Una visione economico-sociale per il Recovery Fund
Da alcuni mesi il dibattito politico ha per oggetto il Recovery Fund , più propriamente detto Next Generation Eu per sottolineare la destinazione di esso alle nuove generazioni. Si tratta di un provvedimento importante, storico, dell’U.E. che per la prima volta interviene nel campo economico con fondi ingenti emessi dalla stessa Unione per fronteggiare, nell’interesse dei giovani, i disastrosi effetti della pandemia che ha colpito in maggiore o minore misura tutti i paesi europei. Il provvedimento è storico anche per il nostro paese che , afflitto dai debiti e dalla disoccupazione, peraltro entrambi in crescita per effetto del coronavirus, per la prima volta potrà disporre di ingenti capitali, in parte a fondo perduto, ossia senza obbligo di restituzione, in parte a debito.
Il fatto è storico ma deve fare i conti con tanti problemi, alcuni a carattere generale ed altri a carattere particolare dato lo stato del nostro paese.
Tra i primi il fallimento dell’economia finanziaria che ha mostrato i suoi limiti accentuando solo le disuguaglianze, gli squilibri territoriali ed i problemi dell’ambiente e la conseguente necessità di puntare su un nuovo modello di sviluppo.
Tra i secondi il problema del nostro enorme debito pubblico, della nostra elevatissima disoccupazione ( in gran parte giovanile, femminile e meridionale), il nostro basso tasso di natalità, la nostra scarsa efficienza dell’amministrazione pubblica in genere e di quella della giustizia in particolare, il nostro basso tasso di sviluppo economico, l’alto tasso di mortalità delle nostre imprese, la loro modesta dimensione, , la scarsa affidabilità di molti nostri territori, la loro difficile accessibilità e la loro lontananza dal baricentro europeo.
Se a questi problemi si aggiungono le conseguenze e le incognite generati dal coronavirus tuttora diffuso nel nostro paese e nel mondo, l’instabilità politica e lo schema amico/nemico che caratterizza in Italia il rapporto tra la maggioranza e l’opposizione si avrà il quadro chiaro delle difficoltà delle scelte .
Il dibattito di cui si è detto all’inizio è dunque giustificato anche perché l’Ue, nel promettere i fondi del Recovery Fund, , pur lasciando ai vari paesi un notevole margine di discrezionalità , ha stabilito che essi debbono destinarsi agli investimenti di determinati settori e che debbono essere accompagnati o preceduti dalla realizzazione delle riforme necessarie.
Ciò detto , premesso che alla luce di quanto stabilito dall’Ue e da quanto emerso sopra, i filoni sui quali lavorare ai fini dell’utilizzo dei fondi sono il filone della digitalizzazione, quello delle infrastrutture, quello della formazione, quello dell’ambiente, quello del divario nord-sud, quello sanitario, quello della famiglia, almeno per una prima valutazione della convenienza degli investimenti, si potrebbe ricorrere al metodo Costi/Benefici , metodo che consente di confrontare i costi dell’investimento con i possibili benefici in termini economico-sociali. La seconda approssimazione potrebbe riservarsi alla politica ed alle parti sociali che dovrebbero valutare le soluzioni in base ad una visione economico-sociale condivisa e quindi, per esemplificare, in base ad una certa visione del ruolo della famiglia e della donna nella società, del ruolo della scuola e dell’università, del ruolo dell’impresa privata, del ruolo della formazione professionale ecc.
L’ideale sarebbe accantonare i pregiudizi, individuare gli obiettivi da perseguire non dimenticando il nostro debito pubblico, mettersi d’accordo sulle riforme necessarie per conseguirli partendo da quella della pubblica amministrazione, fare le opportune comparazioni, varare in breve tempo i provvedimenti ritenuti opportuni, curarne i controlli e la rapida realizzazione.
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