Il Porcellum e i pericoli della politica digitale

2 giugno 2013
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Ci risiamo! Come nelle precedenti occasioni, dopo un risultato elettorale d’incerta lettura, promessa un’approfondita analisi sulla mancata vittoria, la sinistra, anche stavolta, accantona tale impegno per dedicarsi alla “riforma istituzionale”quale panacea della sua crisi di rappresentanza della società italiana. Invece di affrontare la sua riforma e quella della Politica attribuisce ogni responsabilità al “Porcellum”, legge, comunque, da abrogare rapidamente. Tornano in auge, nel dibattito tra tanti campioni del mancato successo della sinistra nell’ultimo ventennio, la “vocazione maggioritaria”, il “sindaco d’Italia”, il semi o presidenzialismo tout court, il modello tedesco o francese o addirittura americano. Di fronte l’ondata antipolitica e antipartitica, la sinistra vacilla tra cedimento o arroccamento autoreferenziale, dividendosi tra chi vorrebbe “l’uomo solo al comando” e quelli che preferiscono la conflittualità permanente tra i capicorrente, piccoli e grandi. Gli iscritti, gli attivisti, gli elettori simpatizzanti potranno essere chiamati tutt’al più a dire un sì o un no con primarie o alla moda grillina tramite il web. Partecipazione fisica, non solo digitale, elaborazione dialettica collettiva sembrano ferri vecchi di una democrazia del passato. Quella del ventunesimo secolo s’incarna nei twitter e nei blog dei capicorrente o negli aspiranti a tale ruolo.

Riuscirà il Pd, rimasta unica forza politica mezza viva in un campo di caduti, in questo scenario a riportare alla partecipazione e al voto quei milioni d’italiani che vi hanno rinunciato? I risultati delle ultime amministrative (vedremo se saranno confermati nei ballottaggi e nelle amministrative siciliane di domenica prossima) dicono esattamente che l’elettorato di sinistra ha disertato di meno le urne rispetto a quello disilluso di destra e grillino, che ha perso un po’ del suo fascino illusorio.

In questi giorni la discussione, almeno nell’ambito del vertice politico perché nel paese reale è diverso, si è incentrata sull’urgenza della modifica costituzionale in senso presidenzialistico o sul miglioramento del suo assetto parlamentaristico con la riduzione del numero dei parlamentari, con la modifica del senato in camera delle autonomie ecc, ecc.

La discussione non è banale, ma, di fronte le emergenze sociali, sembra astratta. Sarà la riforma costituzionale, per la quale occorreranno almeno diciotto mesi, secondo il governo, a rispondere subito al paese con un Pil fermo da venticinque anni, come sostiene Banca Italia, con una disoccupazione giovanile al quarantuno per cento, con un gap di sviluppo e occupazionale per recuperare il quale, almeno al livello del 2007, secondo la Cgil occorrerebbero agli attuali ritmi ben sessantatré anni?

Occorre ricordare agli smemorati che nel 1922 la crisi del parlamentarismo liberale portò il fascismo al potere sulla base di una forte spinta dal basso che unificò fascismo rurale e classi medie urbane spaventate da una sinistra divisa in rivoluzionari e riformisti.

L’uomo solo al comando, oggi non sarebbe il Mussolini del ventunesimo secolo, ma segnerebbe il trionfo di un populismo moderno non meno pericoloso perché sprovvisto di contropoteri costituzionali altrettanto forti. Salvo non s’intenda stravolgere l’attuale assetto costituzionale di democrazia parlamentare!

A chi serve l’ulteriore svuotamento del Parlamento, già indebolito dalla frammentazione delle forze politiche di questi anni e dal tripolarismo odierno?

Il centrodestra sollecita l’adozione del presidenzialismo in coerenza logica con le sue radici culturali, ma la sinistra, sia di origine cattolica che laica e socialista, autrice dell’ingresso delle masse popolari nella politica e nella gestione dello Stato del Novecento, quale vantaggio ne trarrebbe?

L’elezione diretta del sindaco ha portato stabilità amministrativa, ma anche personalizzazione della politica e indebolimento del ruolo rappresentativo del consiglio comunale. Il comune è un organo di amministrazione diretta e vicina ai cittadini che facilmente possono verificarne la bontà. Gestire uno Stato e governare una Nazione sicuramente sono questione più complessa, soprattutto nello scenario europeo e mondiale attuale.

Alcuni indicano il modello francese, risposta gollista alla crisi coloniale degli anni cinquanta della Francia, altri quello americano caratterizzato dalla presenza di forti lobby finanziarie e di opinioni dotate di ampia autonomia. 

Immaginiamo per un momento che in Italia con uno dei sistemi costituzionali citati fosse eletto il nostro presidente della Repubblica, fosse Berlusconi, D’Alema, Rodotà, egli non sarebbe più di garanzia ma di parte e per di più senza contropoteri costituzionali di bilanciamento. Quale fine farebbe la nostra democrazia?  Contestualmente si sta discutendo, sempre al vertice del paese, in questo caso raccogliendo gli umori popolari, dell’eliminazione dell’attuale sistema di finanziamento dei partiti, finalmente!

Altra cosa, però, è progettare una democrazia senza partiti democratici, autonomi dai poteri forti, con bilanci  certificati e sostenuti dalla Stato e dagli iscritti e dai simpatizzanti, radicati nel territorio con circoli dove si riuniscono iscritti e elettori per contribuire all’elaborazione collettiva delle scelte politiche e di linea. Tutti i modelli di democrazia sinora conosciuti si reggono su partiti e sull’esistenza e riconoscimento dei corpi intermedi organizzati della società: sindacati, rappresentanze economiche, associazionismo e volontariato.

 La stessa democrazia del web, l’agorà digitale, ha già fallito nel momento in cui ha ridotto tutto a un clic per un sì o no su proposte e scelte che qualcuno ha deciso di sottoporre al referendum telematico accessibile ai pochi iniziati. La tecnologia può favorire la partecipazione se non si riduce a un referendum che cancella il confronto dialettico e la sintesi propria di organismi collettivi e democratici. La sinistra se vuole avere un futuro dovrà sciogliere il nodo della partecipazione nel ventunesimo secolo, senza imitazioni e inseguimenti delle mode effimere. Partecipazione della gente alla politica, ai diritti, al futuro di un mondo senza ingiustizia sociale e senza guerra che assicuri a tutti pari opportunità.

 di Vito Lo Monaco

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