Il socialismo di Podemos contagia l'Europa
“Claro che podemos” è lo slogan ottimista e persuasivo con il quale il nuovo partito Podemos, ha deciso di impostare la sua battaglia politica nella Spagna del governo di centro-destra. A me fa venire in mente, per contrasto, un recente articolo in cui lo storico Massimo Lucio Salvadori si è chiesto come possano gli elettori italiani scegliere tra offerte dei vari partiti che si presentano “sempre più come richiami meramente commerciali, dietro i quali sta un disarmante vuoto di elaborazione politico culturale”.
In realtà la “democrazia del pubblico all'italiana” come l'ha definita Ilvo Diamanti, ha offerto soluzioni centrate sul partito personale, in uno spazio della politica in cui si confrontano “partiti senza società e leader senza partiti... in rapporto diretto con il pubblico attraverso la televisione” o tramite il web come nel caso di Beppe Grillo. Non è un fenomeno solo italiano: il premio Nobel per l'economia Joseph E. Stiglitz ha sottolineato come negli Stati Uniti “le regole del gioco politico concedano a quanti si trovano in cima alla scala sociale di avvantaggiarsi direttamente delle decisioni politiche, impadronendosi di un ulteriore potere, oltre a quello economico. Il processo di costruzione delle decisioni rischia perciò di essere inquinato ed è necessario costruire una “democrazia più democratica”. L'economista americano è il principale sostenitore dell'idea che mentre per il 99% dei cittadini scivola verso condizioni sempre peggiori, “le cose stanno andando a gonfie vele per il primo 1% della società “. I termini della questione, nel dibattito in corso, sono i seguenti: ad una crescente disuguaglianza dei redditi e dei patrimoni (cfr. “Il Capitale nel XXI secolo” di T. Piketty) corrisponde un accentramento senza precedenti di potere nelle mani di una piccola minoranza, mentre l'offerta politica è diventata confusa e debole, dopo la fine dei grandi partiti che nel Novecento hanno rappresentato le grandi ideologie contrapposte. Nel caso italiano, ha ancora ragione Salvadori quando ricorda che “la sinistra uscita dalla dissoluzione del PCI (e del PSI, aggiungo io) nel 1992 ha un lungo e pesante debito non pagato in materia di cultura politica e quindi d'identità.”
Da questo vuoto ha tratto origine la fortuna di una personalità come Matteo Renzi, privo di un'identità ideologica e sostanzialmente portatore di un pragmatismo che tenta di intercettare le mutevoli percezioni di un paese profondamente sfiduciato, ripiegato in una quotidianità che ha terrore del futuro, sconcertato dalla corruzione pullulante. Renzi si avvantaggia della debolezza degli avversari: Grillo, che ha conquistato consensi inattesi parlando alla pancia degli italiani, sta misurando quanto ampia sia la distanza tra la politica e lo spettacolo; nel centro destra si sta consumando il lento declino politico di quel Silvio Berlusconi che ne è stato per un ventennio il padrone. Nel resto d'Europa la situazione appare variegata, ma in generale l'incapacità della politica di dare risposte all'inusitato prolungarsi della crisi sta mettendo in discussione molte tradizionali forme di rappresentanza. Neanche la Germania è in salute, nonostante le sue pretese egemoniche sul Vecchio Continente; ma e' soprattutto in paesi come la Francia e la Spagna che l'impianto tradizionale della sinistra, sia quella socialdemocratica che quel poco che resta della tradizione comunista, appare in crisi.
Torno a Podemos: la formazione politica nata dall'esperienza del movimento degli Indignados, si è recentemente strutturata in un originale forma-partito capace di tenere insieme la presenza sul territorio (1550 circoli) e l'utilizzo della Rete (il portale web ha 260.000 utenti) che, come ricorda ancora Diamanti, è stata “tra i fattori di successo delle mobilitazioni che hanno investito numerose aree, ben oltre l'Europa: gli Usa (Occupy wall street n.d.r.) e il Nord Africa”. Il nuovo partito spagnolo, centrato sulla figura di un giovane leader carismatico, il 36enne ricercatore dell'Università Complutense di Madrid Pablo Iglesias, non appare immune dalla personalizzazione della leadership, ma la utilizza in maniera originale. L 'impennata di Podemos è impressionante: dal 7,9% conquistato alle elezioni europee del maggio scorso, è accreditato oggi del 27% nelle intenzioni di voti; e in Spagna le elezioni politiche si svolgeranno alla fine del 2015. Molti lo paragonano a Syriza del greco Tsipras, cui certo assomiglia, ma con significative differenze individuabili nel documento economico pubblicato sul sito web del partito e redatto da due noti intellettuali spagnoli: Vicenç Navarro e Juan Torres. Iglesias e i suoi più stretti collaboratori si richiamano esplicitamente alla tradizione della sinistra marxista: il giovane leader ha militato in Izquerdia Unida, è uno studioso di Marx e di Gramsci (a me risulta incomprensibile la scomparsa dal dibattito italiano di Antonio Gramsci che è considerato un punto di riferimento fondamentale anche da Amartya Sen: segno del provincialismo cui siamo ridotti).
Il riferimento internazionale è alle esperienze dell'America Latina, in particolare Hugo Chavez e Evo Morales. Tuttavia Podemos, mettendo in valore la teoria del 99% contrapposto all'1%, accantona la concezione marxista delle classi e sceglie il popolo come riferimento. Infatti il 99% comprende la classe media (in progressivo impoverimento) e la piccola e media impresa, insomma il “popolo”. Tanto che il riferimento è all'unità dei cittadini, all'assemblea dei cittadini come perno di un nuovo progetto costituente e al “piano di riscatto dei cittadini” sul terreno economico. Una differenza notevole con il paradigma lavorista della socialdemocrazia europea che fa dire al ricercatore della Complutense, citando Norberto Bobbio, che le vecchie definizioni tra destra e sinistra non risultano ormai pienamente soddisfacenti. Si tratta di argomenti che in Italia ha tentato di introdurre – con minor chiarezza- “La maggioranza invisibile” scritto da Emanuele Ferragina, un trentenne studioso calabrese che insegna ad Oxford. La novità consiste nel fatto che in Spagna essi hanno dato vita ad un movimento politico che sembra destinato a crescente fortuna.
E' ora in corso un'evoluzione delle posizioni del partito: il programma presentato per le elezioni europee era sostanzialmente derivato dal movimento antiglobalizzazione e trovava diversi punti di contatto con le proposte del M5S: critica radicale ai partiti esistenti, forte polemica contro la casta, lotta alla corruzione, rifiuto dell'Europa dell'austerità, reddito minimo garantito generalizzato, e così via. Il documento Navarro-Torres, pur non sottovalutando nessuno di quei temi, presenta proposte innovative. Esso si articola su sette capitoli: recuperare l'economia, conquistare la libertà , conquistare l'eguaglianza, recuperare la fraternità, conquistare la sovranità, recuperare la terra, creare lavoro dignitoso nei paesi dell'Europa del Sud. La filosofia del documento è sintetizzata dalla bella espressione”attuare con realismo senza rinunciare ai sogni” che testimonia come si tratti di un vero programma di governo. Viene meno la richiesta di uscita dall'euro per insistere invece sulla riforma del funzionamento della moneta unica e sulla ristrutturazione negoziata del debito e si assumono come obiettivi prioritari la riduzione della disuguaglianza e le soluzioni per creare nuovo lavoro ed evitare la prospettiva di dieci o quindici anni di disoccupazione di massa (in Spagna il tasso di disoccupazione è al 24% e quello giovanile oltre il 50%).
La riforma dell'Unione dovrà prevedere anche l'introduzione di una tassazione sui movimenti di capitali all'interno e fuori dell'area euro e la creazione di un'Agenzia pubblica di rating. Sul terreno istituzionale, pur affidando ai cittadini, con lo strumento referendario, la decisione sulla delicata questione del separatismo della Catalogna e del Paese Basco, la scelta è per il federalismo. In economia si prevede un vasto programma di pubblicizzazione dei servizi pubblici essenziali, ma si rassicurano gli imprenditori rispetto a rischi di espropriazione, purché le imprese assumano responsabilità sociale. Il senso di realismo del documento consente di dare una risposta credibile al tema del reddito minimo che viene proposto non più come misura generale legata alla cittadinanza, ma come intervento a sostegno di coloro che non hanno altre forme di reddito. A ciò si aggiunge l'indicazione di interventi incisivi nella lotta contro la povertà e per l'inclusione sociale. L'appello alla sovranità popolare e l'obiettivo di “dissequestrare la democrazia” non chiariscono, a mio avviso, se si pensa ad un rilancio del ruolo dello stato nazionale o si punta invece, più opportunamente, sulla trasformazione in senso federale dell'Unione.
Non conosco la politica spagnola abbastanza da giudicare se la nuova offerta politica sottrarrà voti ad un PSOE in sofferenza o raccoglierà consensi trasversali. So però che si presenta come un'esperienza dotata di una robusta radice culturale e di proposte non demagogiche; con essa i socialisti spagnoli dovranno senza dubbio fare i conti. Astraendo per un momento dalla miseria della politica italiana, credo che i socialisti abbiano un ruolo decisivo per la costruzione di un'Europa democratica e socialmente coesa. Il socialismo, al quale mi sento di appartenere, necessita tuttavia di una profonda revisione di proposte politiche e strutture organizzative a livello europeo e nei singoli paesi: confrontarsi con esperienze come Podemos, che rompono gli schemi può fare solo bene.
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