Bindi rilancia la riforma dei beni confiscati: “Non devono fallire”
“Il settore dei beni confiscati non è a costo zero. Abbiamo l'esperienza necessaria per fare una revisione profonda e vera, ci siamo concentrati sul tema delle misure di prevenzione e confisca, siamo pronti a presentare un disegno di legge organico per fare una riforma su sequestro, confisca dei beni e misure di prevenzione”. Ad annunciarlo è stata la presidente della commissione nazionale antimafia, Rosy Bindi, durante il convegno 'Giustizia certa e veloce, lotta alle mafie, sviluppo, legalità e giustizia' organizzato dal Pd all'Hotel delle Palme di Palermo.
“Non possiamo permetterci fallimenti che creano più consenso alla mafia, né di tenere inutilizzato un intero patrimonio di beni e aziende. Va detto però - ha aggiunto - che questo settore non è a costo zero, se non si investe qualcosa, il ritorno non ci sarà mai. Occorre eliminare dal codice antimafia quell'impostazione del diritto fallimentare che tende a dare soddisfazione ai creditori. La misura di prevenzione della confisca ha l'obiettivo, invece, di rimettere il bene sul mercato. Il codice antimafia è stato approvato in modo frettoloso e va rivisto, come del resto l'Agenzia dei beni confiscati”.
“Nel caso delle imprese confiscate - ha aggiunto Bindi - occorre un piano industriale nel giro di 15 giorni, per questo è necessario affiancare un imprenditore sin dalle prime fasi. Se quel mafioso ha avuto quel bene è perché tutti, volenti o nolenti, hanno collaborato. Dal momento in cui lo sottraiamo al mafioso, tutti devono collaborare. E se le banche prima hanno finanziato, devono farlo anche dopo la confisca, che facciano la loro parte per rilanciare il bene”. Durante il convegno diversi sono stati i temi affrontati insieme a una serie di relatori che si è alternata tra mattina e pomeriggio all'Hotel delle Palme. Dalla riforma del processo penale alla futura nomina del procuratore capo di Palermo, dalla lotta al racket a quella nazionale ed europea nei confronti delle infiltrazioni mafiose, fino all'ultima operazione “Zefiro” che la mattina stessa del convegno ha colpito con 18 arresti il mandamento di Brancaccio.
“Spesso dopo le minacce nascono le convenienze – ha detto Bindi - questo è uno dei modi con cui le mafie continuano a essere padrone del territorio. C'era stato detto nelle audizioni precedenti che la mafia si stava insediando attraverso pizzo, usura e droga, però lo Stato, la magistratura e le forze dell'ordine sono presenti, come dimostra quest'ultima operazione. In questi 20 anni cosa nostra non è stata, purtroppo, definitivamente sconfitta ma sicuramente fortemente indebolita e di questo diamo atto alla magistratura e alla procura di Palermo per il lavoro straordinario.
Gli arresti di questa mattina dimostrano che la mafia non ha mai rinunciato alla presenza sul territorio e a colmare i vuoti che lo Stato lascia senza dare una risposta. Oggi non si parla più di cosa nostra come della mafia più potente del mondo, perché ha ceduto questo primato alla Ndrangheta - ha aggiunto Bindi - Ma da Palermo in questi 20 anni è fiorita una consapevolezza antimafia così forte che si è dilatata al resto d'Italia. Dove questo non si è verificato non è dipeso dalla magistratura ma perché non c'è stata un'analoga rivolta civile come a Palermo che per questo va ringraziata”.
E sul posto vacante alla procura di Palermo aggiunge. “Una sede come quella di Palermo non può restare senza un procuratore effettivo, ci auguriamo che il Csm faccia presto. D'altra parte non è l'unica nomina che il Csm dovrà fare nei prossimi mesi e non sarà l'unico problema che si troverà di fronte; nelle sedi giudiziarie ci saranno molti ruoli scoperti in virtù delle riforme del governo, sicuramente questo Csm avrà molto da fare”.
Su questo tema si è pronunciato anche il magistrato Leonardo Agueci, Procuratore Capo di Palermo: “Mi auguro che la scelta del nuovo procuratore di Palermo sia oculata e che punti all'uomo migliore, un uomo che possa impegnarsi per l'unità dell'ufficio. È giusto che sia vicino al processo sulla trattativa ma è giusto che sia vicino anche a tutti gli altri processi". Agueci ha poi smentito le voci di un clima teso all'interno della Procura: "L'ufficio di Palermo è un ufficio nel quale si discute, anche animatamente, ma credo anzi che questo sia uno dei momenti di maggiore coesione da quando mi trovo a Palermo. C'è stata una risposta delle istituzioni decisa sui pericoli registrati nei confronti del magistrato Di Matteo - ha aggiunto Agueci - non credo proprio si possa parlare di isolamento, anzi c'è una premura che dovrebbe avere maggiore continuità e non avere, invece, i caratteri di emergenza. L'allarme sulle minacce c'è da anni, ed è costante, dobbiamo solo cercare di rapportarci in modo permanente”.
Rassicurante la Bindi: “Abbiamo già convocato i magistrati che vedremo il 26 novembre. Sappiamo che tutti i dispositivi di sicurezza sono stati messi a disposizione ma non sottovalutiamo nessun allarme”. La presidente Bindi si è detta inoltre soddisfatta delle recenti modifiche al 416ter che regola il reato di voto di scambio: “Le modifiche vanno nel senso da noi auspicato – ha dichiarato - Nella dichiarazione di voto alla Camera avevo chiesto che avesse tutti gli strumenti investigativi e tutte le modalità degli altri reati di mafia e credo che questo sia stato fatto”. Con una puntualizzazione: “Non dimentichiamo che la commissione antimafia non è soltanto una commissione di inchiesta, ma anche un organo politico che ha il dovere di non interferire con il lavoro della magistratura. Il nostro lavoro di inchiesta non sarà mai un'altra sede giudiziaria. È esattamente in questo modo - ha aggiunto Bindi - che abbiamo impostato le due inchieste in corso, quella sul 41bis e quella sulla vicenda Italgas, la prima azienda pubblica in amministrazione giudiziaria”.
E sugli strumenti di prevenzione da mettere in campo, aggiunge: “Occorre una nuova coscienza civile europea per sconfiggere un fenomeno che vive benissimo dentro la globalizzazione. I martiri di questa terra non sono morti invano, però dobbiamo essere consapevoli di aver agito sempre sotto emergenza”. Con una strigliata finale alla politica e al Pd: “Dobbiamo uscire dalla logica della legislazione di settore perché non è più sufficiente nella lotta alle mafie, dobbiamo contrastare corruzione, evasione, infiltrazioni negli appalti – ha concluso Bindi - Il nostro mondo economico ha dimostrato di non essere impenetrabile.
C'è un certo modo di far politica che è già voto di scambio anche se non è un reato. Il partito politico dovrebbe arrivare prima del tribunale. La vera sfida alla mafia è la lotta alla zona grigia, anche se io ritengo che di fronte ad essa ci sia solo bianco e nero. Se il Pd vuole essere il primo partito del paese deve esserlo anche su questi temi. Chiamando per nome i governi di centrodestra in Italia sono stati fatti dei provvedimenti che hanno finito per indebolire un sistema complessivo e favorire alcuni. I mafiosi abitano il nostro mondo e hanno dimostrato di saperci stare utilizzando il commercio legale, come è successo a Roma dove con gli scontrini hanno riciclato denaro sporco tramite i circuiti legali”.
Tra i relatori al convegno anche il presidente del centro Pio La Torre, Vito Lo Monaco, che ha rilanciato la petizione sostenuta da Articolo 21 e Libera Informazione sulla piattaforma Change.org che chiede di istituire una procura europea antimafia sul modello italiano per il coordinamento di tutte le attività di contrasto; armonizzare le norme di incriminazione a livello europeo, uniformando le misure di contrasto dei reati di riciclaggio, autoriciclaggio, falso in bilancio e corruzione; istituire una commissione parlamentare speciale antimafia e anticorruzione. Il presidente Lo Monaco ha poi richiamato la politica alle proprie responsabilità: “Ogni tanto ci piacerebbe sentire anche un tweet dal premier Renzi con l'indicazione chiara di un crono programma sulle scelte politiche e amministrative precise che intende mettere in campo sulla lotta alla mafia, come l'autoriciclaggio o l'evasione fiscale e la corruzione.
Le leggi ci sono, ma manca la volontà politica”. Infine, un appello deciso: “Il parlamento legiferi sull'incandidabilita di chi è stato rinviato a giudizio: non possiamo rischiare di trovarci persone nel parlamento o nelle assemblee regionali che abbiano una macchia simile. Un partito ha l'obbligo di fare certe cose, non può delegare le associazioni o altri soggetti”. Su questo il deputato Pd in Commissione Parlamentare Antimafia, Laura Garavini, ha replicato rivendicando il successo dell'approvazione del 416ter come un segnale di attenzione del Pd sulla lotta alla mafia: “Abbiamo dovuto aspettare tre decenni per approvarlo, è stato uno dei primi provvedimenti di questo governo. Anche l'autoriciclaggio ha concluso il suo iter parlamentare alla Camera e si tende ad andare verso un'approvazione celere”.
Durante il convegno si è affrontato anche il tema della riforma del processo penale, al netto delle sue criticità: “Ci troviamo di fronte a un sistema penale debole, inefficiente e incapace di assicurare soddisfazione anche per la lunghezza dei suoi tempi. Nei 12 punti del governo Renzi si parlava di prescrizione, ora non se ne parla più, si parla invece delle ferie dei magistrati, ma questa è pura propaganda. Altri sono interventi veri e concreti che andrebbero fatti. Auspico una riforma del processo penale che assicuri un giusto processo, condotto da figure professionali e che possa rispondere a esigenze concrete di giustizia, con una durata ragionevole”. A dirlo è stato il magistrato Leonardo Agueci, Procuratore Capo di Palermo.
"Il permanere della prescrizione, soprattutto nei reati commessi dai colletti bianchi e contro la pubblica amministrazione, è un chiaro incentivo alla perdita del tempo, urta con i criteri di razionalità - ha aggiunto Agueci - e sui tempi incide anche la comunicazione delle notifiche che fa ormai parte di un sistema arcaico. Nel 50 per cento dei casi le notifiche, infatti, non sono regolari e ciò comporta rinvii del processo e disagi per tutte le parti. La notificazione deve avvenire attraverso canali informatici, così facendo si avrebbe un abbattimento drastico dei tempi di celebrazione del processo; è impensabile che nell'epoca della comunicazione in tempo reale ciò avvenga ancora".
Infine, il procuratore si è pronunciato sui "clamorosi casi di attualità con sentenze di appello che hanno ribaltato la sentenza di primo grado". "Mi chiedo se sia giusto - ha proseguito Agueci - che la sentenza di appello prevalga su quella di primo grado. Il giudizio di primo grado si basa sull'oralità, le prove vengono raccolte in dibattimento e il collegio giudicante si forma un proprio convincimento sulla base delle prove portate dal vivo. Il giudizio di appello si basa, invece, salvo casi eccezionali, soltanto sulle carte: difficile ricostruire attraverso la sola lettura di faldoni di carte il clima che aveva colto invece il giudice di primo grado. Siamo sicuri che, benché il sistema stabilisca questo, sia più giusta la sentenza di appello? Anche questo è un ulteriore macigno sui tempi del processo".
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