La voglia di investire in Sicilia
Si è svolta a Palermo il 20 ottobre l'audizione del osservatorio mercato interno del CESE (Comitato Economico Sociale Europeo) dedicata alla Sicilia in Europa , con particolare riferimento al funzionamento del mercato unico nelle regioni periferiche e nelle isole. Il CESE costituisce uno strumento privilegiato di consultazione, dialogo e consenso tra i rappresentanti della “società civile organizzata” che include datori di lavoro, sindacalisti, organizzazioni di categoria, organizzazioni giovanili, associazioni delle donne, rappresentanti dei consumatori, organizzazioni per la tutela dell'ambiente, ecc.
Un uditorio qualificato proveniente da diversi paesi dell'Unione che, pur affascinato dal patrimonio culturale di palazzo dei Normanni (con un senso di sottile rivincita ho notato gli sguardi ammirati nel corso della visita alla magnifica cappella Palatina, alla fine della mattinata di lavori) non ha risparmiato attenzione e commenti anche critici alla situazione dell'isola. Non sufficientemente numerosa, purtroppo la partecipazione degli stakeholders siciliani, come in linguaggio europeo si definiscono i portatori di interessi nell'economia e nella società di una determinata area.
Ho avuto il piacere di svolgere una delle relazioni: la propongo ai lettori non per eccesso di narcisismo, ma nella convinzione che se ne possa trarre qualche elemento utile alla riflessione che insieme stiamo conducendo sul presente e sul futuro della Sicilia.
“Mi propongo di fornire un breve contributo alla discussione dal punto di vista di un'organizzazione sindacale che rappresenta il lavoro dipendente, ma ha enorme attenzione alle questioni dello sviluppo, della coesione sociale della salvaguardia e del rafforzamento del modello sociale europeo. E' significativo che il CESE abbia scelto la Sicilia per questa audizione : con una superficie di 25,800 chilometri quadrati e quasi 5 milioni di abitanti essa è la più grande isola del Mediterraneo e, perciò un punto di osservazione fondamentale di quanto sta avvenendo sul piano economico e sociale nell'Europa del Sud.
La crisi economica e finanziaria che dura ormai dalla fine del 2007 ha profondamente indebolito il tessuto economico dell'isola e ne ha messo in discussione la coesione sociale: è di appena qualche giorno fa il dato che ben 500.000 giovani siciliani tra i 15 e i 34 anni (il 42,7% della popolazione di quella fascia d'età sono NEET, cioè non studiano, non sono in formazione, non hanno un lavoro. Non sono soltanto i giovani a trovarsi in difficoltà. Il tasso di disoccupazione esplicita è al 18,6% , ma il tasso di disoccupazione corretto che tiene conto della disoccupazione esplicita, di quella implicita e della cassa integrazione guadagni ascende addirittura al 32,8%.
Secondo dati Svimez (istituto per lo sviluppo del Mezzogiorno) la perdita cumulata di PIL regionale 2008-2012 è pari al11,1% a fronte del 6,9% dell'Italia. Si è verificato un processo di desertificazione industriale: la quota del settore manifatturiero sul valore aggiunto regionale è passata nel giro di cinque anni dall'8,1% al 6,3%, valori ben lontani dal 18,7% del Centro Nord e dal 20% auspicato dalla Commissione Europea al 2020 per i paesi dell'Unione ( Riccardo Padovani, Svimez 2013).
Vale ancor di più per quest'isola, quindi, quanto affermato dal Cese nel 2013 relativamente alle défaillances che il mercato unico ha subito per non avere pienamente sviluppato il suo potenziale nei confronti degli stakeholders, dall'impresa, ai lavoratori, ai consumatori, ai cittadini. Anzi per quanto riguarda la Sicilia, il prolungarsi della crisi ha prodotto un massiccio incremento della disoccupazione e la chiusura di molte imprese.
Qualche giorno fa, l'Associazione di rappresentanza dei costruttori edili ha denunciato che il fermo pluriennale delle opere pubbliche e delle costruzioni private, ha prodotto nel settore oltre 80.000 disoccupati; Cgil-Cisl_Uil, le maggiori organizzazioni sindacali italiane- hanno posto con forza, anche attraverso mobilitazioni di massa, la necessità di interventi urgenti per far ripartire l'economia e dare risposta ai problemi occupazionali ogni giorno più gravi.
L'Atto II per il mercato unico comprende , com'è noto, alcune azioni prioritarie tra le quali appaiono di particolare importanza per la Sicilia quelle che riguardano l'integrazione e l'apertura delle reti di trasporto ferroviario, il miglioramento del trasporto marittimo, l'economia digitale, la mobilitazioni dei fondi d'investimento per le imprese private e i progetti a lungo termine. Si tratta di obiettivi per il cui conseguimento l'isola presenta un notevole ritardo sulla media europea, ma anche sui dati nazionali italiani.
Per esempio, il trasporto ferroviario nell'isola è stato colpevolmente abbandonato dalla Holding Ferrovie dello Stato: il corridoio europeo Helsinky – la Valletta deve fare i conti con una rete ferroviaria che nella regione si presenta oggi addirittura ridimensionata, in termini di tempi di percorribilità e di qualità del servizio rispetto a cinquant'anni fa. E' stato firmato a febbraio 2013 un contratto istituzionale di sviluppo per la realizzazione di una linea con caratteristiche moderne tra Messina- Catania e Palermo, riconfermata nel decreto del governo cosiddetto “Sblocca-Italia”, ma dei cantieri non v'è traccia.
Il percorso tra Catania e Palermo, 241 chilometri, è attualmente percorso (se qualcuno ne ha voglia, può controllare gli orari sul sito Trenitalia) in 4ore e 54 minuti, da Palermo a Messina, 224 chilometri, il treno più veloce impiega 2ore 55 minuti. I collegamenti veloci sono assicurati solo via autostrada da aziende di trasporto che che agiscono in regime di concessione. Come si fa, in simili condizioni, a garantire i principi basilari della concorrenza, di qualità del servizio e di tutela dei consumatori che sono alla base del mercato unico? Ritardi consistenti si registrano anche nell'attuazione dell'agenda digitale, comuni per la verità all'intero Mezzogiorno d'Italia.
Secondo Opencoesione, il sito pubblico che monitora la spesa per gli investimenti destinati allo sviluppo, in Sicilia sono disponibili risorse pari a oltre 446 milioni di euro (che rappresenta un finanziamento pubblico pro-capite di 150,54 euro, a fronte di una media nazionale di 45,97 euro), ma sono stati effettuati pagamenti solo per 317,2 milioni. Il grado di diffusione di Internet nelle famiglie siciliane ha raggiunto nel 2013 il 50%, ma resta di almeno quattro punti al disotto della media nazionale. La programmazione del ciclo 2014-2020 dei fondi strutturali europei punta esplicitamente alla diffusione della banda larga ed a avviare il processo di sviluppo della banda ultralarga nell'ambito della strategia di specializzazione intelligente e delle smart cities.
Realizzare tali obiettivi è indispensabile su tre terreni: migliorare la qualità dei servizi ai cittadini, garantire una maggiore efficienza della pubblica amministrazione e- ultimo ma altrettanto (e forse più) importante- creare nuova occupazione qualificata soprattutto per i giovani diplomati ne laureati. Prima di concludere, mi sia consentito un breve riferimento alle problematiche dell'agricoltura. In questo comparto una delle questioni aperta è conseguenza della creazione da parte dell'Unione della nuova disciplina sul contributo unico; la maggior parte degli interventi riguardano la zootecnia e l'Italia nel suo insieme è stata considerata un'unica regione.
Il punto è che il contributo va solo alle aziende i cui capi di bestiame sono iscritti all'apposito albo genealogico. Ciò esclude la gran parte degli allevamenti siciliani. Altre distorsioni derivano dal fatto che le normative comunitarie sugli aiuti agricoli non finanziano le piccole aziende; ciò penalizza una realtà di impresa agricola che è invece fortemente vocata alla qualità; in particolare in settori come il vino, l'agrumeto specializzato, l'ortofrutta. La Sicilia vive la contraddizione di avere un consumo interno tre volte superiore alla produzione regionale.
Le normative attuali sulla certificazione d'origine e sulla tracciabilità del ciclo non consentono di salvaguardare il prodotto siciliano di qualità che si trova esposto alla concorrenza di prodotto non certificabili; in queste condizioni la lotta alla contraffazione, specialmente alimentare, produce scarsi effetti pratici. Naturalmente tale situazione indebolisce anche il finanziamento della ricerca scientifica e tecnologica essenziali per un'agricoltura di qualità. Termino con alcune brevissime osservazioni sulla dimensione sociale del mercato unico e sulla necessità di garantire servizi pubblici di alta qualità ed economicamente accessibili, che sono però messi seriamente in discussione dai crescenti squilibri finanziari della Regione e dei principali enti locali.
Si va affermando la giusta convinzione il libero mercato non sia in grado di correggere i suoi comportamenti disfunzionali e che sia indispensabile l'intervento pubblico teso a tutelare i diritti sociali delle lavoratrici e dei lavoratori e a individuare misure concrete per combattere la povertà che sta rapidamente crescendo anche in Sicilia. Occorre impedire che vengano smantellati i diritti sociali che sono stati conquistati a livello nazionale, garantendo uno spazio adeguato ai sindacati ed ai lavoratori per difendere gli interessi collettivi e tutelare i diritti, in primo luogo il diritto di sciopero e la lotta al dumping salariale e contrattuale potenzialmente connessi al distacco dei lavoratori da un paese all'altro all'interno dell'Unione.
Gli obiettivi di crescita sostenibile delineati dalla Strategia europea 2020 cozzano con le politiche attuali dell'Unione: l'obiettivo fissato dall'articolo 3 TUE (trattato Unione Europea) di “un'economia sociale di mercato fortemente competitiva che mira alla piena occupazione e al progresso sociale viene inficiato dall'ostinazione delle istituzioni europee nell'insistere in scelte di rigore assolutamente inadeguate a fare uscire l'Europa dalla più lunga e grave crisi del dopoguerra. Sarà dirimente, da questo punto di vista, capire quali saranno le scelte della Commissione presieduta da Juncker che si insedierà il 1 novembre.
La Sicilia ha tutto l'interesse a valorizzare questa ed altre occasioni di interlocuzione con un organismo come il CESE che rappresenta l'interfaccia tra le istituzioni europee e gli stakeholders del mondo del lavoro e dell'impresa anche per uscire dalla condizione di autoreferenzialità alla quale il dibattito, spesso asfittico, tra le forze politiche regionali sembra averla condannata.”
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