L’esercito dei rassegnati preda del potere condizionante mafioso
20 ottobre 2014
Dal Bilancio sociale 2014 dell’Inps (su cui scrive in questo numero Franco Garufi) e dalla puntuale relazione semestrale al Parlamento della DIA (della quale riferisce Giorgio Vaiana) emerge un quadro a fosche tinte del Paese. Gli unici indici di crescita riguardano i nuovi poveri, la disoccupazione generale con punte mai viste per quella giovanile, la proliferazione delle attività delle mafie, nonostante una repressione sempre più efficace e la disperazione sociale. Soprattutto tra i giovani. Solo in Sicilia ci sono cinquecentomila giovani dai 18 ai 34 anni, quasi il 10% della popolazione siciliana, rassegnati (Neet), cioè che non studiano, non lavorano e hanno smesso di cercare un lavoro. Fino a quando tutto ciò non esploderà, scuotendo l’indifferenza del Potere?
Infatti, il quadro politico siciliano sembra lontano anni luce dalla tragedia che vive la società e il dibattito tra i partiti (di governo e di opposizione) e al loro interno appare più concentrato sui reciproci spazi di potere da difendere o da conquistare che impegnato a rimuovere le cause remote e prossime del fenomeno.
Quei cinquecentomila giovani rassegnati dovrebbero essere l’argomento quotidiano del dibattito politico e dell’azione dei partiti e dei governi. Invece, finora non è stato così.
Tutti quei giovani senza alcuna protezione sociale, assieme al precariato, ai cassintegrati, ai nuovi licenziati, sconvolgono il quadro di riferimento della crisi.
Come recuperare tante energie umane rassegnate a una visione positiva e fattiva
della vita? Renzi col suo Piano del lavoro (Job Act) tenta comunque di prospettare una linea d’azione, peraltro discussa e discutibile in molti suoi aspetti, ma alle forze politiche siciliane non
sembra urgente confrontarsi con tali scelte né elaborare un piano d’intervento regionale.
È vero che tra buchi di bilancio, resistenze burocratiche e politiche (basta soffermarsi per un attimo su quelle registrate contro ogni proposito di riforma – dalla formazione alla lotta agli sprechi nella spesa pubblica e ai privilegi) è difficile governare e anche bene.
Non ci interessano né ci appassionano le polemiche personali tra i politici, ma preferiremmo che essi volgessero la loro vis polemica alla soluzione dei problemi della gente.
Tra i pochi che si avvantaggiano della crisi ci sono le mafie. Nonostante i successi del contrasto delle forze dell’ordine e della giustizia, la relazione semestrale della DIA, pienamente condivisibile, conferma e documenta, quanto sosteniamo politicamente da tempo, che sono cresciuti, grazie alla corruzione, “ il condizionamento (da parte delle mafie) della res publica per la convergenza di obiettivi tra organizzazioni criminali e l’area grigia di taluni contesti amministrativi, politici, imprenditoriali e finanziari; la capacità di scalare aziende in difficoltà; di introdursi in settori economici tradizionali e innovativi; di acquisire consenso sociale con l’offerta di posti di lavoro, di credito mafioso a soggetti e imprese in crisi di liquidità; di insediarsi nelle aree più ricche del paese e dell’Ue”. C’è una correlazione tra il maggior numero di rassegnati in Sicilia e il rinnovato potere condizionante della corruzione e della mafia? Naturalmente difficile provare una relazione diretta, ma non è lontana dal vero la tesi che il condizionamento sullo sviluppo del Meridione dei due fenomeni appaiati è storicamente conclamata.
Il suo maggior ritardo di sviluppo storicamente è dovuto alla loro presenza come confermano i dati relativi anche alle aree più ricche del Nord dove le mafie e il sistema corruttivo si sono insediati nell’ultimo quarantennio. Dal comune di Misilmeri, come da tanti altri sciolti per mafia al Sud come nel Centro Nord, all’Expo di Milano corre un lungo e pericoloso filo che minaccia lo sviluppo, i diritti e la democrazia.
Probabilmente a molti giovani che rifiutano di fare i pusher, di ricercare una raccomandazione anche per un’umile occupazione, la rassegnazione diventa l’ultima spiaggia per rimanere onesti e vicino ai propri familiari (fino a quando questi saranno in condizione di assicurare loro un sostegno?). Proseguendo su questa traccia di analisi pessimista c’è il pericolo che si escluda qualsiasi possibilità di cambiamento. Noi, invece, rimaniamo convinti che esso s’imporrà dal momento in cui, preso atto del fallimento storico di un’intera classe dirigente, i siciliani decideranno, senza attendere un salvatore della patria, di darsene un’altra e migliore.
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