Dell’Utri: quattro processi, tre condanne, nessun arresto
Mafia e politica
Adesso si dovrà aspettare un nuovo pronunciamento della Corte di Cassazione per sapere se Marcello Dell'Utri, ex deputato di Forza Italia, ex senatore del Popolo delle Libertà, ex parlamentare a Strasburgo nel gruppo Pdl-Lega aderente al Partito popolare europeo, sia davvero colpevole del reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
E ciò dopo tre condanne: nove anni in primo grado, l'11 dicembre del 2004, con sentenza del Tribunale di Palermo presieduto da Leonardo Guarnotta dopo 253 udienze e 270 testimoni; “ridotti” a sette in secondo grado nel primo processo d'appello, il 29 giugno del 2010, per i rapporti tenuti con Cosa Nostra dal 1972 al 1992, ma conclusi dopo tale data, secondo il pronunciamento del presidente della Corte Claudio Dall'Acqua dopo 117 ore di Camera di Consiglio; condanna sospesa dalla Cassazione il 9 marzo del 2012 per annullamento della sentenza a causa delle numerose “lacune nella motivazione” con rinvio a nuovo appello.
In primo grado Dell'Utri venne condannato anche a due anni di libertà vigilata, interdizione perpetua dai pubblici uffici (!) e risarcimento dei danni per 70mila euro alle parti civili rappresentate dal Comune e dalla provincia di Palermo.
Nella motivazione depositata si legge che l'attività svolta dall'imputato a favore della mafia “ha costituito un concreto volontario consapevole specifico e prezioso mantenimento consolidamento e rafforzamento di Cosa Nostra, alla quale è stata tra l'altro offerta l'opportunità di entrare in contatto con importanti ambienti dell'economia e della finanza, così agevolandola nel perseguimento dei suoi fini illeciti sia economici che politici”.
Nel documento si legge inoltre che “vi è la prova che Dell'Utri aveva promesso alla mafia precisi vantaggi in campo politico e di contro vi è la prova che la mafia, in esecuzione di quella promessa, si era orientata a votare per Forza Italia nella prima competizione elettorale e dopo si era impegnata a sostenere elettoralmente l'imputato in occasione della sua candidatura”.
Nella motivazione della sentenza di annullamento con rinvio, pronunciata dal presidente della quinta sezione penale della Cassazione Aldo Grassi, è scritto che è probatoriamente dimostrato che Dell'Utri “ha tenuto un comportamento di rafforzamento dell'associazione mafiosa fino a una certa data, favorendo i pagamenti a Cosa Nostra di somme non dovute da parte di Fininvest. Tuttavia va dimostrata l'accusa di concorso esterno per il periodo in cui il senatore lasciò la Fininvest (per l'esattezza la Edilnord, società edilizia con cui Silvio Berlusconi ha costruito Milano 2 ed edificato le basi della sua fortuna, ndr) per andare a lavorare per Filippo Alberto Rapisarda”.
Il quale, va ricordato, era socio di Vito Ciancimino e Francesco Paolo Alamia nella società di investimenti immobiliari Inim, operante in contemporanea in Lombardia e al Nord, si dice per conto della potentissima famiglia mafiosa basata in Canada dei Cuntrera-Caruana, della quale la Criminalpol ebbe a scrivere che si trattava di una “società gestita dalla mafia e di cui la mafia si serve per il riciclaggio di denaro sporco proveniente da traffici illeciti”. In particolare i traffici di droga tra Regno Unito Canada e Italia gestiti da Jimmy Fauci, al secolo Girolamo Fauci, al cui matrimonio Dell'Utri partecipò a Londra il 19 aprile 1981.
Lo scorso 25 marzo, a nove anni dalla prima sentenza, vent'anni dalla “fine del reato”, quasi trenta dall'avvio dell'inchiesta (1994), più di quaranta dall'inizio del suo rapporto con i mafiosi Bontade Teresi Calderone e Cinà, Marcello Dell'Utri, l'amico e sodale più vicino a Silvio Berlusconi, quello che introdusse lo “stalliere” Vittorio Mangano nella villa Casati-Stampa, l'inventore della potente organizzazione di raccolta pubblicitaria per le reti televisive del Cavaliere, il fondatore del partito che ha portato al potere l'uomo di Arcore, eccetera eccetera, è stato condannato per la terza volta a sette anni di carcere, a conclusione del secondo processo di appello e del quarto pronunciamento delle Corti di Giustizia.
E' certo però che la galera non la vedrà mai, in attesa del nuovo ricorso in Cassazione già annunciato dal Collegio di difesa, perché “non sussiste il rischio di reiterazione del reato” e, soprattutto, perché i giudici della Corte presieduta da Raimondo Lo Forti hanno ritenuto che non possa esserci il rischio di fuga in ragione del “comportamento dell'imputato che ha sempre partecipato alle udienze dibattimentali e non ha mai voluto sottrarsi all'esecuzione della pena”.
Ma quale “esecuzione” della pena? Marcello Dell'Utri, come tutti i potenti, come tutti quelli che possono permettersi prolungati ricorsi ai vari “dibattimenti processuali”, assistiti diuturnamente per trent'anni da decine di avvocati che si sono susseguiti nei diversi ordini di giudizio e si suppone profumatamente remunerati – mica un poveraccio qualsiasi, sennò altro che Ucciardone! – e che nel frattempo ha “goduto” anche di tutte le tutele e immunità riservate ai parlamentari in carica, non ha mai rischiato – e non rischia tuttora, secondo l'ultimo pronunciamento – che la pena e l'obbligo di scontarla diventino definitivi.
Ed inoltre, come è già avvenuto con Giulio Andreotti, altro potente che ormai non può scampare solo al giudizio divino, proprio il fatto che il reato “non è sussistito dopo il 1992”, mette definitivamente Dell'Utri al riparo dalla galera, diversamente da come si illude Salvatore Borsellino, perché nel luglio del 2014, se la Cassazione non si (ri)pronuncerà prima di quella data, maturerà l'agognata prescrizione su cui l'intero impianto difensivo del “meraviglioso mondo di Berlusconi” ha fondato tutte le strategie e gli andamenti giudiziari di questi vent'anni dalla presa del potere, per lui e per i suoi “fidi”.
E infatti Marcello Dell'Utri, a domanda sulla prescrizione da parte dei corrispondenti che in tutti questi anni hanno affollato le udienze dei processi a suo carico, ha lanciato una delle sue battute: “Se arrivasse direi, come Andreotti: sempre meglio di niente. Staremo a vedere, è una possibilità. I calcoli li fanno gli avvocati e i giornalisti. Io aspetto”.
D'altra parte l'ex senatore è abituato ai tempi lunghi fino allo (s)finimento della giustizia italiana. Quello di Palermo non è l'unico procedimento a suo carico. Nel 1995 è indagato e arrestato a Torino per aver inquinato le prove nell'inchiesta sui fondi neri di Publitalia. Nel 1996, mentre è imputato ancora a Torino per false fatture e frode fiscale, si apre l'indagine a Palermo per le sue relazioni pericolose con i clan. Nel 1999 patteggia una pena di 2 anni e 3 mesi per frode fiscale e false fatture. Nel 2004 è condannato a Milano a 2 anni assieme al boss trapanese Vincenzo Virga per estorsione ai danni del presidente della Pallacanestro Trapani. E' in corso a suo carico un'indagine per tentata estorsione nei confronti di Silvio Berlusconi a proposito dell'acquisto da parte di questi di una villa di Dell'Utri a prezzi spropositati.
In un'intervista a Beatrice Borromeo per il Fatto Quotidiano l'ex senatore ha dichiarato: “Io sono un politico per legittima difesa. A me della politica non me ne frega niente. Sono costretto a difendermi con la politica. Mi candidai nel 1996 per proteggermi, e infatti subito dopo mi arrivò il mandato di arresto. Naturalmente mi difendo anche fuori dal Parlamento, ma non sono mica un cretino, perché quelli mi arrestano”.
Sarà. Staremo a vedere. Anche noi aspettiamo. Nel meraviglioso mondo di Berlusconi o forse nell'incredibile mondo di Grillo.
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