Ciccio Renda, lo storico degli ultimi
Aveva invitato me ed altri pochi amici per l’8 maggio col proposito di discutere la ripubblicazione del suo libro “Sicilia e il Mediterraneo”. La riunione non si è potuta tenere per l’improvviso precipitare delle sue condizioni di salute. Dopo pochi giorni ci ha lasciato, a 91 anni. Fino all’ultimo continuò a lavorare come storico e a interessarsi della vicenda politica. Ad ASud’Europa ha concesso la sua ultima intervista, lo scorso 18 marzo, qualche settimana dopo il voto delle politiche di febbraio. L’intervista, raccolta da Maria Tuzzo, avvenne conversando anche con me.
La mia conoscenza con i coniugi Renda risale ai primi anni ’70. Giovane organizzatore della federazione del PCI di Palermo, per le giornate del tesseramento nella Provincia (allora 81 comuni) dovevo indicare alle compagne e ai compagni, dirigenti e attivisti in quali comuni andare a fare tesseramento con i dirigenti locali nelle domeniche programmate. Tra queste Antonietta Marino Renda, Anna Grasso, Maria Domina, Eros Manni, Lucia Mezzasalma, Lina Colajanni, Simona Mafai e tante e tanti altri tra i quali La Torre, Parisi, Mannino, Vizzini, De Pasquale. Renda in quel periodo era deputato regionale, noto come dirigente contadino, dei minatori, del movimento cooperativo e per la sua propensione agli studi storici. Aveva già pubblicato “La Sicilia del 1812”, “Risorgimento e classi popolari in Sicilia”, “Socialisti e cattolici in Sicilia”. Allora noi giovani comunisti guardavamo con grande rispetto e affetto quel gruppo di compagni che si erano formati nell’immediato dopoguerra in quella grande epopea del movimento contadino e operaio sotto la guida di leggendari dirigenti come Girolamo Li Causi, Pompeo Colajanni, Michele Sala e sotto il piombo della mafia e di Scelba. La stima era rivolta a tutti i compagni e le compagne, attivisti, dirigenti di sezione, di federazione, alcuni dei quali ascesi a cariche pubbliche importanti.
Per noi giovani, i Macaluso, i La Torre, i De Pasquale, i Cipolla, i Renda apparivano grandi dirigenti, li consideravamo forse un po’ troppo di destra (venivano così definiti i riformisti di allora all’interno del Pci), ma meritevoli di essere ascoltati per il loro comune grande impegno e sacrificio nella costruzione della democrazia repubblicana e dell’Autonomia siciliana. Perché Renda, così come gli altri, erano comunisti italiani “alla siciliana”. Cioè erano giovani venuti al Pci, al partito di massa della svolta di Salerno del 1944, erano cresciuti nell’ambito dell’elaborazione teorica e politica della “via italiana al socialismo”, di togliattiana memoria, e nel solco del pensiero gramsciano della “questione meridionale”. Erano comunisti che consideravano la scelta della democrazia come percorso obbligato per arrivare al socialismo, pur senza superare l’ancoraggio teorico e formale al leninismo (e allo stalinismo, almeno fino al 1956).
Nel Pci siciliano la battaglia per l’Autonomia, contro il separatismo e l’arretratezza, si identificò con la questione contadina e dei diritti del lavoro. Il Pci in Sicilia si radicò nelle campagne, meno nelle città, per la sua capacità di interpretare quel bisogno di centinaia di migliaia di contadini ansiosi di liberarsi dal giogo della fame e del sopruso. In quella lotta scoprirono, e svelarono, non sempre ascoltati, che la mafia era un fenomeno afferente alle classi dirigenti. Renda come gli altri non fece carriera politica parlando retoricamente di antimafia, ma combattendo e suscitando grandi movimenti di popolo contro la mafia. È merito anche loro se l’antimafia sociale e politica in Sicilia, più che in altre regioni, potrà vantare antiche radici di massa, risalenti all’Ottocento. La loro lezione è che l’antimafia o cammina sulle gambe e nella testa della gente (lavoratori, intellettuali, imprenditori) o non è.
Anche per questo Renda ebbe un occhio particolare per il Centro Studi Pio La Torre, dopo l’Istituto Gramsci di Palermo che lui aveva fondato, segretario del Pci siciliano Achille Occhetto. Con Pio La Torre Renda mantenne un legame politico e umano molto stretto e franco sin da quando lo conobbe nell’immediato dopoguerra. A Renda, La Torre chiederà la nota storica sulle origini della mafia che poi inserirà nella relazione di minoranza della Commissione Antimafia del 1976. Sarà La Torre nel gennaio del 1982 a chiedere a Renda, quando ritorna a fare il segretario regionale, di assumere la presidenza della Commissione Regionale di controllo del Pci. Sarà sempre Renda, che nel 2007, su mia richiesta a scrivere il primo saggio storico su Pio La Torre “Ricordi di una vita pubblica e privata”. Se oggi il tema affari, mafia, politica è attuale lo si deve anche al contributo di pensiero e di azione di uomini come Renda. La sua lunga e continua ricerca storica dell’identità moderna della Sicilia, dal Settecento a oggi, rimane il fondamento della sua vita di politico, dirigente di massa e di storico. Tra i tre momenti negli uomini come Renda non c’è mai stata scissione. L’unità tra pensiero e azione al servizio del bene comune - socialismo, democrazia, emancipazione contadina, del lavoro - è il loro lascito ideale. La loro utopia è ancora valida, la loro “necessità di ricerca della nostra vera identità andata smarrita nei mutamenti profondi verificatisi alla fine del secolo scorso” (Autobiografia politica, Renda), rimane, nel XXI secolo, anche la nostra.
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