Riscoprire l'oro verde della Sicilia
Parlando a Vittoria al funerale religioso di Titta Cirignotta, 74 anni, contadino, comunista, credente, negli anni ottanta e novanta consigliere comunale, dirigente della Confcoltivatori e poi della Cia di Vittoria e della provincia di Ragusa, ho avuto modo di ricordare Titta quale esempio della formazione di quella classe dirigente siciliana che fu guidata da una visione dello sviluppo legato all’innovazione e al progresso economico e sociale, non solo individuale, ma dell’intera Sicilia. Infatti, Titta, figlio di contadino emancipatosi dal lavoro dipendente per diventare autonomo grazie all’invenzione delle coltivazioni delle primizie in serra, è cresciuto socialmente, economicamente, culturalmente, come molti suoi coetanei, producendo “l’oro verde” in quelle serre che dei contadini pionieri avevano sperimentato sin dagli anni cinquanta tra le dune di sabbia del vittoriese.
La loro capacità innovativa, e rivoluzionaria, consistette nel copiare le serre in vetro e acciaio esistente da qualche secolo nei giardini botanici o usate per abbellire le ville dei nobili d’Europa, trasformandole in capannine di legno coperte da teli di plastica (ne parla diffusamente più avanti Francesco Aiello, già sindaco, deputato di Vittoria e assessore regionale dell’agricoltura). Il settore serricolo ha raggiunto in Sicilia la vetta dei quindici mila ettari, oggi sono quasi la metà, ha alimentato un mercato alla produzione, quello di Vittoria, diventato uno dei più grandi d’Italia dopo quello di Fondi, oggi sconvolto dalla globalizzazione e dallo strapotere della Grande Organizzazione Commerciale, dalle piattaforme commerciali esterne alla Sicilia, alimentate anche dal sistema cooperativo.
Il sistema serricolo fu l’innovazione prodigiosa che portò il settore ortofrutticolo siciliano in cima al sistema nazionale ed europeo e che indicava, in quegli anni, come l’agricoltura, trasformata e sottratta alle forme contrattuali angariche del recente passato, potesse andare di pari passo al processo d’industrializzazione promosso dall’intervento statale e regionale attraverso la Casmez, la Sofis, l’Eni. Dovevano creare, tramite “Poli” di base, uno sviluppo industriale diffuso e integrato che non avvenne. La distillazione del petrolio doveva suscitare una chimica di base e poi quella secondaria e fine (fino alla farmaceutica e alla cosmesi). Sappiamo tutti cosa avvenne grazie al ruolo di una classe dirigente isolana ascara che preferì uno sviluppo dipendente e assistito che alimentò clientelismo, corruzione e sistema politico mafioso.
Ciò avvenne perché la classe dirigente nazionale a sua volta non seppe negoziare da posizioni autonome col capitalismo familiare italiano. Entrato in crisi quel modello di sviluppo fondato sull’intervento pubblico e su quel capitalismo per una globalizzazione senza regole, tutti “i poli” industriali siciliani stanno scomparendo o sono scomparsi. La colpa è della Statuto speciale della Sicilia, come sostiene una certa cultura di destra, ma vedo anche di una certa cosiddetta sinistra priva di pensiero autonomo, o di quella parte della classe dirigente che ha vissuto la specialità dello Statuto per accumulare ulteriori privilegi personali? D’altronde, basta constatare il degrado della vita politica e amministrativa della maggior parte, non di tutte, delle Regioni a statuto ordinario per capire che corruzione, criminalità economica e mafiosa, scarsa qualità delle classi dirigenti locali non sono imputabili all’ordinamento istituzionale, che comunque va riformato per adeguarlo al nuovo contesto sociale e economico, ma alla crisi della Politica venuta meno al suo compito.
Cioè quello di immaginare la società del futuro con progetti e azioni di sviluppo, progresso e democrazia. La qualità e l’efficienza di una classe dirigente si valuta dalla sua capacità di conservazione e innovazione. Conservazione di valori, diritti, doveri (uguaglianza, diritto al lavoro, alla salute, alla cultura, al tempo libero, alla partecipazione politica) e di innovazione di fronte al mutamento planetario (geopolitico, economico, ambientale). La globalizzazione dell’economia e la sua finanziarizzazione hanno bisogno di una classe dirigente capace di riproporre una visione del futuro come gli uomini delle serre e dello sviluppo industriale nella ricostruzione post bellica e nella rinascita degli anni cinquanta.L’esistente, come dimostrano le crisi attuali dei poli, senza una visione strategica, sarà perduto definitivamente. Senza Piani regionali- energetico, agricolo alimentare, industriale, turistico, ambientale, dei servizi- la Sicilia non andrà da nessuna parte.
L’area serricola è dimezzata, ma continua a vendere in tutta l’Europa, pur avendo perso potere contrattuale con la Grande distribuzione organizzata, col sistema del trasporto controllato dalle mafie, subendo assieme al sistema cooperativo gli effetti della crisi e della globalizzazione selvaggia.
Tuttavia, la Sicilia registra oasi d’importanti innovazioni tecnologica, di presenza significative a livello internazionale nel manifatturiero e nei servizi, le quali ci fanno intravedere le potenzialità se adeguatamente sostenute dalle politiche pubbliche, dal sistema bancario e dall’integrazione con la ricerca. Le risorse umane e il capitale sociale ci sono, le risorse finanziarie pure (v. Fondi europei, investimenti esteri se burocrazia, corruzione, mafia saranno efficacemente contrastate). Manca la “Politica”, quella che dovrebbe essere generata dalla classe dirigente (dei partiti, dell’economia, dei corpi intermedi).
Ciò non avverrà mai per autoriforma della Politica, ma con l’intervento dei Titta della Sicilia che oggi, pur tra mille difficoltà. Stanno producendo innovazione produttiva e culturale.
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