Se il quartiere si stringe attorno al boss

15 giugno 2014
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La chiameremo “sfida nel territorio, laici e religiosi contro la mafia” -giovedì 19 o.17 Chiesa SS Trinità alla Zisa-  pensando non solo al quartiere dove ci incontreremo, ma all’intera città. Si prenda atto della pesante situazione economica e sociale di Palermo e della Sicilia e di quanto ancora l’economia criminale, anche dopo i continui successi della giustizia, rimane l’unica valvola di sfogo e di sopravvivenza materiale per migliaia di famiglie. Spaccio di droghe, prostituzione e  tratta delle giovani di colore,  piccoli traffici, commerci abusivi, sui quali si estende il controllo mafioso, segnano lo spaccato di una altra città alla quale il termine legalità non dice nulla o è nemico. Di fronte a situazioni così articolate non esistono soluzioni magiche. Occorre individuare percorsi comuni tra società, istituzioni e politica, tra laici e religiosi, per rendere praticabili strategie pubbliche per un modello di sviluppo alternativo a quello illegale o criminale reso ancora più competitivo dalla recessione in atto. Offrire lavoro qualificato e non solo  assistenza, creare servizi sociali di recupero degli ambiti più deboli, nella ristrettezza delle risorse finanziarie, rimane l’obbiettivo strategico da perseguire. Bisogna muoversi per fare sistema e rete tra pubblico e privato, tra istituzioni, forze politiche, sociali e volontariato per modificare le condizioni di vita civile della città. Bisogna rimuovere l’indifferenza verso quei macigni della marginalità di vasti strati sociali, non delegare al volontariato un compito così rilevante per occorrono risorse umane, finanziarie e culturali.  

Qualche mese prima della campagna elettorale abbiamo assistito, sbigottiti e sorpresi, al fatto che ancora nel 2014, dopo tutti i pronunciamenti antimafia delle gerarchie ecclesiali, dalle chiese locali alle più alte vaticane, nella città del beato Puglisi, dei martiri laici abbattuti dalla mafia, era ancora possibile fare un funerale religioso a un noto mafioso ucciso in una faida interna. Un funerale seguito da diversa gente del quartiere e preceduto dal labaro di una congregazione religiosa diretta, guarda un po’, da un amico del mafioso ucciso. Lo scandalo è stato talmente evidente da consigliare alla Curia di commissariare finalmente la congregazione. La percezione di quella parte della città non coinvolta direttamente è stata, erroneamente, quella di ritenere quel quartiere, come alcuni altri, “zona franca” dove continuano a comandare “loro”. Niente di più sbagliato, perché entrando dentro la vita di quei territori scopri una ricca realtà umana e sociale di volontari e associazioni laiche, religiose, culturali dedita al recupero di coloro di coloro che per sopravvivere praticano attività illegali. Fanno parte del tessuto virtuoso le scuole, le circoscrizioni, le chiese, i centri di patronato sindacale e, purtroppo, pochissimi circoli politici.

Fare sistema significa mettere insieme tutte le volontà positive disponibili. D’altra parte senza la possibilità di poter offrire una concreta alternativa rispettosa della dignità umana con un lavoro produttivo e stabile non è realistico risolvere questioni complesse come lo spaccio praticato da giovani senza lavoro o la prostituzione delle giovani di colore nelle grinfie di mafie interetniche o il piccolo abusivismo dei mille espedienti di  sopravvivenza. Sono questioni di qualche quartiere o di tutta la città? Possono essere risolte con l’intervento giudiziario che per sua natura può operare solo dopo che il dramma sociale e personale si è manifestato come reato penale o vanno prevenute con politiche pubbliche alle quali destinare parte delle pur scarse risorse  finanziarie disponibili?

La sfida che i partecipanti religiosi e laici vogliono lanciare consiste di definire il contenuto di un’antimafia  non declamata, ma esplorata assieme alla gente, le istituzioni e la Politica per riavviare politiche antirecessive e di crescita.

Tutti gli osservatori pubblici e privati- Sindacati, Confindustria, Corte dei Conti, Istat, Banca d’Italia – concordano sulle conseguenze della recessione. Essa ha causato la contrazione dell’attività economica, il calo del fatturato manifatturiero rimasto al palo dal 2012, l’ulteriore diminuzione degli investimenti, la caduta ininterrotta dal 2007 dell’occupazione. Ovviamente tra i giovani si conta il maggior numero di vittime sociali. Le conseguenze sono ancora più gravi di quanto appaiono dalle statistiche. Ad esempio, il patto di stabilità e la revisione della spesa ha contratto le possibilità di intervento degli enti locali, soprattutto di quelli con i conti disastrati anche per amministrazioni imprevidenti e/o corrotte del recente passato. Il Comune di Palermo o la Regione Sicilia, continuando a pagare la scellerata politica degli sprechi del centro destra, non riescono a sostenere politiche sociali di recupero. A Palermo sono stati sospesi tutti i sostegni ai centri di volontariato. Quanto costa in termini di sofferenza sociale e di speranza ?

Tutte queste domande sono solo indicative di un percorso riflessivo e di azione della città pensante, non declamante, che si propone il nobile obbiettivo di cambiare in meglio il futuro del Paese, di sottrarre nuove reclute alle cosche e fare nuovi militanti  della democrazia.

Vito Lo Monaco



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