Vola l'e-commerce ma muoiono i negozi di prossimità, cambiamo rotta
Lunedì scorso, 27 luglio, Jeff Besoz, fondatore e patron di Amazon, ha guadagnato in un giorno 13 miliardi di dollari. Si tratta dell’arricchimento del patrimonio più alto registrato da un singolo individuo da quando nel 2012 è stato elaborato il Bloomberg Billionaires Index. Con l’inarrestabile espansione degli acquisti on line le azioni Amazon hanno fatto registrare un +8 per cento. E, voilà, in un giorno un solo individuo si mette in tasca 13 miliardi di dollari in più. Mentre centinaia di milioni di uomini e donne nel mondo – anche solo a considerare il settore del commercio e della distribuzione – pagano un prezzo di sangue al Covid-19 nei loro negozi: saracinesche abbassate, chiusure forzate, licenziamenti di addetti, attività che non riprendono o riprendono a scartamento ridotto con perdite di fatturato che spesso si attestano sul 70-80 per cento.
Non c’è solo qualcosa di economicamente distorto in tutto questo. Si va ben oltre: è ingiusto. E’ immorale che qualcuno concentri tanto guadagno e tanta ricchezza.
Almeno in questi mesi da noi di dopo-pandemia – o più correttamente di pandemia strisciante – aiutiamo il commercio di prossimità. Acquistiamo negli esercizi commerciali sotto casa e nei nostri centri abitati. Spenderemo possibilmente qualche euro in più ma salveremo le nostre città ed i nostri paesi dalla cimiterializzazione commerciale e dalla disoccupazione conseguente. Di cui alla fine saremo tutti vittime. Saranno tutte vittime le nostre famiglie. Le vie delle città e dei paesi dove non esistono più negozi o ne restano attivi con il contagocce non solo sono vuote di attività. Si svuotano di gente, di relazioni, di presenze. Non si desertifica solo il commercio. Si desertificano le esistenze. Riflettiamoci e modifichiamo i nostri comportamenti negli acquisti. Meno acquisti on line dallo smartphone e dal computer e meno frequentazione di sconfinati ipermercati e centri commerciali posizionati in isolate periferie urbane non salvano solo il nostro artigianato, la nostra produzione, il nostro commercio. Salvano il nostro vivere sociale, il tessuto connettivo stesso dei centri abitati e dei quartieri.
Ecco perché la notizia che Besoz si è messo in tasca in un solo giorno 13 miliardi di dollari – con la sua attività d’impresa così super multinazionale, così innovativa, moderna, tecnologica, intelligente come invenzione stessa di una attività digitalizzata su scala planetaria, pur con tutti questi riconoscimenti che gli vengono tributati – è davvero fastidiosa. Di più: indigna.
Il Covid-19 a
questi guadagni colossali ha messo le ali. Scriveva già il 15 aprile
Anna Lombardi su Repubblica (“Il coronavirus fa Besoz sempre più
ricco: 24 miliardi da inizio emergenza”): “Il
mondo va a rotoli, l’economia è in recessione e 17 milioni di
americani hanno chiesto i sussidi di disoccupazione. Ma c’è chi fa
fortuna perfino tra tanto sfacelo: pardon, più fortuna. Sì, Jeff
Bezos – l’uomo più ricco del mondo, fondatore di Amazon e
proprietario del Washington Post
- grazie alla pandemia che ormai conta 2 milioni di contagi nel
mondo, è oggi più ricco di 24 miliardi di dollari. Merito del
“tutti a casa”, che ha fatto impennare gli affari del colosso
delle vendite online, facendone crescere le azioni fino al 5,3 % in
un solo giorno.
È grazie a quello che il miliardario rimasto sul
podio dei Paperoni globali pure dopo il divorzio più costoso della
storia, quello dalla moglie MacKanzie costatogli 38 miliardi di
dollari, oggi conta su un patrimonio di 138,5 miliardi di dollari. E
in effetti gli affari sorridono pure alla ex, piantata per la
giornalista Lauren Sanchez: le è bastato possedere il 4% di azioni
per guadagnare quegli 8,2 miliardi di dollari che hanno portato il
suo patrimonio totale a 42 miliardi, facendola schizzare dal 22esimo
al 18 posto di persona più ricca del mondo, superando perfino il
nababbo indiano Mukesh Ambani e il paperone messicano Carlos
Slim.
D’altronde nella lista dei più facoltosi, c’è un certo
movimento. E se chi ha investimenti in petrolio cala, i
venditori salgono. Gente come Alice, Jim e Rob Walton, proprietari
della catena di supermercati Walmart. I loro guadagni cresciuti del
5%, famiglia più ricca del mondo grazie a un patrimonio valutato
adesso 169 miliardi di dollari.
I Bezos e i Walton non sono i soli
membri dell’esclusivo club dei miliardari a veder ingrassare le
loro fortune. Secondo l’indice Bloomberg
Billionaires, i patrimoni
netti, in calo a inizio anno, sono saliti mediamente del 20% nelle
ultime due settimane. Fra i baciati dalla fortuna c’è Elon Musk,
patron di Tesla, con 10,4 miliardi di dollari in più nel portafogli.
Ed Eric Yan, fondatore di Zoom, l’app
ormai usatissima dagli studenti per le lezioni e dai bontemponi per
l’aperitivo gli ha raddoppiato il conto in banca: portandolo a 7,4
miliardi di dollari. C’è poi chi gode della spinta data ai mercati
dagli stimoli messi sul piatto da governi e banche. Come Randall
Weisenburger, azionista di Carnival. Mentre l’industria delle
crociere andava a picco, lui ne ha acquistato titoli per 10 milioni
di dollari: vedendone aumentare il valore del 56% in poche ore. Sì,
il mondo va a rotoli: ma c’è chi resta a galla su salvagenti
dorati”.
Lo gridiamo: tutto questo è ingiusto. Immorale specie a considerare ciò che sta succedendo nel mondo. Con i numeri di contagiati, morti, falliti, impoveriti, affamati cresciuti esponenzialmente da aprile, quando la Lombardi scriveva il suo articolo, a questi giorni “caldi” da tutti i punti di vista di fine luglio-inizio agosto.
E sarà sempre troppo tardi quando sia le istituzioni comunitarie che gli stati dell’Unione Europea si decideranno ad adottare una normativa fiscale uniforme che esiga una tassazione adeguata dei guadagni accumulati nel nostro continente dai colossi americani dell’e-commerce e del digitale in genere, da Amazon a Google, da Facebook a Twitter, da Apple a e-Bay e via digitalizzando.
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