Vento sporco: le mani della mafia sull’energia eolica

Società | 23 luglio 2019
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Le inchieste giudiziarie hanno portato alla luce le infiltrazioni mafiose nell’eolico siciliano. Ora uno studio mostra come gli investimenti in impianti siano più frequenti nei territori controllati da famiglie mafiose. Anche quando di vento ce n’è poco.

La mafia e gli investimenti in energie rinnovabili

Le recenti dimissioni del sottosegretario alle Infrastrutture, il leghista Armando Siri, coinvolto assieme al consulente per l’energia della Lega Paolo Arata in rapporti poco chiari con l’imprenditore siciliano “re dell’eolico” Vito Nicastri, hanno riportato all’attenzione del grande pubblico il tema delle infiltrazioni delle famiglie mafiose nel business delle energie rinnovabili in Sicilia.

Negli anni scorsi, numerose inchieste, come l’operazione Eolo, Broken Wings e Hermes 2, hanno evidenziato un ruolo importante dell’imprenditore di Alcamo nello sviluppo di parchi eolici nella Sicilia occidentale.

Meno facile, come spesso accade quando le inchieste giudiziarie riguardano la presenza del crimine organizzato in settori dell’economia legale, è comprendere quanto l’infiltrazione sia estesa o, invece, rappresenti episodi sicuramente gravi ma sporadici rispetto alla dimensione del settore. Rispondere alla domanda è importante anche per dare concretezza agli allarmi lanciati dalla magistratura e dalle associazioni antimafia su una progressiva contaminazione di interi settori dell’economia legale e sull’estendersi di una zona grigia dove imprenditori tradizionali e imprese a retroterra criminale convivono e interagiscono, nelle regioni meridionali così come, oramai, in molte regioni del Nord Italia.

Il business dell’eolico appare un’attività dove trovano terreno fertile i punti di forza delle organizzazioni criminali quando rivolgono l’attenzione alle attività legali: necessità di capitali per l’investimento iniziale, controllo del territorio e capacità di influenzare i processi amministrativi e di autorizzazione degli enti regionali, provinciali e comunali, presenza nel settore delle costruzioni fino all’attività di protezione di infrastrutture spesso isolate e facilmente esposte ad attentati e danneggiamenti. Un ruolo è svolto anche dai generosi incentivi pubblici concessi in Italia negli ultimi venti anni per accelerare lo sviluppo delle energie rinnovabili, che hanno creato rendite e alti ritorni all’investimento.

Le politiche di incentivazione si sono basate inizialmente sullo strumento dei certificati verdi, attraverso cui i produttori di energie rinnovabili ricevevano una compensazione per la loro produzione. Lo strumento è stato utilizzato sin dall’apertura del mercato elettrico nel 1999 e ha stimolato la costruzione di parchi eolici di rilevanti dimensioni fino al 2008. In questa fase, secondo le inchieste giudiziarie, Vito Nicastri svolge un importante ruolo in qualità di sviluppatore di parchi eolici, sia per la parte tecnico-amministrativa che per il finanziamento; gli impianti saranno successivamente venduti ad altri imprenditori. Con l’introduzione di nuovi strumenti di remunerazione della produzione di energie rinnovabili, come la tariffa onnicomprensiva (2008) e poi le feed-in tariff (2012 e 2016), le politiche pubbliche hanno reso remunerativo anche l’investimento in impianti di piccola dimensione. Di conseguenza a partire dal 2009, in tutta Italia i nuovi investimenti nei parchi eolici si sono nettamente ridotti.

L’eolico in Sicilia

In un recente lavoro abbiamo voluto verificare se sia possibile riscontrare un’influenza della presenza di famiglie mafiose sul territorio guardando all’insieme degli investimenti eolici realizzati in Sicilia e testando quali siano i fattori correlati alla presenza di queste infrastrutture energetiche nei comuni siciliani. Da un lato, abbiamo considerato gli elementi che dovrebbero far sì che un determinato comune abbia una “vocazione eolica”, legata a fattori morfologici e ambientali come la conformazione, estensione e velocità media del vento nel suo territorio. Dall’altra, abbiamo considerato come possibile fattore dell’investimento la presenza nel territorio di una famiglia mafiosa, utilizzando il censimento che la Direzione investigativa antimafia pubblica ogni anno e che segnala come, su 390 comuni dell’isola, circa la metà (193) vedano la presenza di una cosca mafiosa.

Gli impianti eolici appaiono sovra-rappresentati nei comuni dove opera un clan mafioso: ce n’è uno in 98 dei comuni a presenza mafiosa (51 per cento) contro i soli 45 impianti (22 per cento) nei 197 comuni dove non è segnalata la presenza di una famiglia mafiosa. Nei comuni dove opera una famiglia mafiosa, inoltre, prevalgono impianti di piccola dimensione, come evidenziato nella figura 1, che riporta per i due tipi di municipalità (0: comuni senza presenza mafiosa, 1: comuni con presenza mafiosa) la frequenza di impianti eolici classificati per capacità produttiva (kW).

Figura 1

Abbiamo quindi sottoposto a stima le determinanti della probabilità di osservare un impianto eolico nel comune. I risultati riportati nella tabella 1 mostrano come la presenza di un clan sia significativamente correlata alla probabilità di avere un impianto eolico mentre, sorprendentemente, l’indice di ventosità non risulta un fattore significativo. Il dato che emerge è quindi quello di una presenza diffusa di investimenti eolici di piccola taglia nei comuni dove le famiglie mafiose hanno uno stretto controllo del territorio, anche quando l’area non abbia una vocazione spiccata per questo tipo di investimenti.

Dopo gli investimenti in grandi impianti eolici che hanno caratterizzato lo sviluppo del settore fino al 2008, nei quali erano coinvolti secondo le inchieste giudiziarie personaggi di spicco legati alle cosche, la tendenza verso i piccoli impianti, resi convenienti dalle nuove tariffe incentivanti, in Sicilia sembra aver preso piede con particolare intensità nei territori a presenza mafiosa.

Il confronto con la Puglia

Nel nostro lavoro, abbiamo quindi confrontato questo modello di possibile infiltrazione nell’eolico con quanto è avvenuto nell’altra regione meridionale che ha investito in modo ingente nel settore, la Puglia.

Gli impianti eolici pugliesi sono stati sostenuti in modo significativo dal governo regionale, mentre le inchieste della magistratura non hanno evidenziato episodi di infiltrazione criminale. La Puglia, pertanto, rappresenta un ulteriore esempio su cui testare se le evidenze (in questo caso negative) emerse dalle indagini della magistratura abbiano una conferma anche quando si guardi agli investimenti nell’insieme della regione.

In Puglia (tabella 1) si osserva un modello di investimento opposto a quello siciliano: qui l’esistenza di impianti eolici risulta correlata alla ventosità del territorio, mentre la presenza di gruppi criminali non ha una influenza significativa, confermando quanto detto dalle inchieste giudiziarie.

I nostri risultati per le due regioni sembrano quindi dare sostegno alle evidenze, necessariamente puntuali ed episodiche, rilevate dalle inchieste giudiziarie: per la Sicilia segnalano infatti una significativa correlazione, a livello dell’investimento complessivo, tra presenza di impianti eolici e di famiglie mafiose e invece per la Puglia indicano un modello di investimento immune dalle infiltrazioni delle organizzazioni criminali locali. (info.lavoce)

 di Valeria V. Checchi e Michele Polo

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