La buona economia non può più aspettare
Il sindacato dei lavoratori agricoli della Cgil promuove dalla Sicilia la sottoscrizione di un ddl d’iniziativa popolare con l’obiettivo di recuperare alla produzione terre abbandonate e non più coltivate. In Italia, in questi ultimi decenni, oltre cinque milioni di ettari di SAU (Superficie Agricola Utilizzata)sono andati perduti. Recuperarle all’uso produttivo e ambientale accrescerebbe il PIL. Si tratta di aree agricole, non sempre marginali, di montagna, collina e pianura. Non sono solo piccoli appezzamenti privati, ma anche aree boschive pubbliche e private, vigneti colpiti da siccità o da peronospora, agrumeti della Piana di Catania affetti dal virus della tristezza, serre dismesse. La Cgil non pensa, come settanta anni fa, di mobilitare masse di contadini affamati che allora rivendicarono il superamento del latifondo e dell’ordine sociale e politico costruito su di esso. La Riforma agraria del cinquanta spezzò il latifondo, ma di fronte all’impetuosa crescita del capitalismo industriale del Centro Nord e dell’Europa, che diede lavoro a centinaia di migliaia di braccianti e contadini trasformandoli in operai della catena di montaggio, non fu accompagnata da quelle politiche di ammodernamento del sistema agroalimentare per stare al passo di quelle industriali.
Nobile scopo quello del sindacato da sostenere e comunque da approfondire anche per i delicati problemi giuridici che solleva sui diritti di proprietà e sulle disponibilità di capitali da investire. Doppiamente nobile perché si pone l’obiettivo di promuovere e facilitare il ritorno dei giovani in agricoltura, salvaguardare e tutelare l’ambiente sia con il restauro conservativo che produttivo. Nobile ma difficile soprattutto per l’oggettiva difficoltà di fare emergere tali temi nello scontro attuale tra mondo del lavoro e governo sulla tutela dei diritti e dell’occupazione.
Eppure la via d’uscita dalla crisi, per forza, deve essere articolata su diversi piani.
Il recupero programmato nel tempo di cinque milioni di ettari di SAU creerebbe una possibilità in più soprattutto per i giovani, considerata l’alta età media degli addetti in agricoltura.
Un altro tema particolare è quello dei beni confiscati alle mafie. Gli articoli di Ambra Drago e degli esperti pubblicati su questo numero illuminano la complessità dei ritardi che le buone parole di speranza del Ministro e Direttore dell’Agenzia non oscurano.
Fino a quando non saranno superati gli ostacoli procedurali affinché, sin dal sequestro del bene provento di reato, si passi direttamente a una gestione giudiziaria senza alcuna interruzione di produzione fino alla confisca e assegnazione definitiva, avremo incongruenze come quelle dell’alto numero di chiusure e fallimenti soprattutto di aziende.
Ci sono due altre questioni sulle quali insistiamo: la prima, il piano industriale sia dell’amministratore giudiziario che dell’Agenzia dei beni confiscati deve coinvolgere in una cabina di regia sindacati, associazioni d’imprese e antimafia che non abbiano interessi diretti nella gestione del bene; la seconda, dal FUG (Fondo Unico Giustizia) dove confluiscono i capitali sequestrati , va alimentato un Fondo di Rotazione Fideiussorio per le cooperative o enti pubblici che gestiscono beni sequestrati e confiscati. Il ritorno alla legalità d’imprese mafiose sequestrate ha un costo che va affrontato. Dopo aver fatto tutti i tentativi di rilancio produttivo legale solo allora si valuterà se vendere o chiudere l’azienda.
Anche per questo tema vale quanto detto sopra: c’è l’agibilità politica perché il Governo, nella sua massima espressione e collegialità, consideri -conflitto d’interessi, incandidabilità degli indagati per mafia o corruzione, riciclaggio, autoriciclaggio, armonizzazione della legislazione antimafia a livello europeo- temi centrali per colpire quel 10% di PIL in mano ai gruppi politicomafiosi?
Siamo ansiosi di conoscere l’opinione del Presidente del Consiglio, perché quella dei ministri Alfano e Orlando, della Presidente della Commissione Antimafia Bindi c’è nota anche nelle diverse sfumature.
Inoltre va rivisitato il Codice antimafia soprattutto per eliminare l’incongruenza tra i tempi brevi della prescrizione (andrebbero sospesi al momento del rinvio a giudizio) e quelli lunghi del processo. Infine va estesa l’aggravante mafiosa alla luce delle difficoltà interpretative soprattutto in alcuni processi al Nord per l’identificazione dell’associazione di stampo mafioso.
Non mancheranno a breve occasioni per discutere. A giorni avverrà il lancio della petizione proposta dal Centro Studi La Torre per un’armonizzazione della legislatura antimafia a livello dell’UE; in settimana il Gruppo Pd della Camera terrà un’iniziativa per riflettere sull’applicazione della legislazione antimafia a vent’anni dalle stragi. Infine, non per ultimo il forte monito di Visco Presidente di Banca Italia sul pesante condizionamento dell’economia mafiosa sulla crescita del paese. A suo parere senza la presenza delle mafie, gli investimenti esteri in Italia sarebbero stati notevolmente superiori. Che aspettiamo?
Ultimi articoli
- La marcia del 1983, si rinnova la sfida alla mafia
- Bagheria, consiglio
aperto sulla “marcia” - La nuova Cortina
di ferro grande campo
di battaglia - La riforma agraria che mancò gli obiettivi / 2
- Mattarella, leggi
di svolta dall'incontro
con il Pci - Mattarella fermato
per le aperture al Pci - La legalità vero antidoto per la cultura mafiosa
- Natale, un po' di rabbia
e tanta speranza
nella cesta degli auguri - Lotte e sconfitte
nelle campagne siciliane
al tempo di Ovazza / 1 - La legge bavaglio imbriglia l'informazione