La solidarietà dei siciliani verso i migranti
Da alcune settimane alcuni immigrati di origine africana degli ultimi sbarchi sono ospitati nel mio paese natale della fascia costiera palermitana, dove frequento la casa lasciatami dai genitori, da un’associazione di assistenza locale. Quel paese, (tranquillo centro di piccoli produttori agricoli, artigiani, commercianti, edili, di piccola borghesia professionale e di pubblico impiego, tormentato da una storica presenza di mafia, subordinata alle famiglie mafiose della provincia, ma sempre contrastata da un movimento antimafia seppur minoritario), scopre improvvisamente la paura dei “neri”.
La stessa comunità che non ha mai manifestato elementi di razzismo, moderata,quasi conformista, cattolica praticante, disponibile alla solidarietà e alla carità, quando comincia a vedere nelle sue stradine alcuni giovani immigrati, tra l’altro laureati o con altro titolo di studio, che scappano dai loro paesi sub sahariani, flagellati da guerre e fame, in cerca di un lavoro qualsiasi e di dignità, manifesta sentimenti di intolleranza e di paura per le proprie figlie tredicenni a passeggio (perché solo per le tredicenni?). Quegli stessi che poco prima si erano commossi per le vittime dei naufragi, lontani, appena percepiscono la vicinanza fisica dei sopravvissuti, sono assaliti da sentimenti ostili verso questi immigrati di passaggio.
Perché essi in maggior parte sono di passaggio, sono approdati in Sicilia, ma sono diretti verso i paesi del Nord europeo più benestante. La stessa reazione infastidita, per fortuna minoritaria, si è manifestata nei comuni dove si è concentrata l’accoglienza. Il sentimento di solidarietà del popolo siciliano è prevalso ovunque nonostante le difficoltà pratiche, la scarsità dei mezzi finanziari a disposizione dei comuni investiti dall’ondata. Comunque con l’operazione “mare nostrum” l’Italia ha salvato, e continua a farlo, migliaia di vittime, mentre l’Ue latita. C’è da sperare che il nuovo Parlamento, la Commissione e la Presidenza italiana del semestre europeo rovescino l’atteggiamento dell’Ue che ha considerato l’approdo del flusso immigratorio solo un problema italiano e non europeo.
All’Italia i costi finanziari sociali della prima accoglienza degli immigrati, ai paesi di destinazione finale, con economie migliori, invece tutti i vantaggi derivanti dalle nuove quantità di manodopera disponibile e flessibile. Un doppio errore che sommato alle politiche di austerità senza crescita ha favorito, anche per gli errori politici della sinistra europea, nelle recenti elezioni europee i movimenti xenofobi e antirazzisti. Problema da non sottovalutare considerato che la crisi globalizzata sospinge masse umane sempre più al limite della sopravvivenza. Per fortuna, in Italia il movimento xenofobo oggi è ai margini e ha una scarsa rappresentanza politica, anche se non sono da prendere sotto gamba le alleanze in Europa della Lega di Salvini con la Le Pen e di Grillo con il Farage. Siamo in un Paese nel quale l’emigrazione, visti i dati statistici degli ultimi anni, ha superato l’immigrazione. Esportiamo cervelli che trovano affermazione professionale all’estero e importiamo giovani laureati stranieri per lavori poco qualificati.
L’Italia, anche per questo motivo, è diventata poco appetibile. In tempo di crisi il modello vincente è stato la delocalizzazione e condizioni meno favorevoli e paghe più misere per i lavoratori. La globalizzazione della crisi e i focolai di guerra accentueranno sempre le contraddizioni planetarie che alimenteranno i flussi migratori. L’etica dell’accoglienza e della solidarietà ripropone a tutte le democrazie l’urgenza di ridefinire il tema dello sviluppo democratico e ecocompatibile nel XXI secolo il cui controllo politico va sottratto alla disponibilità piena e incontrollata delle multinazionali. Problemi non nuovi. In ogni epoca antica e moderna, nelle fasi di transizione dello sviluppo il mondo ha visto trasferimenti di masse umane alla ricerca di migliori condizioni di vita. Milioni d’italiani tra la fine dell’Ottocento, le due guerre mondiali del Novecento hanno lasciato i loro luoghi natii in cerca di lavoro e di libertà.
Erano i poveri e i dissidenti politici di allora che fuggivano dalla miseria e da regimi illiberali come avviene attualmente a causa di una globalizzazione selvaggia basata su nuove forme di sfruttamento del lavoro manuale e intellettuale. Sciogliere la diseguaglianza globalizzata per far prevalere uno sviluppo solidale, come stanno tentando quei paesi del Sud America, come il Brasile, in forte espansione economica grazie a sagge politiche di autosviluppo guidate da classi dirigenti autonome, dovrebbe guidare la riflessione della sinistra europea. Salvaguardare la conquista storica del Welfare di matrice europea, difendere le libertà civili e politiche, l’idea di uno Stato regolatore, non soffocatore del mercato, trasformare la burocrazia al servizio dei cittadini sono i temi che la sinistra europea dovrà svolgere se vuole continuare ad esistere.
Vito Lo Monaco
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