L’andamento del numero dei docenti nelle università italiane nel periodo 2000-2015 suscita preoccupazione. Dalla scomparsa del ricercatore a tempo indeterminato alla generazione che andrà in pensione nel giro di pochi anni. La difficile situazione del Sud e politiche di reclutamento da ripensare.
Il ruolo dei ricercatori
Mentre si discute su come migliorare il funzionamento dei nostri atenei, è
importante chiedersi come stia cambiando – e che caratteristiche abbia – il
personale docente. Non va mai dimenticato che l’università è un tipico esempio
di “burocrazia professionale”: la qualità e i tratti del capitale umano a
disposizione degli atenei sono variabili fondamentali per comprenderne la
capacità di raggiungere i propri obiettivi.
Si possono riepilogare alcuni
elementi principali, grazie alle analisi realizzate in una recente
ricerca.
Un primo dato da cui partire è relativo all’andamento numerico
dei docenti nel tempo: nel corso del periodo 2000-2015 ha seguito una
traiettoria perfettamente a campana (tabella 1). Rispetto al 2000 il numero dei
docenti a tempo indeterminato è rimasto praticamente uguale. Tuttavia, la
stabilità è il risultato di due momenti molto diversi: una crescita rapida fino
alla seconda parte degli anni Duemila, un periodo di forte contrazione negli
anni successivi, a seguito dei blocchi del turn-over.
Nel corso del
quindicennio considerato è avvenuto, però, un cambiamento importante: il
progressivo superamento del “ricercatore a tempo indeterminato” a favore di
figure con contratti a tempo determinato. La tabella 1 riporta fra parentesi
anche gli andamenti nel tempo dei docenti includendo i ricercatori a tempo
determinato. L’aggiunta fa mutare il quadro complessivo: l’andamento a campana
nel 2000-2015 risulterebbe meno accentuato.
Tabella 1 – Andamento del numero dei docenti universitari nel tempo
* Dato che include anche i ricercatori a tempo determinato (leggi 230/2005 e
240/2010)
Fonte: “Università in declino”, su dati Miur Banca dati dei docenti
di ruolo per anni 2000 e 2008 ed elaborazioni su banca dati Miur organico
docenti per il 2015.
L’apporto dei ricercatori a tempo determinato appare rilevante: il 6,6 per cento del totale al 2015. È difficile, però, comprendere quale sia e, soprattutto, quale sarà il loro percorso di carriera. La tabella 2 presenta dati relativi alla situazione nel 2015 di coloro che erano ricercatori a tempo determinato sette anni prima (nel 2008). Nell’arco di questo periodo oltre la metà è uscita dal sistema (perché trasferitosi all’estero o in un altro settore del mercato del lavoro): l’università italiana investe una discreta mole di risorse in (giovani) studiosi, che dopo alcuni anni la lasciano. Meno della metà è rimasta all’interno: alcuni nella stessa posizione, altri con progressione di carriera.
Tabella 2 – Collocazione lavorativa a sette anni di distanza (2015) dei ricercatori a tempo determinato presenti negli atenei italiani nel 2008 (valori percentuali)
Fonte: “Università in declino” (2016): elaborazioni su banca dati Miur sull’organico dei ricercatori a tempo determinato
Nello stesso periodo 2000-2015, il numero di studenti per docente si è lievemente ridotto (tabella 3), pur restando molto superiore agli altri principali paesi europei: anche in questo caso, vi è stato un miglioramento nei primi anni e un peggioramento successivo. E il Nord è caratterizzato da un rapporto ben più basso (migliore) di quello registrato nel Mezzogiorno, dove ogni docente ha quattro studenti in più.
Tabella 3 – Numero di studenti universitari iscritti per singolo docente* per macro-aree territoriali (2000-2008-2015)
* Includendo ricercatori a tempo determinato
Fonte: “Università in
declino” (2016): elaborazioni su banca dati Miur sull’organico dei docenti e
indagine sull’istruzione universitaria.
L’invecchiamento dei professori
L’andamento numerico nasconde un preoccupante fenomeno di invecchiamento del
corpo docente (figura 1), molto accentuato nel caso italiano rispetto ad altri
paesi occidentali.
Nel 2014 l’età media dei docenti era pari a poco più di 52
anni e uno su quattro aveva almeno 60 anni. È il risultato di due fenomeni: i)
il sostanziale blocco di nuove assunzioni degli ultimi anni, che ha allungato
molto i tempi di entrata (per cui si è alzata l’età media di coloro che
diventano docenti); ii) la circostanza per la quale il reclutamento dei docenti
ha seguito in passato un andamento “a scatti”. Vi sono stati decenni in cui le
porte delle università si sono aperte più facilmente, mentre in altri lo hanno
fatto assai meno; i sessantenni di oggi hanno beneficiato della prima grande
apertura in senso più universalistico dell’università italiana negli anni
Settanta fino alla prima parte degli anni Ottanta.
Se si guarda ai professori
associati e ordinari (ancor più se solo a questi ultimi), il processo di
invecchiamento si delinea chiaramente. L’intera distribuzione per fasce di età
si sposta come un’onda verso le classi più mature, con picchi molto elevati
proprio fra coloro che hanno raggiunto i 65 anni. Nel 2014 vi erano circa 4.400
docenti con meno di 40 anni per circa 13mila docenti sessantenni.
Figura 1 – Distribuzione dei docenti italiani per classe di età: un confronto diacronico (%).
Fonte: “Università in declino” (2016) su dati Miur
Nel corso di pochi anni una generazione di sessantenni andrà in pensione; in
un contesto di scarso ricambio e, soprattutto, di scarsa progressione di
carriera più che di nuove assunzioni, ciò potrebbe significare un ulteriore
ridimensionamento del corpo docente.
La tabella 4 riporta stime sul numero
dei docenti nel 2020 e nel 2025 per macro-area geografica. Nell’insieme, il
numero dei professori dovrebbe ancora diminuire entro il 2020 (-0,7 per cento)
e, soprattutto, il 2025 (-2,1 per cento); ma il calo diventa molto più drastico
se ci concentriamo solo sul personale a tempo indeterminato: la riduzione
potrebbe risultare di circa l’8 per cento entro il 2020 e del 15 per cento entro
il 2025; ancor più ampia al Centro-Sud che al Nord, esattamente come già
avvenuto nel periodo più recente.
Le tendenze in corso potranno portare nel
prossimo decennio a una ulteriore diminuzione del personale docente; a un
aumento dei lavoratori con contratti instabili; a un allargamento delle
differenze territoriali con una chiara linea di distinzione fra Nord e
Centro-Sud. Occorre dunque riflettere attentamente sulle politiche di
reclutamento da mettere in cantiere nei prossimi anni. (info.lavoce)
Tabella 4 – I docenti nelle università italiane nei prossimi anni: variazione percentuale dei docenti dal 2015 rispetto al 2020 e al 2025 per macro-area territoriale (stime)
* Docenti che andranno in pensione nel 2020 o nel 2025 al compimento dell’età
di pensionamento considerata attualmente massima: 67 anni ricercatori; 70 anni
associati ed ordinari
** Numero di assunzioni annue per il periodo 2015-2020
e per il periodo 2015-2025 pari a quelle registrate nel periodo
2008-2014
Fonte: “Università in declino” (2016), su banca dati Miur
sull’organico dei docenti e banca dati Ufficio statistica Miur.