I pericoli del mercato alimentare globale
Le recenti iniziative della Coldiretti, con la mobilitazione dei propri soci, alla frontiera del Brennero, a Roma davanti Montecitorio e con quella preannunciata per l’11 dicembre, hanno il merito di sollevare un problema vero, al di là di qualche venatura autoreferenziale. È in ballo il modello di sviluppo agroalimentare nazionale ed europeo di fronte una globalizzazione massificante che porterà, cosi proseguendo, alla scomparsa dei sistemi produttivi locali. In questo contesto, non è in discussione la libera circolazione delle merci, ma l’obbligo che esse sottostiano alle stesse regole di tracciabilità del prodotto, della sua origine di produzione e di confezionamento, siano disciplinate dalle stesse norme sanitarie nel pieno rispetto del diritto alla salute di ogni cittadino del pianeta. Cioè vale per i cittadini dell’Ue e per tutti i pesi aderenti al WTO i quali venerdì scorso a Bali hanno siglato il primo accordo globale dopo la sua istituzione del 1995.
L’accordo prevede misure per facilitare gli scambi commerciali, la possibilità( provvisoria, non permanente) per i paesi meno avvantaggiati di accumulare derrate alimentari per le proprie popolazioni e di potersi inserire nei flussi di commercio mondiale.
L’accordo, molto criticato dall’ associazione dei sindacati e della società civile “Trade Game”, non assicura programmi pubblici di sicurezza alimentare per i paesi in via di sviluppo, perché conferma l’orientamento ideologico delle virtù salvifiche del libero commercio e del libero mercato che a sua volta pretende la specializzazione produttiva di ogni sistema agricolo nazionale. Cioè non considera la prova, storicamente consolidata, che solo la salvaguardia di sistemi agricoli nazionali differenziati garantisce la sicurezza alimentare e preserva l’ecosistema.
Un mercato agroalimentare globale controllato dalle multinazionali del settore e sottoposto ai vincoli della Banca mondiale, del FMI e del WTO non tranquillizza né i produttori europei e a maggior ragione quelli italiani, da sempre impegnati in produzioni di qualità tipicizzata, e chiamati a manifestare dalla Coldiretti e da altre associazioni dell’agricoltura.
Le preoccupazioni che serpeggiano nel modo agricolo devono ricevere risposte concrete dal governo, dalle Regioni e dall’Ue, pena l’affermazione dei vari movimenti populistici, antieuropeistici e antipolitici tipo Forconi che ricevono, oggi come ieri, solidarietà dal centrodestra, dalla destra, dalla Lega Nord come dal governo lombardo.
La Coldiretti giustamente denuncia le storture dell’agropirateria- le imitazioni, le usurpazioni, le evocazioni di marchi di qualità certificati- senza dimenticare il ruolo delle mafie nazionali e europee capaci di piegare e corrompere, con la collaborazione permanente di settori importanti dell’industria e degli apparati pubblici, i flussi della spesa pubblica e i controlli.
Sono stati accertati importazioni di spaghetti cinesi trasportati da camion ceco e diretti a Firenze, cagliate importate dalla Germania e da altri paesi vendute a industrie casearie italiane impegnate nella produzione di prodotti dop per le quali si possono usare solo prodotti locali come prescritto dalle leggi comunitarie. È impossibile citare quanto denunciato nel corso di questi anni su elusioni dei controlli, compiacenze di industrie e collusioni. Non si tratta di bloccare i flussi di commercio, ma di controllare che l’origine di ogni prodotto sia tracciabile. I pomodori cinesi devono essere individuabili sempre sino alla scatoletta affinché il consumatore sia in grado di acquistarlo consapevolmente. Altrettanto per i quarti di suino destinati a diventare prosciutti italiani, ma che, in tal caso, non potranno fregiarsi del marchio Dop.
Dopo il rispetto della certificazione d’origine rimane il problema della competitività dei vari sistemi produttivi. Se una serra olandese riscaldata con gas produce tre volte in più di una serra di siciliana, elio scaldata, diventa competitiva sicuramente sul piano quantitativo, meno sul piano qualitativo. Ma se il consumatore non conosce l’origine come farà a distinguere il prodotto? Sembra banale, ma il problema si riduce alla visibilità della qualità attraverso la corretta certificazione. Non è questione di lana caprina, riguarda il fatturato di centinaia di migliaia di aziende e il diritto dei cittadini di conoscere il processo produttivo di cosa mangiano e bevono. Tutto ciò va ribadito nelle sedi dove si decidono le scelte di politica agroalimentare. Per inciso, sarebbe stato più opportuno che la ministra nazionale dell’agricoltura fosse andata a Bruxelles e a Bali a battere i pugni sul tavolo per tutelare il sistema agroalimentare italiano che a manifestare al Brennero.
Il nostro sistema agroalimentare, nonostante il vuoto di politiche nazionali adeguate negli ultimi anni, mantiene un alto valore economico e d’immagine, oltre che sociale; alimenta un export pari a 34 mld di euro con 418 mila tn di prodotti; nel 2012, come documenta l’Ismea nel suo ultimo rapporto Qualivita di qualche giorno fa, ha visto crescere del 5,3% le denominazioni d’origine, Dop e Igp, del 2,1 % il fatturato di produzione, del 5% il consumo nazionale, del 4,6% l’export.
L’Italia si conferma leader mondiale nei prodotti certificati con 158 Dop, 101 Igp, con decine di Stg (specialità tradizionali garantite). In questo quadro, la Sicilia con le sue 26 Dop e Igp e decine di presidi Slow food rivela tutte le sue potenzialità produttive.
Che fare? Non bastano una o più manifestazioni ben riuscite per imporre al centro dell’attenzione politica una questione nodale dello sviluppo del paese. Occorre trovare forme di organizzazione unitarie più avanzate della filiera e della rappresentanza del mondo agricolo con tutte le sue imprese sia a conduzione capitalistica, sia diretta che contadina. Industriali, agricoltori, lavoratori dei campi, se uniti potranno difendere meglio le loro imprese, il loro lavoro e tutelare il buon diritto alla salute.
Solo la valorizzazione dei sistemi agricoli locali con la loro storia di differenze e tipicità potranno tutelare ambiente, paesaggio,cultura e prodotto interno lordo, sfuggire al rullo compressore di una globalizzazione delle multinazionali e a imporne una governance democratica, dei popoli e dei governi.
Vito Lo Monaco
Ultimi articoli
- La marcia del 1983, si rinnova la sfida alla mafia
- Bagheria, consiglio
aperto sulla “marcia” - La nuova Cortina
di ferro grande campo
di battaglia - La riforma agraria che mancò gli obiettivi / 2
- Mattarella, leggi
di svolta dall'incontro
con il Pci - Mattarella fermato
per le aperture al Pci - La legalità vero antidoto per la cultura mafiosa
- Natale, un po' di rabbia
e tanta speranza
nella cesta degli auguri - Lotte e sconfitte
nelle campagne siciliane
al tempo di Ovazza / 1 - La legge bavaglio imbriglia l'informazione