L’associazionismo antimafia preso sul serio

3 gennaio 2014
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Ernesto Galli della Loggia è un editorialista che seguo da sempre, perché spesso mette il dito su qualcuna delle piaghe della politica o della società italiane. Aggiungo che provo istintiva simpatia per i bastian contrari che parlano fuori dal coro rispetto al “politicamente corretto”. Il suo “Troppa retorica e poca legalità” (Corsera, 22/12/2013) - pur essendo io alquanto impegnato nelle attività di alcune delle fondazioni/associazioni antimafia - nel complesso non mi era dispiaciuto. Mi era sembrato essenzialmente un atto di denuncia contro certe storture verificatesi tra pseudo-attivisti della “cultura della legalità”. Una locuzione che non mi ha mai persuaso. Se si parla del dovere di osservare la legge in genere, meglio “cultura civica”, o “educazione civica”. Se invece ci si riferisce alla lotta dal basso contro le organizzazioni mafiose, è bene chiamarla con il suo nome.

            Certamente può succedere che chi si è schierato dalla parte “giusta” guardi dall'alto in basso tutti gli altri, credendosi infallibile e intoccabile, legibus solutus. Concordo sia con la critica alle liturgie, se sono fine a se stesse, sia con l'enfasi di Galli Della Loggia su uno Stato che deve essere presente e “pronto a colpire”. Certamente vi sono state e vi sono delle mele marce. E non è la prima volta che ciò emerge. Francesco Campanella, oggi collaboratore di giustizia, più o meno quando era presidente del consiglio comunale di Villabate e segretario nazionale dei giovani di un partito, aveva creato un osservatorio antimafia addirittura con il parere favorevole di Bernardo Provenzano. Più in generale, è esistito ed esiste tuttora un circuito mafia-politica-affari, che va interrotto.

            Mi era forse rimasto un retrogusto amaro per qualche stoccata o argomento ad hominem di troppo, tra cui quella sulla Nave della legalità. Comunque sia, l'articolo mi era parso degno di nota. Ho poi visto la replica a firma di M. Falcone, N. Dalla Chiesa, S. Calleri, E. Fava, R. Borsellino, Fondazione Chinnici, Centro studi La Torre, Centro studi Borsellino (23/12/2013), nonché la controreplica di Galli della Loggia della vigilia di Natale. Stavolta ho letto un opinionista che sparava fuori bersaglio, o ai bersagli sbagliati, e usando un tono liquidatorio faceva diverse affermazioni erronee, come vado a illustrare.

            Punto primo. Gli organismi che si occupano di antimafia fanno sia educazione “alla legalità” sia tante altre cose, tra cui ricerche, spesso con risorse scarsissime, l'apporto di volontari, talora finanziamenti di privati. Ad esempio la Fondazione Chinnici ne ha realizzate per stimare il peso dell'estorsione in Sicilia o in Campania attraverso un percorso metodologico finalmente rigoroso, trasparente e controllabile.  Altrettanto non può dirsi di altre quantificazioni dei “fatturati” mafiosi, che circolano anche nelle alte sfere. Il Centro La Torre fa annualmente, su base quasi volontaria, una preziosa rilevazione della percezione della mafia tra migliaia di studenti. La Fondazione Falcone ha anch'essa sue linee di ricerca. Nando Dalla Chiesa fa interagire tra loro i “talenti antimafiosi”, per non dire di Libera. E potrei continuare a lungo.

            Punto secondo. Notoriamente certi reati, come il contrabbando o gli omicidi di mafia, hanno avuto un crollo, contrariamente a quanto dice Della Loggia. Su altri (come le denunce di estorsione o i reati “sentinella”: attentati incendiari o dinamitardi) la valutazione va articolata e non tagliata con l'accetta. Le mafie hanno certo ancora molti affiliati, ma quelli di maggior calibro sono ormai il più delle volte ospiti delle patrie galere. Vi è indubbiamente un'espansione, verso business e territori non tradizionali. Ma se ciò avviene nonostante l'imponente sforzo di contrasto dispiegato nel nostro paese, che non ha pari al mondo, e nonostante i suoi indubbi successi, non si potrebbe allora ritenere che alla repressione debba appunto accompagnarsi la sensibilizzazione, la cui efficacia è inevitabilmente incerta e lenta? Ancora, non è affatto vero che gli studenti sanno già tutto. E se sanno qualcosa non è detto che ciò che sanno non sia talora da integrare o correggere. Se in certe subculture la convivenza con la mafia è la norma, chi se non la scuola dovrebbe insegnare ai ragazzi socializzati in esse che bisogna ribellarsi?

            Punto terzo. Vogliamo che venga valutato (da chi ne è capace) l'impatto delle azioni educative e delle non moltissime ore ad esse dedicate? Che tutto sia adeguatamente monitorato e rendicontato? Benissimo. Lo si faccia, se già non avviene. Le persone serie ringrazieranno. Occorre vigilare contro i ritualismi, i furbacchioni, i farabutti. Ma anche non rinunciare all'eredità civile di alcuni eroi e all'insostituibile contributo di chi ne ha raccolto il testimone.

 di Antonio La Spina

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