La mafia maldestra, così cambia il pizzo

17 dicembre 2013
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Un commerciante che aveva appena aperto un negozio di tende e casalinghi nel quartiere Noce ha subito una brutale aggressione da parte di una masnada di “picciotti” inviati per punirlo. Si era rifiutato di pagare un pizzo di 3000 euro, anche se poi la richiesta era stata ridotta a 1500. È stato preso a colpi di mazzuolo, e con lui il genero che tentava di difenderlo. Una violenza eclatante, che doveva lasciare il segno. Il tutto è stato ripreso da una telecamera. Tra i picchiatori è stato indicato anche un venditore ambulante nord-africano. Le indagini, ancora in corso, hanno condotto alla contestazione del tentato omicidio e all'arresto di otto persone in tutto, tra cui tre presunti boss del quartiere, il più alto in grado dei quali sarebbe entrato in carica di recente, in sostituzione di un predecessore arrestato, che a sua volta avrebbe preso il posto di un altro arrestato.

Questi, all'osso, i fatti. Che si prestano a interpretazioni di segno differente, se non opposto. La prima è che, nonostante i tanti e tanti arresti, Cosa Nostra è un'Idra capace di farsi ricrescere nuove teste ogni volta che gliene viene tagliata qualcuna. Pertanto, essa mantiene tenacemente la sua presa sul territorio e non consente sgarri. Chi non si sottomette, chi vuole guadagnarsi il pane senza la sua “autorizzazione”, non può essere lasciato impunito. E la sanzione dovrà essere esemplare, così da intimorire ed “educare” sia la vittima diretta, sia tutti gli altri cui potrebbe saltare in mente di ribellarsi al racket. Inoltre, mentre quando comandava Bernardo Provenzano si doveva restare “sommersi”, non farsi notare, qui siamo di fronte a un gesto della massima visibilità.

Che tali fossero gli intendimenti degli esecutori materiali e soprattutto dei loro mandanti, è plausibile. Vi sono però anche altri elementi da non trascurare. Il primo è che sia i “picciotti” che soprattutto i loro referenti hanno compiuto una serie di errori. Non hanno capito chi avevano davanti. Hanno pensato che bastasse una scarica di botte, magari tale da produrre fratture craniche e ferite, per farlo “ragionare”. E gliele hanno date senza accorgersi che il tutto veniva filmato. Boss più esperti, meno improvvisati, avrebbero possibilmente studiato meglio la persona del commerciante e avrebbero anche operato in modo da correre meno rischi. Vi sono svariati casi noti in cui, a fronte di un rifiuto, gli estortori  hanno preferito desistere.

In secondo luogo, i giornali riportano brani di intercettazioni (telefoniche o ambientali) dalle quali si evince che gli investigatori sapevano già degli avvicendamenti ai vertici della cosca, sapevano di svariati altri negozianti estorti dagli stessi delinquenti, e sapevano anche delle perplessità che tra di loro stava suscitando la condotta avventata di uno degli esattori, da poco scarcerato, e lestamente tornato “in servizio”. Ad un’analisi più attenta, dunque, la vicenda non evoca un'Idra invincibile, bensì un gioco del gatto con i topi, in cui i malviventi per un verso sono soggetti a una penetrante osservazione da parte delle forze dell'ordine, e per altro verso agiscono in modo maldestro, guidati da “capi” a loro volta inadeguati, cosicché tutti vanno a finire dritto  in trappola. Mafiosi che, oltre a essere sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti, sono pure  in difficoltà economica, hanno da sostenere spese enormi per i carcerati, e avvertono che i commercianti loro vittime, dovendo fronteggiare la crisi, hanno sempre più difficoltà a pagare il pizzo, sebbene scontato. Anche il fatto che uno degli arrestati sia un soggetto che, non essendo autoctono, non può vantare credenziali familiari (che in genere vengono tenute in considerazione), suggerisce che il reclutamento è sempre meno selettivo e accurato, che i “capimafia” prendono con sé chi trovano, anziché chi possiede una tradizione e una caratura che ne garantiscano l'affidabilità e la professionalità. È vero che l'organizzazione criminale continua a reperire sostituti, ma questi sono di qualità sempre più scadente.

In definitiva, il negoziante della Noce ha fatto bene a resistere e a denunciare, anche se è stato malamente “sanzionato”. Lui stesso non ritiene di aver compiuto un gesto eccezionale. Resistere al racket ormai è anzitutto una scelta razionale, per quanto continui a comportare un certo rischio. Anche se Cosa nostra prova a fare la faccia feroce, non dobbiamo farci intimidire. Non è più quella di una volta. Niente deve essere più come una volta. Se il più delle volte vi fosse una ribellione delle vittime, anche quel tanto di rischio calerebbe drasticamente.

 di Antonio La Spina

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