Sulla visita di Renzi in Sicilia

16 agosto 2014
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La visita del Presidente del Consiglio, Renzi, ai punti di crisi industriale siciliani un risultato sicuro l’ha ottenuto. Ha avuto il merito di portare alla luce della ribalta politica nazionale la grandezza della crisi industriale del Paese e del Mezzogiorno in particolare. Da cinque anni lo stabilimento Fiat di Termini Imerese è chiuso dopo l’abbandono decretato da Marchionne proiettato nella dimensione sovranazionale per il suo gruppo. Da allora tutti i tentativi esperiti per riavviare un ciclo auto a Termini sono andati a vuoto. Di conseguenza tutto l’indotto legato all’auto è crollato. Anche ora, dopo le parole di speranza e d’incoraggiamento del Presidente a usare meglio tutto il capitale sociale e finanziario disponibile (vedi i fondi europei), rimane insoluto il nocciolo del problema. La Fiat a Termini ha chiuso perché essendo un centro di assemblaggio di manufatti, prodotti in varie regioni del paese, non ha retto la competitività sul mercato globale. Un nuovo futuro industriale di quell’area, anche nell’auto, deve superare questo limite strutturale attraverso forme innovative di prodotto e di processo. Solo una politica industriale innovativa garantirà crescita dell’occupazione e sviluppo duraturo. Chi dovrà guidare questo processo? Renzi sprona giustamente la classe dirigente isolana a impegnarsi nella sfida senza escludere investimenti esteri e comunque senza alcuna forma di assistenzialismo. Ciò vale anche per l’Eni a Gela. Sacrosanta la scelta “green”, ma non affrontare con una visione integrata e creativa, escludendo le chiusure per divario di costi, i nodi della raffinazione, della prospezione e della ricerca petrolifera, non produrrà nuova occupazione e l’auspicato risanamento ambientale. Ha fatto bene Renzi a sostenere che lo sviluppo del Mezzogiorno e della Sicilia trainerà lo sviluppo dell’Italia, ma sbaglia quando ha affermato (considerazione poco evidenziata dalla maggior parte dei media) che ciò avverrà anche prima della rimozione del condizionamento delle mafie e della corruzione. Le mafie e la corruzione non sono un problema del dopo, sono uno degli ostacoli (e non secondario) della crescita di tutta Italia come ribadiscono gli scandali- dall’Expò al Mose alle Regioni-. La Sicilia deve farcela da sola, è stato il mantra di Renzi durante gli incontri, e noi siamo pienamente d’accordo. Immagino, però, che, essendo anche segretario del Pd, avrà chiaro che con l’attuale classe dirigente del suo partito e complessivamente della Regione, non si andrà molto lontano. Basta mettere a confronto lo squallore del dibattito sull’ultima finanziaria e le esortazioni pindariche di Renzi per desiderare uno sforzo titanico di rinnovamento culturale della classe dirigente, per averla in sintonia con le sofferenze dei siciliani e per essere capace lenirle. Infine, Renzi ha voluto rivolgersi direttamente, com’è nel suo stile, ai lavoratori, destinatari dello sviluppo, ma non protagonista di esso. Essi appaiono difensori di uno sviluppo che è stato, ma non di quello che sarà. Il ruolo sociale sembra indebolito dalla lunga lotta difensiva, prima, della loro condizione di occupati e, poi, di cassintegrati, come se fossero dipese da loro la qualità e la quantità degli investimenti dei privati e del pubblico. Mentre i lavoratori nel corso di questi anni hanno sostenuto la necessità di politiche industriali alternative, la classe dirigente nazionale e regionale, frammentata e divisa dal particolarismo, non ha saputo né voluto ascoltare e usare la loro grande energia sociale per il cambiamento. Dopo lo scuotimento di Renzi, ciò diventerà possibile?
 di Vito Lo Monaco

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