui, non era facile, né scontato: basti ricordare che l’anno scorso, in qualche caso, abbiamo ridotto voci importanti di bilancio di oltre il 40%. La spending review non si fa coi tavoli e i consulenti, la si fa giustificando voce per voce il bilancio pubblico. E noi lo abbiamo fatto, riuscendo ad assicurare la spesa per il personale e per il funzionamento della macchina amministrativa (risparmiando soprattutto su utenze, consulenze, rimborsi spese, spese di rappresentanza e pubblicità). A fronte della incomprimibile rigidità della spesa, però, il lavoro principale dovevamo farlo sulle Entrate, e certo non come si faceva nel passato imputando irrealizzabili entrate da dismissione di patrimonio regionale ma attraverso un nuovo rapporto di collaborazione, fondato sulla rinnovata credibilità della Regione sui tavoli nazionali. I tagli di spesa corrente operato nella finanziaria 204 ci consentono utilizzando una norma nazionale, di scambiare spazi di patto di stabilità con una riduzione degli accantonamenti tributati di circa 400 milioni.
La sostenibilità economico finanziaria non si può raggiungere coi tagli, ma solo con le riforme, che quest’anno – per restare ai titoli – impattano sui Comuni, sulla Forestazione, sull’agricoltura, sul trasporto pubblico locale e collegamenti, sul riordino delle società partecipate regionali. La sfida, anche questa di portata storica, è di ridefinire il perimetro di azione diretta della Regione. E così, abbiamo provato a portare compimento la Riforma agraria in Sicilia, mediante la vendita di terreni dell'ESA e, soprattutto, abbiamo previsto la cessione di partecipazioni azionarie in aree non strategiche, mediante ulteriore riordino che porterà allo scioglimento entro l'anno delle stesse o alla loro alienazione. Al fine di agevolare le liquidazioni – che a volte sono durate decenni – abbiamo istituito un Ufficio speciale che gestirà tutte le relative operazioni unitamente a quelle degli enti in liquidazione già in corso.
La manovra prevede un miliardo e mezzo di euro di nuovi interventi riqualificando la spesa e promuovendo politiche sociali e di sviluppo. Per gli enti locali abbiamo previsto un meccanismo innovativo che prevede la compartecipazione dei comuni al gettito IRPEF che garantirà ai comuni la dotazione di parte corrente. I fondi ai comuni, per la prima volta, sono previsti sul triennio: anche questa è la “difficile normalità” che consentirà Comuni di programmare con certezza la loro riorganizzazione della spesa. Sugli interventi finanziati dalla Regione, in generale, si è riusciti ad assicurare quanto più possibile il mantenimento dei trasferimenti, in qualche caso con lievi riduzioni. Non una nuova Tabella H, ma contributi meritevoli, discussi uno per uno in Commissione bilancio. E tra questi, mi piace ricordare il milione aggiuntivo destinato al comune di Lampedusa, per ciò che sta facendo in questi anni.
Ritengo che, in questo difficile passaggio storico ed economico, fossero importantissime le misure di carattere sociale. Vorrei richiamare quelle sulla casa, sul valore sociale della casa: con l’agevolazione per l'accesso alla abitazione delle giovani coppie sposate nell'ultimo triennio nonché per le “coppie di fatto” (a cui, dopo un accesso e forse un po’ “surreale” dibattito, abbiamo esteso tutte le contribuzioni regionali previste per le famiglie); l’istituzione di un fondo per gli inquilini morosi incolpevoli. Sono misure con una valenza sociale altissima, e che la Sicilia introduce per prima tra le Regioni.
Abbiamo poi introdotto incentivi per l'assunzione dei precari da parte dei privati e borse formative all’autoimpiego, e istituito un fondo per le disabilità finalizzato ad integrare gli interventi nazionali. Infine, si è molto discusso dell’introduzione di un reddito minimo per le famiglie che versano in situazione di disagio socio economico. Il Fondo siciliano per il sostegno all'inclusione attiva (SIA) avrà una dotazione sperimentale di 15 milioni. È evidente che si tratta ancora di molto poco. Ma il meglio è nemico del bene, mai come nel caso delle politiche sociali, a fronte di un disagio sempre più dilagante.
Si dirà: va bene il sociale, ma lo sviluppo? L’opera di risanamento dei conti pubblici dev’essere guidata non da obiettivi di astratta sostenibilità finanziaria, ma proprio dalla volontà di liberare risorse nei bilanci pubblici da destinare allo sviluppo. Perché, è inutile nasconderlo, oggi come oggi, nel bilancio della Regione c’è molto poco.
È con questa stessa logica che va guardata la riforma delle partecipate. Non soltanto come un’operazione di razionalizzazione del settore pubblico allargato, di riorganizzazione interna nel senso dell’efficienza, della lotta agli sprechi, eccetera. Ma come l’occasione di lasciare spazi occupati prima dalla macchina pubblica, per favorire lo sviluppo di un’industria dei servizi più avanzata in Sicilia. È questa la vera sfida, al di là degli aspetti che più solleticano la stampa: abolizione dei cda, rottura di rapporti di contiguità con la politica, eccetera.
Nella manovra, al di là di alcune iniziative di settore a costo zero, questo’anno abbiamo provato a fare alcune operazione di razionalizzazione di alcuni interventi: ad esempio, abbiamo recuperato 10 milioni “immobilizzati” presso l’IRCAC da utilizzare per la loro destinazione originaria, il finanziamento di iniziative di sviluppo. Abbiamo poi istituito un Fondo per lo Sviluppo presso la CRIAS, con una dotazione di 30 milioni, messo a disposizione da IRFIS, che servirà a erogare anticipazioni finanziarie alle micro e alle piccole imprese.
Sui fondi regionali, è inutile negarlo, non c’era la possibilità di andare oltre, nella difficile condizione dei conti. Ma sono primi segnali. Ed è importantissimo che si aprano, pur in manovre finanziare ancora segnate dall’esigenza prioritaria di risanare i conti, oltre alle garanzie sociali anche nuove “finestre” per lo sviluppo. Per me, è stato anche un po’ il modo di mantenere un impegno, una promessa: e cioè che accanto all’operazione, necessaria e difficile, del risanamento, non avremmo mai perduto di vista lo sviluppo, le premesse per lo sviluppo: quello che dovrebbe fare la buona amministrazione.
L’abbiamo fatto già quest’anno, ad esempio con il credito d’imposta per investimenti (che è andato benissimo), con lo sblocco dei fondi per i Confidi (propedeutico ad una più ampia riforma del credito in Sicilia che non può essere rimandata) e, soprattutto, con l’accelerazione della spesa dei fondi strutturali e PAC. Rispetto al DPEF presentato in estate, ci sono piccoli segnali di miglioramento che fanno sperare in una possibile ripresa. Ora la sfida che tutti abbiamo di fronte, e che non possiamo perdere, è la programmazione 2014-2020. Una straordinaria occasione di sviluppo che deve però uscire dalle stanze della mera amministrazione – per quanto migliorata essa sia – per assumere un respiro strategico, trovando forme e modi di coinvolgimento della politica regionale.
La mia riflessione finale rimanda proprio a questo, alla necessità di costruire, attorno alle tante azioni importanti portate avanti in questi mesi, un progetto per la Sicilia; un progetto fatto di azioni amministrative di razionalizzazione di riforma ma anche di cambiamento economico e sociale che modifichi i rapporti tra spesa pubblica e politica. In questo progetto non si può prescindere da un rinnovato contributo dei partiti e da una riattivazione del confronto pubblico con i cittadini, le forze politiche e sociali. Non ci può essere un reale progetto per lo sviluppo se non si chiamano a raccolta le forze vive della società. E’questo un impegno a cui nessuno può sottrarsi.
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