Un giardino nel nome di Nicolò Azoti

14 settembre 2014
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Intitolato un giardino pubblico a Nicolò Azoti alla presenza del Sindaco Orlando, del segretario della Camera del Lavoro di Palermo, Campo e della figlia della vittima Antonella. Nicolò, ucciso dalla mafia di Baucina alla vigilia del Natale 1946, fu uno dei tanti capilega e dirigenti politici della sinistra comunista, socialista e democristiana caduti in quella fase storica del dopoguerra che vide la nascita del movimento contadino che avrebbe cambiato il volto della Sicilia e del paese.

Nicolò, come tante altre vittime politiche di mafia, per cinquantanni non fu mai ricordato pubblicamente. Il cinquantesimo anniversario del suo sacrificio fu celebrato su iniziativa dell’amministrazione comunale di Baucina, della Cgil, della Cia regionale e con la presenza dello storico Renda e del procuratore di Palermo Caselli. Da quell’anno, era il 1996, anche grazie alla figlia Antonella, la figura e il ruolo di Nicolò sono stati ricordati e approfonditi. Le vittime politiche di mafia, dal 1944 al 1948, anche quelle meno note, ebbero un ruolo fondamentale nella presa di coscienza per la costruzione di un movimento contadino che portò alla legge di Riforma agraria e al mutamento epocale dei rapporti di classe.

Nicolò, sparato alle spalle sulla soglia di casa il 21 dicembre, morì il ventitré dopo aver fatto il nome del mandante, un certo Varisco, detto l’avvocato, noto mafioso gabelloto, nel vicino Feudo Traversa dei Di Salvo, che ebbe modo di sfuggire a lenti carabinieri ai quali si presentò, invece, tempo dopo con un alibi di ferro. Per lo stesso feudo Traversa, dove operavano altri mafiosi di Baucina e Casteldaccia, Nicolò aveva costituito la cooperativa “S.Marco” con la quale si accingeva a chiederne la concessione come previsto dai decreti Gullo, il ministro voluto da Togliatti all’agricoltura nei governi di unità antifascista. Inoltre, Nicolò si era impegnato, come da direttiva del suo partito, a sostenere i “granai del popolo” per l’ammasso obbligatorio dei cereali, misura contrastata dai vari feudatari come i Di Salvo e dai loro gabelloti mafiosi in quel momento schierati col separatismo e impegnati nel più redditizio mercato nero delle granaglie.

Nella lotta dei “granai del popolo” si erano contati i primi uccisi dalla mafia, nel 1944 fu ucciso Andrea Raia a Casteldaccia, episodi di assalti ai magazzini dell’ammasso si registrarono a Misilmeri e nella stessa Baucina. L’uccisione di Nicolò sortì l’effetto voluto di terrorizzare e paralizzare Baucina e la sinistra per molti anni, come avvenne nel paese vicino di Casteldaccia con l’uccisione di Raia. Anche i preti, allineandosi alla mentalità dominante, si rifiutavano di celebrare funerali religiosi per le vittime di quei delitti politicomafiosi.

A Nicolò fu riservata una fugace benedizione del feretro in strada. Nicolò era accusato di aver tentato di capovolgere equilibri sociali plurisecolari. Egli, semplice artigiano, musicante dilettante, si era permesso di sobillare e organizzare, per sovvertire l’ordine sociale costituito, i contadini del luogo, considerati ancora alla stregua dei servi della gleba, pur in una Sicilia moderna, ma non industrializzata e gravata dal peso soffocante del Feudo difeso dalla mafia e dall’ordine statuale! La Chiesa, d’altra parte, era l’espressione religiosa di tale ordine.

 I poveri potevano ricevere carità, ma non rivendicare diritti. I contadini dovevano zappare la terra, ma non chiederne il possesso o ottenere miglioramenti di vita con più equi contratti agrari previsti dai decreti del ministro Gullo del governo Bonomi. Il 2 giugno 1946 gli italiani avevano votato, dopo vent’anni di fascismo e ottantasei di Monarchia, per la Repubblica. In Sicilia il movimento contadino si schierò per la Repubblica perché prometteva l’agognata Riforma agraria, anticipata dai decreti Gullo. Riforma agraria avrebbe significato libertà dal bisogno, dall’oppressione dei feudatari e dei loro gabelloti e campieri, la cancellazione del vecchio e ingiusto ordine sociale. In parte ciò avvenne, ma con molta fatica e lacerazioni sociali e politiche sanguinose.

I caduti del movimento contadino, quelli di Portella della Ginestra, la repressione verso il movimento operaio, il clima di guerra fredda generato dalla dottrina Truman e dallo stalinismo sovietico, segnarono il destino sociale e politico sino al crollo del Muro di Berlino. Fino allora nei paesi dell’occidente i comunisti, pur avendo dato un contributo fondamentale nella lotta antifascista e per le Costituzioni democratiche, non potevano partecipare ai governi dei loro paesi. L’Italia era un paese dell’occidente, dove i comunisti scelsero la via democratica al socialismo, ma non bastò, nemmeno quando cambiarono nome e divennero post-comunisti, post-ideologici. Ma tutto non andò perduto. Oggi raccogliamo i frutti dei semi di democrazia che i tanti Nicolò seminarono e bagnarono col loro sangue. Oggi, Orlando sindaco democratico di Palermo intitola un giardino pubblico della città alla vittima di mafia Azoti; ieri, il sindaco Lucio Tasca, agrario, separatista, nominato sindaco da Charles Poletti, capeggiò la lotta contro i contadini appoggiato dalla mafia dei Vizzini, dei Navarra, dei Panzeca di Caccamo sotto la cui giurisdizione ricadeva Baucina. Oggi, difficilmente un prete o un vescovo rifiuterebbero i funerali religiosi a una vittima politica di mafia, anche di sinistra, mentre fa scandalo che qualche prete lo celebri per un mafioso acclarato. Persino Papa Francesco è intervenuto per ribadire che i mafiosi sono fuori dalla Chiesa, scomunicati, sino al loro pentimento e redenzione, esaltando la difesa dei deboli, degli oppressi e dei poveri. D’altra parte la critica di Papa Bergoglio all’aberrazione del capitalismo, alla guerra, alle nuove ingiustizie distributive tracciano una strada etica, ma anche politica per le classi dirigenti dei paesi, anche per quella italiana che a volte sembra smarrire i valori guida di uguaglianza e giustizia.

 di Vito Lo Monaco

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