Voto di scambio politico mafioso, reato antico con centinaia di arresti e pochissime condanne

Società | 11 giugno 2022
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“Sussistono urgentissime esigenze di tutela di beni primari in ragione della prossima competizione elettorale del 12 giugno: in assenza di adeguate misure cautelari l'esercizio del diritto-dovere di voto di una estesa parte dell'elettorato diverrebbe merce di scambio da assoggettare al condizionamento e all'intimidazione del potere mafioso e dunque sottratto al principio democratico". La Procura di Palermo ha motivato - anche con queste parole - la richiesta di arresto del candidato di Fdi al Consiglio Comunale, Francesco Lombardo, e del boss Vincenzo Vella, finiti in manette ieri per scambio elettorale politico-mafioso. Il secondo caso in pochi giorni a Palermo, uno dei 4 capoluoghi di Regione (gli altri sono Catanzaro, Genova e L’Aquila) in cui si vota per rinnovare il sindaco e il consiglio comunale. Il nome di Lombardo si unisce a quello di Pietro Polizzi, altro candidato al Consiglio comunale di Palermo di centrodestra, finito agli arresti insieme al costruttore mafioso Agostino Sansone al quale aveva chiesto “sostegno elettorale”.

Sono 30 anni che in Italia il reato di voto di scambio è formalmente riconosciuto. Sei lustri in cui le normative hanno visto più volte cambiare volto, a partire dal 1992, quando venne introdotta, per contrastare le organizzazioni di stampo mafioso, la fattispecie dello scambio elettorale politico-mafioso. In mezzo ci sono stati centinaia di arresti, accuse e rinvii a giudizio. Ma le condanne passate in giudicato si contano sulle dita di una o al massimo due mani. L’influenza delle competizioni elettorali è ben radicata nella storia. Già diffuso e punito anche nell'antico diritto romano, l’ambitus era un crimine di corruzione politica: il tentativo di un candidato di influenzare l'esito di un'elezione attraverso la corruzione o altre forme di potere.

Gli ultimi casi di Palermo, purtroppo, sono un film già visto. Candidati pronti a mettersi, secondo le accuse della Procura, a disposizione dei boss. Criminali che garantiscono un pacchetto di voti con nomi, cognomi e indirizzi di residenza. Familiari che sostengono la difesa degli arrestati (ultimo caso il messaggio su Facebook delle figlie di Lombardo: “Sapete che persona è mio padre però meglio rinfrescare le menti, noi non saremo mai e poi mai delle persone così per come avete presentato e definito lui, da sempre persone leali, buone e tutti gli aggettivi positivi che si possano attribuire, e la gente che ci conosce sa che siamo persone oneste”). Inquirenti che elogiano il metodo investigativo e le attività di indagine.

Il finale purtroppo è sempre lo stesso. Le città - non solo Palermo - fortemente impregnate da quel “puzzo del compromesso morale” di borselliniana memoria, che a meno di un mese dal trentesimo anniversario della Strage di Capaci, non ci meritiamo di respirare.

D.C.



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