Le trivelle impossibili nel mare di Sicilia

18 settembre 2014
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All’aggressione sistematica del territorio e del mare, di grandi e piccoli speculatori, oggi si aggiungono le armate dei magnati del petrolio. Con il decreto “Cresci Italia” è stata rilanciata la ricerca del petrolio nelle acque italiane, permettendo anche a coloro che erano stati bloccati, a seguito del devastante incidente BP del Golfo del Messico (2010), di riavviare le attività di prospezione e di ricerca in mare nella fascia di interdizione delle 12 miglia, mettendo a serio rischio le ventisette aree marine protette, le diciassette in via di istituzione, i due parchi sommersi e litorali di particolare valore per la biodiversità del nostro paese. Le aree prese maggiormente di mira sono, oltre al canale di Sicilia, l’Abruzzo, la Puglie e le Marche, dove sono state già rilasciate più di sessanta concessioni di estrazione e ventiquattro autorizzazioni di esplorazione di nuovi pozzi.

Eppure l’Italia è tra i firmatari della “Dichiarazione di Istanbul” (2013), che impegna gli stati del Mediterraneo “a prendere tutte le misure necessarie per rendere il Mediterraneo un modello esemplare nell’azione di protezione efficace dell'ambiente marino e costiero, nonché contribuire allo sviluppo sostenibile". In Turchia sono stati individuati nel mare nostrum, dodici nuove aree da proteggere per la tutela della biodiversità, in netto contrasto con coloro che oggi vogliono far diventare il Mediterraneo come il Golfo del Messico o la Luisiana.

La trivellazione danneggia in modo irreversibile la crosta terrestre, distrugge l'economia locale legata al settore ittico e della trasformazione, il turismo, e disorienta i flussi migratori dell'avifauna. Inoltre questa attività invasiva può incidere sul cambiamento dell'asse naturale terrestre provocando terremoti. L'estrazione prevede la prospezione e l’immissione di valvole che permettono la frantumazione della roccia. Durante la trivellazione esplorativa l’incidente più frequente è il blow-out come è accaduto nel disastro del mare di Azov (1982-1985), o al recentissimo disastro nel Golfo del Messico nel 2010, con uno sversamento massiccio di petrolio in mare, provocando conseguenze mortali sia su flora e fauna che nella popolazione locale, attraverso malattie respiratorie, aumento esponenziale di tumori e aborti spontanei.

In questi anni la regione siciliana non si è curata del proprio mare, basti pensare che non ha provveduto alla costituzione di tre parchi marini: Egadi e litorale trapanese, Eolie, e Pantelleria, previsti e finanziati dalla legge statale n.222 del 2007, che insieme ad una legge regionale sul mare (la Sicilia è l’unica regione priva di questo strumento) avrebbero costituito una sorta di cintura di sicurezza o quantomeno una forte limitazione, allo strapotere dei petrolieri che riescono oggi ad ottenere autorizzazioni travalicanti le norme UE per la tutela dell’ambiente.

In questo momento nel Canale di Sicilia sono operativi cinque permessi di ricerca nelle aree di: Capo Passero, Gela, Pozzallo, Marsala e Mazara del Vallo e dieci nuove richieste di permessi sono state avanzate. Una delle aree più a rischio, in questo momento, è il mare di Pantelleria,  in cui sono presenti tre specie di gorgonie uniche in tutto il Mediterraneo e i rarissimi coralli neri, che si trovano proprio nelle aree di maggiore appetito delle compagnie petrolifere. Inoltre in questo tratto di mare che separa la Sicilia dall’Africa, si riproduce lo squalo bianco ed è l’area di alimentazione invernale delle piccole balene e punto di incontro tra la specie di origine atlantica e quelle che risalgono il Canale di Suez.

Secondo National Geographic, sono stati presi di mira anche i tratti marini delle Egadi, dalla Northern Petroleum e dalla Shell che si stanno occupando di ricerche in sei diverse aree, mentre altri quattro zone di mare sono stati chiesti in concessione da: San Leon Energy, Np e Audax. Mentre la Hunt Oil Company, intende esplorare i fondali intorno all'isola vulcanica Ferdinandea, nei pressi della bocca del vulcano ancora attivo tra Sciacca e Pantelleria.

La regione siciliana dovrebbe strategicamente prendere in mano questa vicenda, come quella del MUOS e dell’uso delle basi militari. Rivendicando l’attivazione delle riserve internazionali previste ad Istanbul, istituire i parchi marini previsti dalla legislazione statale, approvare una propria legge per la tutela del mare e della costa e per un uso sostenibile delle sue risorse. Con lo scopo di candidare la Sicilia a diventare il Parco culturale e naturalistico dell’Europa, scongiurando la deriva di coloro che la stanno trasformando in piattaforma petrolifera e militare.

 di Aurelio Angelini

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