Quattro megainceneritori e quattro discariche

26 luglio 2014
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A Palermo è stato sufficiente un po’ di pioggia per riportare in superficie nel “Parco Cassarà”, alcuni smaltimenti illeciti di rifiuti speciali e pericolosi. La Sicilia nell’ultimo mezzo secolo è stata utilizzata, come se fosse una grande discarica, da parte dei gestori e dei produttori di rifiuti urbani e industriali, che hanno potuto utilizzare, inoltre, più di mille discariche tra pubbliche e private, che sono state abbandonate puntualmente dopo la loro chiusura e per le quali sono stati spesi più di 100 milioni di euro, senza che nessuna bonifica di queste bombe ecologiche sia stata realizzata. Nello stesso lasso di tempo abbiamo smaltito senza un adeguato trattamento e sufficienti misure ambientali: 200 milioni di tonnellate tra rifiuti urbani e rifiuti speciali e pericolosi.

Questo scempio ecologico e di denaro pubblico è stato reso possibile attraverso l’alleanza tra imprese e mafia, con la regia dei decisori politici, che dopo aver blandito le opposizioni, si sono avvalsi della complicità: di colletti bianchi e di distratti controllori che erano stati nominati appositamente per ricoprire quelle funzioni in modo garantirne l’impunità. Nel 2000 la Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti accusa la regione siciliana di non voler applicare la nuova normativa sui rifiuti, prevista dal decreto legislativo Ronchi del 1997, che basava la gestione dei rifiuti sulla raccolta differenziata. Denuncia il presidente della commissione Massimo Scalia: “un preoccupante ritardo rispetto al panorama nazionale, con una regione che si mostra sostanzialmente inerte e scarsamente incline a far propria la filosofia delle nuove disposizioni relative alla gestione del ciclo dei rifiuti”.

 Scalia definisce come “una vicenda curiosa” il fatto che la regione abbia inoltrato “un quesito sia all'Avvocatura dello Stato sia al Consiglio di giustizia amministrativa della regione siciliana, per sapere se tale fonte di rango legislativo statale dovesse considerarsi direttamente applicabile al territorio siciliano”. Dopo aver ostacolato l’applicazione della legislazione europea e nazionale in Sicilia, il grumo di interessi affaristici e mafiosi sui rifiuti, nel periodo che va dal 2002 al 2007, si organizza per la realizzazione di quattro mega inceneritori, il cui bando-truffa della regione viene bocciato nel 2007 dalla Corte di Giustizia europea, grazie alla lodevole iniziativa delle sole associazioni ambientaliste. I quattro inceneritori erano stati previsti, contro ogni logica, con una capacità operativa superiore al totale dei rifiuti prodotti in Sicilia.

 Il Commissario dei rifiuti presidente della regione e il suo vice, si mettevano al lavoro in modo da impedire sistematicamente che si avviasse il nuovo sistema basato sul riciclaggio dei rifiuti che avrebbe diminuito la portata degli affari degli inceneritori. Ed ecco che centinaia di milioni di euro a disposizione della regione siciliana venivamo in modo clientelare dispersi in mille rivoli, non utilizzando queste risorse per la loro destinazione, che era quella di dotare la Sicilia di moderni impianti e mezzi a servizio della raccolta differenziata. Inoltre il commissario e il suo vice, in modo irragionevole e solo in virtù dei loro poteri commissariali, frammentavano il sistema di gestione dei rifiuti, dando vita a 27 carrozzoni pubblici, che hanno prodotto inefficienza nella gestione e un miliardo di debiti, che oggi pagano i cittadini attraverso i comuni. Nel 2007 a 10 anni dal “decreto Ronchi” la raccolta differenziata in Sicilia era inchiodata al 6%, con un tasso di crescita per anno dello 0.6. Questo trend di nano-crescita è rimasto identico fino ad oggi, collocando l’Isola come fanalino di coda in Italia e in Europa nella gestione dei rifiuti. Un volta affumato il progetto inceneritori, lo stesso gruppo di potere si sposta sull’affare delle discariche.

Vengono così autorizzate quattro mega discariche private nel 2009, nelle località: Tiritì, Materano, Grotte San Giorgio e Zuppa, per una capienza di oltre otto milioni di metri cubi, in siti che disponevano di cubature sufficienti per il fabbisogno dell’Ambito territoriale di riferimento, motivo sufficiente per non autorizzare nuove cubature da parte della regione. Nel contempo venivano bloccate diverse richieste di nuove discariche presentate da sindaci, privati e società d’Ambito. Dall’analisi della documentazione prodotta per l’autorizzazione di alcune di queste discariche, si evince in modo lapalissiano, che si tratta di procedure irregolari, che solo funzionari e dirigenti incompetenti o corrotti potevano legittimare. Le irregolarità vanno: dalla mancata previsione nel Piano regionale dei rifiuti; a volumetrie 10/20 volte superiori al fabbisogno dell’Ambito territoriale; ad autorizzazioni all’ampliamento di discarica, quando si trattava invece di nuove discariche; all’assenza di fideiussione bancaria e del piano finanziario, della VIA, ecc.

Nell’ultima relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sui rifiuti, si legge: "In Sicilia il settore dei rifiuti si caratterizza perché esso stesso organizzato per delinquere". […] "E' la più eclatante manifestazione della legge dell'illegalità, cioè l'illegalità si è fatta norma che permea negli aspetti più minuti e capillari qualsivoglia aspetto afferente al ciclo dei rifiuti. […] "E' un esempio lampante di come il rifiuto si trasformi in 'ricchezza' e consenta di fare conseguire illeciti profitti alla criminalità organizzata e non".

 di Aurelio Angelini

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