La tragedia dei giovani siciliani
Il Bilancio sociale dell'INPS presentato a Roma il 14 ottobre presenta molti aspetti che meritano di essere esaminati con attenzione ed offre una rappresentazione realistica della situazione di estrema difficoltà che l'Italia vive ormai da quasi un decennio. Mi soffermo sul capitolo dedicato all'occupazione giovanile, che è l'emergenza tra le emergenze. I dati non lasciano dubbi. Negli ultimi cinque anni il tasso di disoccupazione giovanile nel paese è raddoppiato passando dal 21,3% del 2008 al 42,4%, mentre hanno assunto dimensioni rilevanti la platea di quanti lavorano in condizioni di precarietà e i cosiddetti working poors, ovvero dei lavoratori a basso salario.
L'Italia è in ritardo rispetto all'Europa: il rapporto Eurostat “Labour market policy- expediture and participants” sottolinea che le risorse pubbliche destinate alle politiche per il mercato del lavoro ammontano a solo l'1,7% del PIL, contro la media UE-15 del 2,0%. La Francia destina a queste politiche il 2.,4% del PIL, la Spagna il 3,6%, la Germania mostra una spesa percentuale simile all'Italia (1,8%) ma investe proporzionalmente molto di più in politiche attive che in ammortizzatori sociali.
Nel nostro paese le risorse impegnate per l'indennità di disoccupazione, cassa integrazione, incentivi all'esodo e misure simili toccano l'80%, contro il 55,0% della Germania e il 60% della Francia. Ai servizi di orientamento all'occupazione, riconducibili ai Centri per l'impiego, viene invece destinato dall'Italia solo l'1,9% della spesa contro il 10,0% della Francia e il 18,8% della Germania (media UE pari all'11,0%). (cfr.: INPS Bilancio sociale 2013, pagg. 80-81).
Il rapporto sulla coesione sociale 2013, altro prezioso contributo dell'Inps alla conoscenza della struttura economica e sociale del paese, mette in evidenza la diminuzione di 1,3% rispetto all'anno precedente dei lavoratori a tempo indeterminato, ma soprattutto che “nel periodo 2010-2013 il peso dei giovani rispetto al complesso dei lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato è passato dal 16,8% al 14,0%” , ma nel Sud e nelle isole la diminuzione è stata assai più marcata, rispettivamente del -2,2% e del 3,2% (pag.14).
Se ne ricava, a mio avviso, che il nodo vero dei ritardi nella gestione del nostro mercato del lavoro riguarda la debolezza delle politiche attive, l'insieme di azioni che mirano a promuovere l'accesso al mercato del lavoro e sono rivolte in particolare ai soggetti svantaggiati. Di flessibilità, invece, ce n'è forse più di quella che servirebbe e troppo spesso essa tracima nella precarietà; a dimostrazione, ancora una volta, del carattere strumentale delle proposte del presidente del Consiglio Matteo Renzi sull'abolizione dell'art,18 dello statuto dei Lavoratori e dell'inadeguatezza del cosiddetto job-act che invece si concentra sull'ulteriore flessibilizzazione e precarizzazione dei rapporti di lavoro.
Colpisce nel bilancio sociale, un dato che riguarda la Sicilia: la quota di giovani siciliani compresi tra i 15 e i 34 anni appartenenti ai cosiddetti NEET (Not in Education Employement Training, cioè che non studiano a scuola o in percorsi di formazione professionale e non lavorano) tocca nel 2013 il picco del 42.7% rispetto al dato medio italiano del 27,3%. La cifra è eclatante e mi ha indotto ad alcune verifiche, che purtroppo la confermano. Per esempio, il Rapporto Censis 2012, riferito alla fascia d'età 15-29 anni, appare coerente, considerata anche la maggiore ristrettezza della fascia d'età considerata: 35,7% a fronte di una media nazionale del 18,8%.
Per capire le dimensioni del fenomeno, mi siano consentiti alcuni riferimenti statistici. I giovani NEET in Italia sono circa 2,1 milioni di cui 938.000 maschi, 1,17 milioni femmine, di essi 1,2 milioni nel Mezzogiorno (nel Nord sono 660.000). Il 38% ha un'età compresa tra i 20 e i 24 anni (800.000) e il 14% è di nazionalità straniera. Il 46% ha al più la licenza media, il 34% sono disoccupati, il 30% sono inattivi scoraggiati.. Se si incrociano queste cifre con quelle della propensione educativa delle giovani generazioni, la situazione emerge nella sua drammaticità. Tra i 18 e i 24 anni, coloro che non partecipano ad alcuna attività di formazione sono circa 800.000, di cui 335.000 occupati e 150.000 disoccupati. Decisamente molto elevato il fenomeno dell'abbandono prematuro degli studi che interessa circa 800.000 giovani tra i 18 e i 24 anni pari al 18% del totale (Inps Rapporto coesione 2013 pag.30).
Secondo l'Istat, la popolazione siciliana nella fascia d'età tra i 15 e i 34 anni assomma a circa 1 milione 230mila persone; il 42,7% di questa cifra è pari ad oltre 500.000 unità. In Sicilia risiede, perciò, il 40% dei NEET dell'intero Mezzogiorno. Quasi metà delle giovani donne e dei giovani uomini, delle ragazze e dei ragazzi nate tra l'inizio degli anni ottanta e la fine dello scorso millennio non studia, non viene formata professionalmente, appare esclusa dalla prospettiva del lavoro: è una tragedia sociale tra le più grandi che la Sicilia abbia mai conosciuto.
Esiste nella politica la consapevolezza della dimensione enorme della questione? Quali risposte è possibile dare nell'immediato e con quali speranze di invertire in modo significativo la tendenza? Lascio ai paroliberisti e ai demagoghi le risposte miracolose: possono servire al massimo per lo spazio di una campagna elettorale o per guadagnarsi qualche passaggio in televisione. Solo attraverso scelte politiche coraggiose e azioni coerenti, supportate da una tastiera di strumenti tecnici sarà possibile affrontare il problema. Ma la precondizione da cui tutto dipende è che i governanti, i soggetti politici e le forze economiche e sociali dell'isola si convincano che i paradigmi tradizionali sono inutilizzabili e che dalla soluzione di questa catastrofe sociale passa il futuro dell'isola. Il primo strumento è il rilancio dell'istruzione. e della conoscenza.
Ragazze e ragazzi vanno riportati a scuola: il tasso di dispersione scolastica è da noi più alto della media nazionale e la crisi porta molte famiglie a trascurare il valore dell'investimento sull'istruzione. Perciò la lotta senza quartiere all'abbandono scolastico precoce è la prima delle risposte essenziali e su di essa va concentrata una quota rilevante delle risorse regionali e nazionali del prossimo ciclo di programmazione dei fondi strutturali europei. Di università si parla poco, ma essa costituisce uno dei punti di maggior debolezza perché si è bloccato l'ascensore sociale che per molti anni ha legato il conseguimento della laurea alle prospettive occupazionali.
La laurea e i titoli post-laurea sono ormai diventati un ostacolo a trovar lavoro nella realtà dove si è nati e cresciuti: la Svimez stima (2011) al 23,7% la quota di emigranti dall'isola in possesso della laurea. Creare lavoro produttivo per le alte qualificazioni significa rilanciare l'idea di una Sicilia che punti sulla fascia alta dello sviluppo, individuando le vocazioni territoriali e attirando investimenti nazionali e stranieri. Si tratta, naturalmente di prospettive di medio periodo, legate al rilancio di una politica industriale nazionale che guardi al Mezzogiorno come all'area territoriale da privilegiare nel dopo crisi: penso all'agenda digitale, all'agroalimentare di qualità, allo sviluppo delle eccellenze nei settori elettronico e biomedicale, all'inserimento nel mercato mondiale del turismo dell'immenso patrimonio archeologico, monumentale ed artistico.
Penso anche al rilancio dell'ancora valida idea di Romano Prodi di utilizzare il Mezzogiorno come polo della portualità e della logistica in un Mediterraneo uscito dalla marginalità nei traffici mondiali cui lo aveva condannato la scoperta dell'America. Cina e Turchia stanno realizzando una nuova “via della seta” che ha come primo elemento la realizzazione da parte dei cinesi dell'alta velocità ferroviaria in territorio turco (cfr. Radio Cina Internazionale in italiano 11/4/2014): sarà una novità senza importanza per il Mediterraneo e per la sua isola maggiore? Tali sono le scommesse future che potranno evitare la condanna dei giovani di oggi a vivere una vita peggiore e più povera della nostra.
Perché questi obiettivi escano dal libro dei sogni, ci vuole la POLITICA che oggi purtroppo si occupa d'altro. Comprendo che simili prospettive di lungo periodo sembrino lontane dalle emergenze quotidiane, ma non si costruisce il futuro se si continua a star con la testa girata all'indietro, altrimenti si finisce per occuparsi solo del click-day e della stabilizzazione dei precari pluridecennali. Nell'immediato vanno rilanciate le politiche attive del lavoro, in cui la Regione brilla per i ritardi e le scelte contraddittorie.
Dal Rapporto Inps sulla coesione si evince, per esempio, che per quanto riguarda l'apprendistato, per esempio, “la gran parte delle misure di politiche attive trova applicazione soprattutto al Nord, in particolare le assunzioni agevolate in sostituzione di lavoratrici in maternità. Nel Sud sono più concentrate altre tipologie di politiche attive in particolare le assunzioni agevolate di disoccupati o beneficiari di CIGS da almeno 24 mesi o di giovani già impegnati in borse di lavoro e di lavoratori con contratti di inserimento (pag.53).
Sarebbe utile sapere che fine ha fatto la Youth guarantee, il progetto europeo finalizzato ad offrire ai giovani l'opportunità di inserimento ed orientamento lavorativo e bisogna uscire dalla tragicommedia del piano giovani “alla siciliana” che ha buttato alle ortiche un'esperienza che Fabrizio Barca aveva proposto come good practise alla Commissione Europea, ed è invece miseramente sprofondata nella palude dell'amministrazione regionale e dello scontro tra contrapposti centri di interessi. La si smetta di litigare e si utilizzino le risorse disponibili per costruire percorsi di inserimento lavorativo seri, che coinvolgano in primo luogo le imprese siciliane. Una vera riforma della formazione professionale, che guardi all'inserimento lavorativo dei corsisti ed al rapporto con l'impresa e non si occupi solo di assicurare le retribuzioni ai formatori, è una componente tutt'altro che secondaria del disegno.
Lo sviluppo delle attività di autoimpiego e di autoimprenditorialità, infine, rappresentano strumenti che in altre realtà si sono mostrati validi per agevolare l'uscita dei giovani dalla condizione di scoraggiamento che si accompagna all'impossibilità di immaginare il proprio destino lavorativo. Tuttavia, anche se tutto ciò andasse in porto, nel prossimo decennio una quota dei giovani di oggi resterà fuori del mondo del lavoro. Non possiamo abbandonarli a se stessi: perciò mi pare essenziale pensare ad una forma di reddito di ultima istanza, non inquinato da elementi assistenziali, che eviti ai singoli di precipitare nella solitudine e nella disperazione sociale.
Non sarà facile individuare le ingenti risorse necessarie, ma non se ne potrà fare ameno. Ci sono forze interessate a confrontarsi con terreni tanto complessi e decisivi? L'ottimismo dell'intelligenza (non mi fulmini lo spirito di Antonio Gramsci!) mi induce a una risposta positiva; poi leggo i titoli di quotidiani e siti web di informazioni che si occupano della politica regionale e mi chiedo se abbia senso continuare a parlare ai sordi.
Franco Garufi
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